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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 9 settembre 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni sotto-soglia e giurisdizione della Commissione – La Corte di Giustizia ha annullato la sentenza del Tribunale nel caso Illumina/Grail

Con una sentenza di particolare rilevanza per il sistema UE di controllo delle concentrazioni (Sentenza), lo scorso 3 settembre la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) – accogliendo in larga parte le argomentazioni avanzate dall’Avvocato Generale Emiliou nelle proprie conclusioni del 21 marzo 2024 (già oggetto di commento su questa Newsletter) – ha annullato la sentenza del Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) del 13 luglio 2022 (la Sentenza Impugnata), con la quale quest’ultimo aveva respinto i ricorsi presentato da Illumina Inc. (Illumina) e Grail LLC (Grail) – due società (le Appellanti) con sede negli Stati Uniti e attive nel settore sanitario, in particolare rispettivamente nella genomica e nello sviluppo di test di rilevamento del cancro basati su sistemi di sequenziamento. Le Appellanti hanno quindi ottenuto l’annullamento della decisione con cui la Commissione europea (Commissione) aveva accettato la richiesta di rinvio per la valutazione della proposta acquisizione da parte di Illumina del controllo esclusivo di Grail (la Decisione), presentata dall’Autorità Nazionale della Concorrenza Francese (l’Autorité) ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento 139/2004 (EUMR) e a cui hanno aderito le autorità nazionali di Grecia, Belgio, Paesi Bassi, Norvegia e Islanda. Come è noto, l’’articolo 22 prevede che gli Stati membri possano fare richiesta alla Commissione di esaminare concentrazioni non notificabili ai sensi della normativa europea, qualora queste possano incidere negativamente sul commercio tra Stati membri o minaccino di pregiudicare in modo significativo la concorrenza nel territorio dello Stato membro o degli Stati membri che presentano la richiesta.

Come già sottolineato su questa Newsletter - poiché l’operazione di acquisizione di Grail da parte di Illumina (l’Operazione), comunicata al pubblico nel settembre 2020, ha interessato due società sostanzialmente non attive nel territorio dell’Unione europea (in particolare, Grail non aveva all’epoca generato alcun fatturato in Europa, né nel resto del mondo), essa non era soggetta ad alcun obbligo di notifica, in quanto non risultavano soddisfatte le soglie di notificabilità di cui al suindicato EUMR, né tantomeno quelle delle singole giurisdizioni europee coinvolte. Nonostante ciò, la Commissione – dopo aver ricevuto una denuncia relativa all’Operazione in data 7 dicembre 2020 – ha comunque ritenuto che la stessa fosse meritevole di esame in relazione al suo potenziale anticoncorrenziale e pertanto ha invitato le autorità nazionali a presentare una richiesta di rinvio. Come detto, l’Autorité francese ha accolto per prima l’invito della Commissione inviando una richiesta di rinvio ai sensi dell’articolo 22, aprendo la strada alle successive richieste delle altre citate autorità. La Commissione ritenendo, in particolare, che dall’Operazione potessero derivare sensibili limitazioni concorrenziali nel mercato dei sequenziatori di nuova generazione e ai reagenti, con possibile aumento dei prezzi degli stessi, a scapito dei concorrenti di Grail attivi nel mercato – ha pertanto adottato una decisione di divieto dell’Operazione (la Decisione) e ha successivamente imposto, al termine di un procedimento parallelo (già oggetto di analisi su questa Newsletter), una sanzione a carico di Illumina di 432 milioni di euro per aver violato l’obbligo di non attuare l’Operazione (c.d. standstill) in assenza di autorizzazione (c.d. gun jumping).

Come detto, a seguito di impugnativa, il Tribunale ha respinto i ricorsi in primo grado, sottolineando come – “sulla base di un’interpretazione letterale, storica, contestuale e teleologica” del succitato articolo 22 – fosse possibile per gli Stati membri chiedere il rinvio di “qualsiasi concentrazione” che non ha dimensione europea, indipendentemente dall’esistenza o dalla portata delle rispettive normative nazioni in materia di controllo delle concentrazioni, a condizione che sussistano quattro requisiti, e segnatamente: i) la richiesta di rinvio deve essere inviata da uno Stato membro; ii) l’operazione deve poter essere qualificata come concentrazione ai sensi dell’articolo 3 EUMR; iii) deve incidere sul commercio tra Stati membri, e iv) deve presentare il rischio di generare effetti restrittivi significativi sul regime concorrenziale degli Stati membri che presentano la richiesta.

Nel settembre 2022 le Appellanti avevano appellato la pronuncia del Tribunale dinnanzi alla CdG, la quale ha invece optato per una decisa inversione di rotta e ha quindi annullato la Sentenza Impugnata, adottando una visione opposta degli obiettivi primari dell’EUMR rispetto a quelli suggeriti da Tribunale e attribuendo un’importanza decisiva al principio della certezza del diritto per le imprese. In particolare, la CdG ha ritenuto che: i) la competenza derivata della Commissione ai sensi dell’articolo 22 presuppone che alle autorità nazionali non sia preclusa la possibilità di esaminare l’operazione stessa in base alle norme nazionali; ii) contrariamente a quanto sostenuto dal Tribunale, l’articolo 22 non è un “meccanismo correttivo” volto a colmare le carenze insite nei sistemi di controllo delle concentrazioni (UE o nazionali), ma è solo un meccanismo di ripartizione delle competenze tra la Commissione e le autorità nazionali. In tale contesto, la CdG ha sottolineato la “importanza cardinale” delle soglie di fatturato, le quali consentono alle società coinvolte di stabilire facilmente se l’operazione interessata necessita di passare al vaglio dell’autorità (nazionale o europea) e forniscono quindi una “garanzia importante di prevedibilità e di certezza del diritto”.

La CdG non è stata quindi persuasa dai tentativi della Commissione di interpretare in maniera estensiva i poteri a questa riconosciuti dall’EUMR. Invero, il suggerimento della CdG sul punto è che se la Commissione considera le attuali soglie di notifica inadatte a cogliere le operazioni problematiche, “…spetta unicamente al legislatore dell’Unione rivederle o prevedere un meccanismo di salvaguardia…” adatto. Sul punto, il Commissario per la Concorrenza Margrethe Vestager ha sottolineato – a commento della Sentenza – che a seguito della sempre maggiore diffusione in diversi Stati Membri (quali l’Italia) di poteri di richiamo delle concentrazioni sotto-soglia (c.d. ‘call-in’) a l’articolo 22 continuerà probabilmente a svolgere un ruolo simile e quindi significativo. Non resta pertanto che attendere per vedere i futuri sviluppi sul tema.

Luca Feltrin

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Abuso di posizione dominante e app per automobili – Pubblicate le conclusioni dell’AG Medina in relazione al rinvio pregiudiziale sollevato dal Consiglio di Stato circa la presunta abusività del rifiuto di Google di concedere l’accesso alla piattaforma Android Auto

L’Avvocato Generale (AG) Medina ha presentato le proprie conclusioni rispetto alla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Consiglio di Stato (CdS) nell’ambito del procedimento che ha visto contrapposte Alphabet Inc., Google LLC e Google Italy S.r.l. (Google) e l’Autorità della Concorrenza e del Mercato (AGCM), concernente la validità del provvedimento con cui l’AGCM ha sanzionato Google per oltre 100 milioni di euro per abuso di posizione dominante a danno di Enel X Italia S.r.l. (EnelX). Secondo tale decisione Google si sarebbe abusivamente rifiutata, dinanzi alle richieste di EnelX, di rendere compatibile l’applicazione “Android Auto” (di proprietà di Google) con l’app sviluppata da EnelX (“JuicePass”) e finalizzata ad offrire diversi servizi legati alla ricarica di autovetture elettriche.

La premessa al caso in rilievo è che Google, in quanto sviluppatrice di Android Auto, negli anni ha offerto soluzioni software specifiche – i c.d. template – necessarie al fine di garantire l’interoperabilità di ogni applicazione di terze parti con la piattaforma, in tal modo consentendo agli sviluppatori terzi di creare versioni delle proprie app che funzionassero con Android Auto. A fine 2018 soltanto due template erano disponibili, ossia quelli per le app di messagistica e quelli per le app di media. Altro aspetto di fondamentale importanza è che Google ha pensato e progettato Android Auto come “ecosistema”, ossia come piattaforma destinata ad essere alimentata da applicazioni di terzi, per fornire la più ampia gamma di servizi ai propri utenti.

Chiariti questi aspetti, si può procedere con l’analisi delle cinque questioni sollevate dal CdS. Si tratta di questioni che essenzialmente sono relative all’applicazione delle condizioni del noto precedente Bronner ai casi di c.d. essential facilities, come si sarebbe trattato nel caso di specie – secondo l’AGCM – con Android Auto rispetto allo sviluppo di app terze compatibili in un “mercato contiguo”.

La prima questione concerne il requisito della indispensabilità del prodotto oggetto di rifiuto di fornitura, condizione necessaria secondo Bronner. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) è chiamata a decidere se sia necessario che il prodotto sia “strettamente essenziale” per operare in un mercato contiguo, ovvero se sia sufficiente che tale prodotto permetta di essere meglio in grado di competere in tale mercato. In secondo luogo, il CdS ha chiesto se il rifiuto da parte di un’impresa, in posizione dominante in quanto gestore dell’infrastruttura, di fornire l’accesso a suddetta infrastruttura debba comunque ritenersi abusivo nonostante gli operatori nel “mercato contiguo” continuino ad essere attivi, o addirittura a crescere, nonostante il mancato accesso.

Nella risoluzione di queste prime due questioni, l’AG, richiamando le conclusioni dell’AG Jacobs nel caso Bronner, ha ricordato che è fondamentale tenere in considerazione il diritto (costituzionalmente riconosciuto) di scegliere i propri partner commerciali nonché di disporre liberamente dei propri beni, potendovisi derogare soltanto in presenza di una “accurata giustificazione”; in secondo luogo, l’AG ha ricordato come sia necessario avere una visione di lungo periodo, consentendo di regola anche alle imprese in posizione dominante di riservare a sé i risultati dei propri considerevoli investimenti, andandosi, in caso a contrario, a incidere su bilanciamenti particolarmente delicati sugli incentivi ad innovare a lungo termine.

Per la prima questione in particolare, l’AG è dell’opinione che tale criterio nel caso in questione non andrebbe applicato per via della evidente differenza con i fatti oggetto della pronuncia Bronner, ossia che l’infrastruttura, nel primo, era stata sviluppata per le esigenze esclusive dell’impresa dominante, mentre nel caso in esame è nata volutamente come “ecosistema” che trae beneficio dall’ampia gamma di servizi interoperabili offerti grazie ad applicazioni di terze.

Alla seconda questione l’AG ha risposto invece sostenendo che la dimostrazione di una pratica asseritamente abusiva e volta all’esclusione dei concorrenti dal mercato non impone di dimostrare che l’effetto escludente sia raggiunto in concreto, essendo sufficiente la mera idoneità.

L’AG ha poi avanzato un test specifico, alternativo al test Bronner: in particolare, si dovrebbe determinare se l’impresa proprietaria della infrastruttura (concepita per beneficiare dall’apporto di sviluppatori terzi) escluda, ostacoli o ritardi l’accesso da parte di un’app di terzi, producendo effetti anticoncorrenziali, e senza una giustificazione oggettiva.

La terza e la quarta questione riguardano invece la terza condizione del test Bronner, ossia la difesa della “giustificazione obiettiva”. In particolare, si chiede se l’inesistenza del template (l’elemento “indispensabile”) tra gli input a disposizione dell’impresa dominante al momento della richiesta di fornitura vada considerata quale giustificazione obiettiva, ovvero se l’autorità della concorrenza sia tenuta a svolgere un’analisi circa il tempo necessario per l’impresa dominante al fine di sviluppare il prodotto o servizio per cui si chiede l’accesso, stante la sua “responsabilità speciale” nel mercato, o addirittura se l’impresa dominante sia onerata di comunicare al richiedente la tempistica per lo sviluppo. Con la quarta questione si chiede, infine, se l’impresa dominante sia tenuta a modificare i propri prodotti o svilupparne di nuovi per consentire l’accesso ai richiedenti, e, in caso di risposta affermativa, se debba tenere in considerazione le “generali esigenze del mercato” ovvero le “esigenze della singola impresa richiedente”, nel caso fissando criteri oggettivi per fissare la priorità delle richieste.

Si tratta, in altri termini, della tesi difensiva di cui all’art. 101(3) TFUE applicata nell’ambito dell’art. 102: il divieto ex art. 102 non si applica a fronte di un comportamento obiettivamente necessario e proporzionato. Per l’AG, in particolare, sarebbe soddisfatto il criterio della necessità (essendo lo sviluppo del software necessario per l’ingresso delle app terze), mentre sarebbe più complessa la questione della proporzionalità: dal lato dei vincoli temporali, sull’impresa dominante graverebbe l’onere di addurre prove concrete al fine di giustificare il proprio comportamento, spettando poi all’autorità della concorrenza giudicarle convincenti o meno. In tal modo, l’impresa potrebbe sostenere che lo sviluppo si è protratto per un tempo oggettivamente necessario. Dal lato delle risorse economiche, invece, l’AG ritiene che, per non intaccare eccessivamente il bilanciamento sugli incentivi ad innovare a lungo termine, si possa spendere l’argomento dei vincoli relativi alle risorse per giustificare il proprio comportamento, a patto che si lasci al richiedente la possibilità di offrire di versare un prezzo equo per lo sviluppo richiesto. Nel caso in cui il richiedente ritenga il prezzo avanzato sproporzionato, sarebbe poi onere dell’autorità della concorrenza dimostrarne l’inadeguatezza. Qualora più richiedenti si presentino contemporaneamente, non si potrebbe addossare all’impresa dominante l’onere di fissare ex ante criteri obiettivi per fissare l’ordine di esame delle richieste, un onere che potrebbe avere soltanto matrice normativa. La mancanza di tale criterio potrebbe essere nondimeno considerata qualora la presenza di più richiedenti porti a ritardi “eccessivi” nell’accesso o a trattamenti “discriminatori” tra soggetti presentatisi nello stesso momento.

Con la quinta e ultima questione si chiede se l’autorità antitrust, in presenza di abusi consistenti nel rifiuto di concedere l’accesso ad una infrastruttura, sia tenuta a definire esaustivamente il mercato a valle, o contiguo, pregiudicato dal comportamento abusivo a monte. Ebbene, richiamando la giurisprudenza sulle essential facilities, l’AG ha chiarito che è sufficiente che venga delineato un mercato potenziale, o anche solo ipotetico.

Resta quindi da vedere come si chiuderà la vicenda dinanzi al giudice del rinvio, tenendo altresì a mente che l’interoperabilità è elemento centrale affrontato ex ante da normative specifiche, come è il caso del Digital Markets Act.

Lorenzo Brandoli

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Norme procedurali dell’AGCM e diritto UE – Pubblicate le conclusioni dell’AG Pikamäe in relazione a due rinvii pregiudiziali riguardanti la compatibilità con il diritto UE del termine di 90 giorni ex art 14, legge n. 689/81 per l’avvio di un procedimento dell’AGCM

Lo scorso 5 settembre 2024 sono state pubblicate le conclusioni dell’avvocato generale Pikamäe (l’AG) su due questioni pregiudiziali, entrambe sollevate dal Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR Lazio) ed aventi ad oggetto la compatibilità con il diritto dell’Unione dell’articolo 14 della legge 689/81. Tale norma stabilisce un termine di 90 giorni per l’avvio di un procedimento amministrativo sanzionatorio. Dopo anni di giurisprudenza in senso contrario, solo di recente è stato considerato applicabile anche ai procedimenti dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

Ripercorrendo brevemente le vicende in questione, il primo dei due giudizi a quo ha ad oggetto la legittimità del provvedimento con cui l’AGCM ha sanzionato Trenitalia S.p.A.(Trenitalia) nel 2018 per pratiche commerciali scorrette collegate alle modalità di vendita dei titoli di viaggio; il secondo ha ad oggetto la legittimità del provvedimento sanzionatorio emesso nei confronti di Caronte&Tourist S.p.A. (C&T) per abuso di posizione dominante nel mercato di traghettamento passeggeri nello stretto di Messina, consistente nell’imposizione di prezzi troppo onerosi. Entrambi i provvedimenti sono stati impugnati dinanzi al TAR Lazio, lamentando – fra gli altri motivi di ricorso – che l’AGCM avrebbe agito in violazione dell’articolo 14 della L. 689/81, avviando i procedimenti ben oltre il termine di 90 giorni ivi previsto. Il TAR Lazio ha quindi effettuato un rinvio pregiudiziale alla CGUE (si veda, a tal proposito, questa Newsletter del 4 settembre 2023), per accertare se tale disposizione procedurale nazionale sia compatibile con le norme dell’Unione a tutela della concorrenza (in particolare con l’articolo 102 TFUE) e con quelle a tutela del consumatore (in particolare la Direttiva 29/2005).

Nelle sue conclusioni, l’AG fornisce la propria opinione sulle questioni pregiudiziali sollevate in entrambi i giudizi, trattandole congiuntamente. In particolare, conduce una riflessione su quattro aspetti problematici del termine di 90 giorni, ossia:

  • la brevità di tale termine: secondo l’AG una durata così ‘breve’ rende “difficile se non addirittura impossibile” per l’AGCM svolgere la propria attività, che prevede analisi complesse di natura fattuale ed economica che variano da caso a caso. Inoltre, l’AG ritiene che un termine breve ed uniforme obbligherebbe l’AGCM a svolgere la propria attività preistruttoria meccanicamente, senza differenziare adeguatamente in ragione della complessità e gravità delle condotte, minando la sua capacità di organizzare liberamente il proprio lavoro, nonché la possibilità di cooperare con le autorità competenti degli altri Stati membri;
  • l’incertezza sul dies a quo da cui decorre il temine di 90 giorni: una delle principali difficoltà sollevate dall’AG è proprio collegata all’incertezza del momento di decorrenza del termine controverso, che obbligherebbe il giudice amministrativo in sede di eventuale impugnazione del provvedimento dell’AGCM ad effettuare una complicata prognosi postuma per determinare se l’AGCM fosse in possesso di tutti gli elementi per avviare il procedimento;
  • le gravi conseguenze che derivano dal mancato avvio nei termini: l’AG evidenzia anche come le conseguenze della scadenza del temine siano particolarmente rigorose per l’AGCM, che, anche per l’applicazione del ne bis in idem, non potrà procedere successivamente all’accertamento dell’infrazione, né alla sanzione. Secondo l’AG, la norma non rappresenterebbe uno strumento a tutela del diritto di difesa delle parti coinvolte nel procedimento, ed anzi, sollecitando l’AGCM ad avviare il procedimento istruttorio prima possibile, la obbligherebbe ad una “pesca di informazioni”, rischiando di esporre l’impresa a misure decisamente più incisive;

In sintesi, l’AG ritiene che il termine controverso non possa essere qualificato come ragionevole e quindi giustificato da esigenze di certezza del diritto, legittimo affidamento e diritto di difesa.

Il tema procedurale in questione è considerato centrale per l’enforcement del diritto della concorrenza (nonché per la tutela dei consumatori) in Italia. Non resta quindi che attendere la sentenza della CGUE, per verificare se confermerà o meno le conclusioni dell’AG.

Irene Indino

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Diritto della concorrenza – Italia / Aiuti di Stato e settore dei trasporti – Il Consiglio di Stato ha annullato il decreto 264/2016 del MIT, relativo al trasferimento di Ferrovie del Sud Est a Ferrovie dello Stato Italiane, effettuato in violazione della normativa sugli aiuti di Stato

Con la sentenza dello scorso 5 agosto, il Consiglio di Stato (il CdS) ha annullato in toto la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (il TAR) con cui era stata esclusa l’illegittimità del decreto 264/2016 (il Decreto) del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti (il MIT) che prevedeva il trasferimento del 100% del capitale di Ferrovie Sud Est e servizi automobilistici S.r.l. (FSE) a favore di Ferrovie dello Stato Italiane S.p.A. (FSI) – il tutto, senza alcuna procedura ad evidenza pubblica e senza alcun corrispettivo ma con l’obbligo per FSI di rimuovere lo squilibrio patrimoniale venutosi a creare in FSE (la Sentenza).

Sull’annosa e complessa vicenda si era già pronunciata, nel dicembre del 2019, la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE), investita di un rinvio pregiudiziale da parte del CdS, dinanzi al quale pendeva il giudizio di appello in questione avviato da Arriva Italia S.r.l. – società all’epoca del gruppo tedesco Deutsche Bahn – ed altre imprese attive nel settore del trasporto pubblico (le Appellanti). La CGUE aveva stabilito che sia (i) lo stanziamento, previsto dalla legge finanziaria del 2016 di una somma di denaro (nel caso de quo, € 70 milioni – lo Stanziamento) in favore di un’impresa pubblica che versa in gravi difficoltà finanziarie (i.e. FSE, concessionaria di infrastrutture e servizi ferroviari in Puglia, e già commissariata a causa di gravi difficoltà finanziarie), sia (ii) il trasferimento dell’intera partecipazione detenuta da uno Stato membro (il Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti) a un’altra impresa pubblica (FSI), senza alcun corrispettivo, ma in cambio dell’obbligo per quest’ultima di rimuovere lo squilibrio patrimoniale della prima impresa (il Trasferimento),rappresentano «aiuti di Stato» ai sensi dell’articolo 107 TFUE. Aveva pertanto accertato che – stante la mancata notifica alla Commissione europea in violazione dell’articolo 108, par. 3, TFUE – tali aiuti erano da considerarsi illegali. Per un maggior approfondimento della vicenda si rimanda alla Newsletter del dicembre 2019.

Reinvestito del caso, il CdS ha ritenuto che andasse chiarito, in via preliminare, un elemento fondamentale, ossia se nel caso di specie il valore di FSE (aumentato, ove occorra, del valore dello Stanziamento) alla data di trasferimento a FSI sopravanzasse l’importo dell’investimento che FSI doveva sostenere per onorare l’obbligo di rimuovere lo squilibrio patrimoniale – così da poter verificare se tale scelta di investimento era stata fatta a condizioni di mercato in quanto sarebbe stata compiuta anche da un soggetto privato operante in una economia di mercato. In considerazione della necessità di apporto di cognizioni tecniche di carattere specialistico, il CdS ha disposto che di tale verificazione – ai sensi dell’articolo 66 del c.p.a. – si occupasse un consulente tecnico specializzato.

La verificazione, inter alia, ha concluso che il valore di FSE era negativo (in tutte le varie ipotesi considerate), anche includendo lo Stanziamento del MIT, e che la ricapitalizzazione necessaria superava tale somma.

Il CdS, una volta chiarito che non vi sono motivi per discostarsi dalle conclusioni cui è giunto il verificatore, analizza le questioni ad esso rimandate dalla CGUE, ossia, inter alia: se lo Stanziamento aveva costituito nei fatti un aiuto di Stato anche senza aver realizzato un effettivo “versamento” di denaro, nonché se e per quale società il Trasferimento avesse costituito un vantaggio selettivo.

Il CdS ha risolto in senso affermativo tali questioni. In tale contesto, è emerso inter alia come la due diligence condotta al tempo dal Ministero aveva unicamente lo scopo di valutare le cause del dissesto finanziario, e non certo di verificare la redditività futura legata all’investimento, come invece avrebbe fatto un investitore privato. Peraltro, non vi sarebbero state altre valutazioni sulla convenienza economica di opzioni di investimento.

Tutto ciò considerato, non emerge una razionalità economica esplicita per giustificare il trasferimento di FSE a FSI, e ciò ulteriormente dimostra che il trasferimento ha conferito un vantaggio selettivo a FSE.

Tutti gli elementi analizzati, la sentenza della CGUE e quanto risultato dalla verificazione hanno dunque portato il CdS ad accogliere tutti i motivi di appello, riformare la Sentenza del TAR Lazio, annullare il decreto (con la conseguente restituzione di FSE al MIT) e disapplicare la disposizione che prevedeva lo Stanziamento in favore di FSE che ora dovrà essere restituito allo Stato italiano.

La Sentenza è di particolare interesse in quanto fornisce alcuni chiarimenti in merito alla disciplina degli aiuti di Stato e la loro rilevanza in relazione a trasferimenti relativi a società pubbliche. Sarà ora interessante osservare le conseguenze di tale annullamento, ossia con che modalità e tempi verrà ripristinato lo status quo ante sulla base di quanto indicato dalla CGUE e riportato dal CdS e ciò che comporterà per le parti coinvolte nella vicenda.

Fabio Bifarini

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Appalti, concessioni e regolazione / L’illegittimità di una ordinanza contingibile e urgente che vieta l’utilizzo, la sperimentazione, l’installazione e la diffusione della tecnologia 5G sul territorio comunale per ragioni di salute pubblica

Con sentenza del 29 agosto 2024, il TAR Catania ha annullato un’ordinanza contingibile e urgente che vietava l’utilizzo, la sperimentazione, l’installazione e la diffusione della tecnologia 5G sul territorio comunale. La sentenza segue una giurisprudenza consolidata che impedisce il ricorso ad ordinanze di questo tipo per la tutela di interessi sanitari e ambientali che sono già altrimenti regolati e disciplinati dal legislatore.

La vicenda trae origine da una ordinanza contingibile e urgente adottata dal sindaco del Comune di Enna che aveva lo scopo di impedire la realizzazione di impianti con tecnologia 5G sull’intero territorio comunale a tutela di esigenza di carattere sanitario e ambientale. In particolare, l’amministrazione comunale aveva voluto sospendere la costruzione di nuovi impianti in attesa che gli enti preposti avessero aggiornato le linee guida per la valutazione dei rischi associati alla presenza di tali impianti alla luce dei dati scientifici più recenti, nonché della nuova classificazione della cancerogenesi dall’IARC. La società Wind Tre S.p.A. ha impugnato tale ordinanza di fronte al TAR che ha accolto il ricorso sulla base di plurime argomentazioni.

La sentenza rileva che le ordinanze contingibili e urgenti rappresentano l’esercizio di un potere extra ordinem per fronteggiare situazioni impreviste e di carattere eccezionale per le quali non si può intervenire tramite l’applicazione di poteri tipici già previsti dall’ordinamento.

In questo quadro, il TAR precisa, inter alia, che non sussiste la urgenza di provvedere o il pregiudizio in atto, atteso che il pericolo derivante dalla diffusione della nuova tecnologia 5G, allo stato, non è scientificamente accertato. Del pari non ricorre il requisito dell'imprevedibilità in relazione a situazioni eccezionali che non sia possibile fronteggiare con i provvedimenti tipici già previsti dall'ordinamento. Infatti, nel caso di specie, la legge n. 36/2001 regola i limiti ai campi elettromagnetici che gli impianti tecnologici - come quelli di telecomunicazione – possono produrre e attribuisce alla competenza esclusiva dell’Agenzia Regionale per l’Ambiente (ARPA) la valutazione sui rischi connessi a tale esposizione In tale contesto, la capacità delle ordinanze extra ordinem di derogare a norme legislative vigenti è consentita solo se temporalmente delimitata e comunque nei limiti della concreta situazione di fatto che si tratta di fronteggiare laddove, nel caso di specie, l’ordinanza adottata si traduce sostanzialmente in un divieto sine die.

Infine, il TAR, da un lato, richiama la giurisprudenza che da tempo ha “stigmatizzato l'ingiustificata compressione del “pubblico interesse” a disporre di un’efficiente distribuzione dei servizi di telecomunicazioni che copra l'intero territorio nazionale” e che ritiene pacificamente illegittimo un divieto generalizzato alla installazione degli impianti in esame, e, dall’altro, il giudice sottolinea che il Decreto Legge 16 luglio 2020, n. 76, convertito in Legge 11 settembre 2020, n. 120, che all’art. 38, comma 6, proprio nel recepire la giurisprudenza consolidata sul punto, ha normativamente codificato il principio per il quale i comuni possono adottare un regolamento per assicurare il corretto insediamento urbanistico e territoriale degli impianti in questione e minimizzare l'esposizione della popolazione ai campi elettromagnetici con riferimento a siti sensibili individuati in modo specifico, ma non possono introdurre limitazioni alla localizzazione in via generalizzata sul territorio di stazioni radio base per reti di comunicazioni elettroniche di qualsiasi tipologia e, in ogni caso, non possono incidere, anche mediante provvedimenti contingibili e urgenti, sui limiti di esposizione a campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici, sui valori di attenzione e sugli obiettivi di qualità, in quanto si tratta di profili la cui competenza è riservata allo Stato.

Stefania Guarino

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