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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 03 febbraio 2025
Diritto della concorrenza – Europa / Procedure delle autorità indipendenti e effettività del diritto della concorrenza – La CGUE dichiara che l’obbligo dell’AGCM di concludere la fase preistruttoria entro 90 giorni è contrario al diritto UE
Lo scorso 30 gennaio 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata su due rinvii pregiudiziali presentati dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio), chiarendo i limiti della normativa italiana entro i quali l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) può contestare le violazioni della normativa a tutela della concorrenza e dei consumatori. Com'è noto agli operatori del diritto della concorrenza italiani, la questione circa l’applicabilità ai procedimenti istruttori dell’AGCM dell’art. 14 della legge 689/81 – che impone che la contestazione delle infrazioni amministrative avvenga immediatamente e comunque entro 90 giorni – è stata ampiamente dibattuta, portando all’annullamento negli ultimi anni di diverse decisioni della stessa AGCM.
Le vicende che hanno portato alle due sentenze hanno avuto origine dall’impugnazione di due decisioni dell’AGCM.
Nel primo caso, l’AGCM, dopo più di due anni dalla segnalazione di un consumatore, aveva contestato alla società Caronte & Tourist S.p.A. (Caronte) un abuso di posizione dominante ai sensi dell’art. 102 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) concretizzatosi nell’applicazione di prezzi eccessivi al servizio di traghettamento nello Stretto di Messina.
Nel secondo caso, l'AGCM, dopo aver ricevuto tra il 2011 e il 2016 diverse segnalazioni da parte di consumatori e associazioni consumeristiche, aveva contestato a Trenitalia S.p.A. (Trenitalia) di aver posto in essere pratiche commerciali scorrette, avendo favorito nelle proprie piattaforme di vendita soluzioni di viaggio con treni ad alta velocità a discapito di opzioni regionali più economiche.
Sia Caronte, sia Trenitalia avevano impugnato dinanzi al TAR Lazio i provvedimenti sanzionatori emanati dall’AGCM a conclusione di detti procedimenti, chiedendone l’annullamento.
Sulla scia di un trend giurisprudenziale sviluppato negli ultimi anni, le società ricorrenti sostenevano che l’AGCM avesse notificato tardivamente la comunicazione degli addebiti in violazione dell’art. 14 della legge 689/81, che impone che la contestazione delle infrazioni amministrative avvenga immediatamente e comunque entro 90 giorni. In particolare, secondo l’interpretazione prevalente dei giudici amministrativi italiani, l’art. 14 della legge 689/89 si applica anche alla fase preistruttoria dei procedimenti dell’AGCM in materia antitrust e consumeristica. Secondo questa interpretazione, l’AGCM sarebbe dunque obbligata ad avviare la fase istruttoria notificando alle imprese la comunicazione degli addebiti entro il termine di 90 giorni dal momento in cui ha avuto piena contezza degli elementi essenziali della violazione. Il mancato rispetto di tale termine comporterebbe l’annullamento del provvedimento sanzionatorio e l’impossibilità per l’AGCM di riaprire un nuovo procedimento per la stessa infrazione, nel rispetto del principio del ne bis in idem.
In entrambi i casi, il TAR Lazio aveva dunque sollevato un rinvio pregiudiziale, chiedendo alla CGUE di determinare se l’applicazione automatica di un termine così breve, senza margini di flessibilità legati alla complessità delle indagini, fosse compatibile con il diritto dell’Unione europea.
La CGUE, con motivazioni del tutto analoghe in entrambe le pronunce in commento, ha stabilito che una normativa nazionale che impone un termine di 90 giorni per la conclusione della fase preistruttoria, il cui superamento comporta l’annullamento automatico delle sanzioni e il divieto per l’AGCM di avviare un nuovo procedimento per i medesimi fatti, è incompatibile con il diritto dell’Unione europea in materia antitrust e a tutela dei consumatori.
In particolare, la CGUE ha sottolineato che la durata della fase preistruttoria dovrebbe essere tale da garantire un giusto equilibrio tra l’esigenza di una formulazione tempestiva della contestazione e l’effettiva applicazione del diritto dell’Unione europea da parte delle autorità nazionali. A tal fine, la CGUE ha operato un bilanciamento tra il diritto di difesa delle imprese e l’esigenza di un’efficace applicazione della normativa antitrust e consumeristica. Pur riconoscendo che l’eccessivo protrarsi della fase preistruttoria possa compromettere il diritto di difesa, ostacolando la capacità delle imprese di raccogliere prove a discarico una volta che gli addebiti sono stati resi noti, la CGUE ha sottolineato che un termine rigido di 90 giorni può ostacolare un’effettiva applicazione del diritto dell’Unione europea. Tale termine, infatti, non garantirebbe alle autorità nazionali il tempo necessario per organizzare efficacemente le proprie risorse e condurre indagini approfondite, soprattutto nei casi più complessi e nei casi in cui sono coinvolte autorità degli altri Stati membri.
La CGUE ha quindi invitato i giudici italiani a interpretare, quanto più possibile, il diritto nazionale, in particolare l’articolo 31 della legge n. 287/90 e l’articolo 14 della legge n. 689/81, in modo conforme al diritto dell’Unione europea al fine di garantirne la piena efficacia, chiarendo che tale disapplicazione deve riguardare anche la sanzione dell’inosservanza del termine di 90 giorni con l’annullamento integrale del provvedimento finale dell’autorità competente, nonché con la decadenza dal potere di quest’ultima di avviare una nuova istruttoria riguardante la stessa pratica.
Più in generale, le pronunce in commento pongono importanti limiti alle normative nazionali che prevedono termini decadenziali rigidi per l’azione delle autorità preposte all’applicazione del diritto dell’Unione europea a tutela della concorrenza e dei consumatori. Non resta che attendere le prossime mosse del legislatore italiano e gli sviluppi dei procedimenti giurisdizionali in corso per comprendere appieno l’impatto di queste decisioni sulla pratica applicativa dell’AGCM.
Samuel Scandola
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Intese e azioni collettive – La CGUE ha chiarito in quali casi gli Stati membri non possono vietare la cessione a terzi del diritto al risarcimento di un danno antitrust e la sua azionabilità in giudizio
Con la sentenza del 28 gennaio scorso (la Sentenza), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) si è pronunciata sul rinvio pregiudiziale presentato dal Tribunale di Dortmund (il Giudice del rinvio) relativo alla compatibilità con il diritto dell’Unione europea di una norma nazionale che preclude a un prestatore di servizi legali (nel caso di specie, ASG 2) d’intraprendere un’azione collettiva per il risarcimento dei danni che si sostiene essere stati causati da un’asserita violazione del diritto della concorrenza.
Nel caso di specie, svariate segherie attive in Germania, Belgio e Lussemburgo, affermavano di aver subito danni per l’asserito sovrapprezzo applicato alla vendita di legname proveniente dal Land della Renania settentrionale Vestfalia a causa di un’intesa anticoncorrenziale. A seguito di una cessione di crediti risarcitori alla società ASG 2, quest’ultima avviava un’azione collettiva per il recupero dei crediti derivanti dall’asserito illecito. Il Land contestava sia la fondatezza del ricorso, sia la legittimazione di ASG 2 ad agire, sulla base di un’interpretazione della normativa nazionale secondo cui l’autorizzazione di cui dispone ASG non le consentirebbe di perseguire l’azione in parola.
Secondo il Giudice del rinvio, tale prassi è stata ammessa dalla giurisprudenza tedesca per diversi tipi di azioni per risarcimento danni, in particolare nell’ambito del contenzioso in materia di locazione immobiliare o di compensazione pecuniaria dei passeggeri aerei. Per contro, parte della giurisprudenza ritiene che l’azione di recupero collettiva non sia ammessa nel settore del risarcimento del danno causato da una presunta violazione del diritto della concorrenza, in particolare quando si tratta di un’azione cosiddetta stand-alone, vale a dire un’azione per il risarcimento del danno che non fa seguito a una decisione definitiva e vincolante, segnatamente per quanto riguarda l’accertamento dei fatti, di un’autorità garante della concorrenza.
Il Giudice del rinvio sostiene che l’azione di recupero collettiva rappresenti però l’unico meccanismo procedurale che garantisca un esercizio effettivo del diritto al risarcimento. Infatti, il diritto tedesco non prevede altre forme collettive di recupero crediti. Le azioni individuali, invece, secondo il Giudice del rinvio scoraggiano i soggetti che hanno subito danni di lieve entità ad esercitare il proprio diritto al risarcimento, data la complessità e l’onerosità nell’accertare il danno causato da un’intesa, soprattutto in un’azione stand-alone.
Con la Sentenza, la CGUE ha innanzitutto ribadito il consolidato principio secondo cui il diritto dell’Unione conferisce a tutti i soggetti danneggiati da una violazione antitrust il pieno risarcimento del danno. Tale azione può essere promossa sia dal soggetto titolare del diritto, sia tramite un soggetto terzo. Tuttavia, è stato altresì ricordato che gli Stati membri non sono obbligati ad introdurre un meccanismo di azione collettiva.
In secondo luogo, la CGUE ha riconosciuto che ogni Stato membro gode di autonomia nel definire le norme procedurali che consentano l’esercizio del diritto al risarcimento, nel rispetto del principio di effettività. È alla luce di questo principio, e tenendo conto di tutti gli elementi rilevanti del diritto nazionale, che il Giudice del rinvio deve esaminare se un’interpretazione della norma che non permetta un’azione di recupero collettiva renda il diritto al risarcimento impossibile o eccessivamente difficile.
Infatti, la CGUE non si è pronunciata in maniera definitiva sulla compatibilità della norma nazionale, ma ha rimesso al Giudice del rinvio il dovere di verificare, in primo luogo, che, nell’ordinamento tedesco, non esistano altri meccanismi di raggruppamento delle pretese individuali fondate sul diritto antitrust e, in secondo luogo, che elementi concreti nel caso di specie ostacolino o rendano eccessivamente difficile l’esercizio di un’azione individuale.
La CGUE ha quindi concluso che qualora entrambe le condizioni sussistano, il giudice è tenuto a constatare che un’interpretazione della norma nazionale che vieti un’azione di recupero collettiva viola il principio di effettività e il diritto ad una tutela giurisdizionale effettiva. Inoltre, se un’interpretazione conforme alle norme dell’Unione risultasse impossibile, il Giudice del rinvio avrebbe l’obbligo di disapplicare la norma nazionale.
La CGUE, pur riconoscendo agli Stati membri un certo margine di discrezionalità, ribadisce quindi l’importanza di norme procedurali nazionali che garantiscano un esercizio del diritto al risarcimento effettivo, non solo a tutela dei soggetti danneggiati, ma anche per rafforzare il carattere operativo delle norme antitrust.
Federica Antoniani
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Aiuti di Stato e settore dei trasporti – Uno Stato membro può ordinare al beneficiario effettivo di restituire un aiuto se vi è continuità economica con il beneficiario originario identificato dalla Commissione
Con la sentenza del 16 gennaio 2025, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la CGUE) ha chiarito che una decisione della Commissione europea (la Commissione) che ordina a uno Stato membro di recuperare un aiuto di Stato in capo a un beneficiario identificato non impedisce all’autorità nazionale di procedere al recupero presso un diverso beneficiario effettivo dell’aiuto, qualora vi sia continuità economica fra i due soggetti.
All’epoca dei fatti, Buonotourist S.r.l. (Buonotourist) era una società che forniva servizi di trasporto pubblico locale sulla base di concessioni regionali e comunali. Nel 2012, l’Italia ha notificato alla Commissione l’intenzione di accordare a Buonotourist un aiuto di Stato sotto forma di una “compensazione integrativa” per una delle concessioni in essere con la Regione Campania (la Regione).
Nel 2015, la Commissione ha adottato una decisione che dichiarava l’aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno (la Decisione), ordinandone contestualmente il recupero da parte dell’Italia. Buonotourist ha fatto appello contro la Decisione di fronte al Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale). Il Tribunale ha respinto il ricorso nel 2018 e la CGUE ha confermato la sentenza del Tribunale nel 2020.
In pendenza di tale contenzioso, Buonotourist aveva affittato il ramo d’azienda – coinvolto nella concessione in rilievo – a Scai S.r.l. (Scai), con un contratto concluso nel 2019 e decorrente fino al 2021. Nel 2020, tuttavia, Buonotourist era stata dichiarata insolvente.
Nel 2023, la Regione ha chiesto a Scai di restituire l’aiuto di Stato originariamente concesso a Buonotourist, in ragione della continuità economica fra le due società. Scai ha presentato ricorso avverso tale richiesta di fronte al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania (TAR Campania).
Il TAR Campania ha sollevato una questione pregiudiziale dinanzi alla CGUE. In particolare, il TAR Campania si è chiesto se la Regione, nel rivolgere la richiesta di restituzione ad un beneficiario non identificato direttamente dalla Decisione, avesse violato: (i) le prerogative della Commissione; e (ii) i diritti di difesa di Scai, non coinvolta nel procedimento di fronte alla Commissione.
In primo luogo, la CGUE ha ricordato come lo Stato membro destinatario di una decisione che dichiara un aiuto di Stato incompatibile con il mercato interno abbia l’obbligo di dare a tale decisione immediata esecuzione, recuperando l’aiuto di Stato e ripristinando lo status quo ante.
La CGUE ha riconosciuto che, nel caso di specie, la Decisione avesse in effetti identificato il beneficiario da cui l’aiuto di Stato doveva essere recuperato (Buonotourist). Tuttavia, la Commissione ha adottato la Decisione sulla base degli elementi e delle informazioni ad essa disponibili al tempo. Ciò non esclude che, in presenza di continuità economica fra beneficiario originario e beneficiario effettivo e attuale, l’autorità nazionale possa recuperare l’aiuto di Stato in capo a quest’ultimo. Anzi, al fine di ripristinare lo stato di legalità violata, questo è un obbligo per gli Stati membri.
In secondo luogo, la CGUE ha dissipato ogni dubbio sull’asserita violazione dei diritti di difesa del beneficiario effettivo. La CGUE ha precisato che bisogna tenere ben distinti due diversi scenari.
Da un lato c’è infatti il procedimento di fronte alla Commissione sulla compatibilità di un aiuto di Stato con il mercato interno. Tale procedimento ha come unici soggetti la Commissione e lo Stato membro coinvolto, senza alcun diritto procedurale per il presunto beneficiario. In questo senso, il beneficiario effettivo non si trova in una situazione diversa dal beneficiario originario. Ciò non significata tuttavia che i diritti di difesa del beneficiario effettivo vengano violati. Se è vero che non sarà possibile chiedere l’annullamento diretto della decisione della Commissione al Tribunale (come invece può fare il beneficiario originario), è altrettanto vero che il beneficiario effettivo potrà comunque chiedere alla CGUE di scrutinare la validità di tale decisione tramite rinvio pregiudiziale, nel contesto del giudizio nazionale di cui è parte.
Dall’altro lato c’è invece il procedimento nazionale in cui dev’essere accertata la continuità economica. Anche in questo caso, il beneficiario effettivo potrà presentare le proprie difese ed eventualmente ottenere un rinvio pregiudiziale alla CGUE sull’interpretazione della decisione della Commissione, nonché su altre norme del diritto dell’Unione europea.
La pronuncia in questione si pone in continuità con la giurisprudenza in materia, ricordando come il principio della continuità economica sia un importante fattore per assicurare che il recupero di aiuti di Stato illegittimi sia genuinamente ed effettivamente in grado di ripristinare lo status quo ante.
Massimiliano Gelmi
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Tutela del consumatore / Attività di segnalazione e settore dei trasporti – L’AGCM ha svolto alcune considerazioni in merito allo schema di “Disciplina dell’attività delle piattaforme tecnologiche di intermediazione tra domanda e offerta di autoservizi pubblici non di linea”
L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), in seguito alla richiesta di parere da parte del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (MIT), ha svolto alcune considerazioni relativamente allo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (DPCM) sulla disciplina delle piattaforme di intermediazione per gli autoservizi pubblici non di linea (di seguito Taxi e NCC), sollevando una serie di criticità.
In particolare, l’AGCM si è soffermata sui seguenti aspetti del DPCM:
- tempo di attesa di minimo venti minuti successivo alla prenotazione del servizio NCC o di un tempo compatibile con la distanza tra il luogo indicato nella prenotazione e la rimessa;
- obbligo delle piattaforme di inserire un meccanismo che imponga all’utente di scegliere preventivamente se usufruire di un servizio Taxi o di un servizio NCC, per poi scoprire il tempo medio di attesa e il prezzo stimato di tale servizio;
- necessità da parte dei gestori della piattaforma di adottare delle misure che impediscano al conducente del Taxi di sapere la destinazione che vuole raggiungere l’utente prima che quest’ultimo venga prelevato, oltre che il divieto di comunicare al conducente del Taxi il corrispettivo stimato della corsa;
- mancanza di una previsione che consenta ai conducenti di Taxi e NCC di aderire a più di una piattaforma tecnologica d’intermediazione.
Il parere si è prevalentemente concentrato sull’obbligo del tempo minimo di attesa. L’AGCM ha infatti ricordato che con la sentenza C-50-21 (Prestige-Limousine), la CGUE ha osservato che il servizio Taxi non presenta tratti specifici che giustifichino un trattamento differente rispetto agli altri servizi pubblici non di linea e che non è ammissibile una limitazione della concorrenza del mercato e della libertà di stabilimento (ex. Art.49 TFUE). Inoltre, la CGUE ha evidenziato il ruolo cruciale degli NCC, i quali garantiscono una mobilità efficiente grazie ai nuovi strumenti tecnologici a disposizione e alla flessibilità del servizio offerto.
L’AGCM ha altresì ricordato che, condividendo la posizione della CGUE, la Corte Costituzionale italiana, con sentenza del luglio 2024, ha affermato che sia i servizi Taxi sia i NCC garantiscono il rispetto della libertà di circolazione, un diritto che, se precluso, può dare origine a forti disagi alla popolazione. La Corte Costituzionale ha altresì ricordato, in linea con la sentenza Prestige Limousine, che eventuali restrizioni alla libertà di stabilimento e di esercizio della libera prestazione dei servizi debbano essere proporzionate rispetto all’obiettivo che si vuole raggiungere.
Inoltre, l’AGCM ha fatto riferimento alla Comunicazione riguardante il trasporto locale di passeggeri, la quale ritiene che prevedere una misura come quella del tempo minimo di attesa generi un uso inefficiente dell’orario di lavoro dei conducenti, suggerendo invece di creare zone all’interno delle città in cui i conducenti possano aspettare le prenotazioni, riducendo corse a vuoto che danneggino anche l’ambiente.
Coerentemente con tali premesse, l’AGCM ha ritenuto che la misura di un tempo minimo di attesa costituisca “un’ingiustificata barriera all’accesso al mercato e allo sviluppo dell’attività di NCC”, anche perché gli obiettivi perseguiti dal DPCM sarebbero già garantiti con le misure di cui alla Legge n. 21 del 1992 (la Legge quadro). In aggiunta, l’AGCM ha sottolineato che i vantaggi connessi all’utilizzo di applicazioni per prenotare i servizi di trasporto verrebbero meno, in Italia dove l’offerta è notoriamente inferiore alla domanda.
L’AGCM si è poi pronunciata con riguardo alla scelta che dev’essere effettuata dall’utente circa il servizio di cui intende usufruire. In proposito, l’AGCM ha osservato che non è in concreto possibile effettuare una scelta consapevole e personalizzata (al netto della consapevolezza che il servizio NCC sia generalmente più costoso ma qualitativamente superiore).
Con riferimento alle misure dirette ad assicurare che i conducenti non rifiutino le corse meno remunerative, l’AGCM si è limitata ad affermare che non è dimostrato che una simile previsione porti di per sé a raggiungere il risultato sperato.
L’AGCM, infine, consiglia di inserire nel DPCM specifiche disposizioni che rendano nulla qualunque previsione che impedisca agli operatori di usufruire di più d’una piattaforma.
In conclusione, l’AGCM con il parere in commento invita il Governo a eliminare l’obbligo del tempo minimo d’attesa e di scelta preventiva da parte dell’utente di quale servizio usufruire, suggerendo altresì l’aggiunta di una disposizione per garantire l’uso non esclusivo delle piattaforme di intermediazione. L’approccio che l’AGCM propone segue il filone della giurisprudenza europea e italiana, da condividere se si tengono a mente gli interessi generali perseguiti anche a livello della normativa dell’Unione europea.
Giacomo Perrotta
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Pratiche commerciali scorrette e vendite online – L’AGCM sanziona Interflora
L'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha imposto una sanzione di 400.000 euro a Interflora Italia S.p.A. (Interflora), società leader nella consegna di fiori a domicilio in Italia e nel mondo, per aver adottato pratiche commerciali scorrette nel periodo compreso tra il mese di febbraio 2023 e il 12 agosto 2024. Le violazioni sanzionate riguardano la promozione e la vendita di omaggi floreali tramite il sito web Interflora. L'AGCM si è concentrata su due principali condotte.
La prima condotta riguarda la violazione delle tempistiche di consegna garantite e la difformità, in termini di qualità e varietà, dei prodotti consegnati rispetto a quelli ordinati. Secondo la prospettazione dell’AGCM, fino al 12 agosto 2024 Interflora garantiva, sul proprio sito web, la consegna in giornata dei fiori e promuoveva la "qualità garantita" dei prodotti. Tuttavia, l’AGCM ha constatato che la selezione dei fiorai era effettuata esclusivamente in base alla vicinanza geografica e senza una verifica preventiva sulla disponibilità dei fiori. Questo ha causato ritardi nelle consegne e consegne di fiori difformi rispetto a quanto pubblicizzato.
La seconda condotta riguarda la mancata chiarezza sui costi di consegna. Secondo l’AGCM, Interflora non forniva informazioni chiare sui costi di consegna durante il processo di acquisto online. I costi, che erano predeterminati (9,99 euro per ogni consegna, ovvero 17,99 euro per un abbonamento annuale), venivano comunicati solo alla fine del processo, quando il consumatore stava per completare l'acquisto. Questa mancanza di trasparenza avrebbe, secondo l’AGCM, confuso i consumatori inducendoli in errore in relazione ad un elemento essenziale dell’offerta commerciale.
In difesa, Interflora ha dichiarato inter alia che i fiorai affiliati venivano coinvolti nel processo di creazione del catalogo dei prodotti e che solo una piccola percentuale di consumatori aveva risposto ai questionari di soddisfazione (alla base delle sanzioni dell’AGCM), mettendo in dubbio la rappresentatività dei dati raccolti. L’AGCM, in linea con l’approccio già adottato in circostanze simili, ha ritenuto comunque che la condotta posta in essere da Interflora avesse indebitamente influenzato le scelte dei consumatori, che sarebbero quindi state basate su informazioni ingannevoli.
La decisione in commento, comunque soggetta a impugnazione innanzi al giudice amministrativo, ricorda agli operatori economici non solo l’importanza di un’informativa accurata e trasparente, idonea a dare piena consapevolezza al consumatore dei parametri qualitativi e di prezzo applicabili ai beni e servizi offerti, ma anche la responsabilità in proposito di soggetti che intermediano la domanda e l’offerta di beni e servizi (posto che in concreto le consegne venivano effettuate dai fioristi partner di Interflora).
Valentina Veneziane