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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 15 aprile 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Foreign Subsidies Regulation – La Commissione europea ha pubblicato nuovi chiarimenti nella sezione Q&A

La Commissione europea (la Commissione) ha aggiunto cinque nuove domande e risposte alla sezione Q&A relativa all’applicazione della Foreign Subsidies Regulation (FSR), ampliando le informazioni a disposizione delle imprese tenute alla notifica delle operazioni di concentrazione ovvero della partecipazione a gare di appalto in relazione al computo e alla individuazione dei contributi finanziari ricevuti.

Sintetizzando le nuove risposte a disposizione, in primo luogo, la Commissione ha ribadito che tutti i contributi finanziari provenienti da, o destinati a, Stati extra-EU (CF), ivi compresi quelli per i quali la Commissione non richiede che siano riportate le relative informazioni nel formulario di notifica (Form FS-CO), devono essere comunque inclusi nel calcolo ai fini del raggiungimento della soglia di 50 milioni di euro, il cui soddisfacimento è decisivo per determinare la sussistenza di un obbligo di notifica di una operazione di concentrazione ai sensi dell’articolo 20 del FSR.

In secondo luogo, la Commissione ha chiarito – a dire il vero con un approccio formalista di difficile comprensione - che ai fini del calcolo di tale soglia anche i CF percepiti nei tre anni precedenti alla notifica da imprese che siano, nel frattempo, state liquidate o cedute devono comunque essere inclusi sia nel computo della predetta soglia, sia, ove rilevanti, nel Form FS-CO.

Inoltre, con riferimento ai gestori di fondi di investimento – i quali come è noto beneficiano di un’esenzione dall’obbligo di fornire informazioni sui CF riguardanti fondi diversi da quello utilizzato per il compimento dell’operazione, purché siano soggetti alla Direttiva UE sui Gestori di Fondi Alternativi (Direttiva 2011/61/EU) – la Commissione ha chiarito che essi possono beneficiare dell’eccezione in parola anche qualora siano soggetti ad una legislazione equivalente da parte di uno Stato extra-UE, a patto che indichino la disposizione rilevante e che ne dimostrino l’equivalenza.

In quarto luogo, la Commissione ha precisato la portata dell’esenzione dall’obbligo di fornire informazioni sui CF ricevuti attraverso la fornitura o l’acquisto di beni e servizi, quando questa avvenga a condizioni di mercato. Tale esenzione, infatti, non trova applicazione per la fornitura o l’acquisto di servizi finanziari. La nuova Q&A, oltre a ribadire la ratio cautelativa di tale esclusione, specifica che la Commissione, tenuto conto di tutte le circostanze specifiche dell’operazione in questione, in fase di pre-notifica, può dispensare l’impresa dall’obbligo di fornire tali informazioni, se queste non siano necessarie per valutare l’esistenza di eventuali sovvenzioni estere distorsive della concorrenza.

Da ultimo, la Commissione ha specificato che la portata della propria analisi delle sovvenzioni estere è limitata all’operazione notificata. Di conseguenza, nel caso di una sovvenzione estera che possa aver agevolato un’operazione diversa, anche se avvenuta nei tre anni precedenti, l’analisi della Commissione non potrà estendersi a quest’ultima.

L’aggiornamento delle Q&A da parte della Commissione europea è un mezzo fondamentale per ottenere chiarimenti rilevanti sul FSR e sulle principali questioni applicative affrontate dalla Commissione a meno di sei mesi dalla piena applicazione del regolamento. Sarà importante continuare a monitorare le novità, nonché attendere l’esito delle prime indagini avviate, per le quali si rimanda alle precedenti Newsletter del 26 febbraio (conclusasi con il ritiro dalla gara da parte dell’impresa oggetti di indagine) e dell’8 aprile.

Irene Indino

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Aiuti di Stato e regimi fiscali – Pubblicate le conclusioni dell’AG Medina in merito al ricorso avverso la decisione della Commissione sul presunto aiuto di Stato illecito concesso dal Regno Unito nella forma di regimi fiscali agevolati

Lo scorso 11 aprile, l’Avvocato Generale (AG) Medina ha rassegnato le proprie conclusioni in merito al ricorso presentato dal Regno Unito, ITV plc e due società del London Stock Exchange Group avverso la sentenza del Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) dell’8 giugno 2022 (la Sentenza), con la quale il Tribunale aveva respinto l’appello presentato dal Regno Unito e ITV plc per ottenere l’annullamento della decisione con la quale la Commissione Europea (Commissione) aveva dichiarato che l’esenzione dall’applicabilità del regime fiscale riguardante le società estere controllate prevista dal Regno Unito a favore di alcuni gruppi multinazionali per un periodo di cinque anni a partire dal 2013 (dunque, pre-Brexit) costituiva un aiuto di Stato illecito a favore di tali gruppi (la Decisione).

In particolare, la controversia riguardava il regime fiscale relativo alle società estere controllate, il quale mirava ad evitare che società incorporate nel Regno Unito utilizzassero un’altra società del gruppo incorporata in un paese con una tassazione dei redditi più bassa al fine di eludere (abbattendo l’imponibile) il pagamento delle imposte nel Regno Unito. Nell’ambito di tale regime fiscale, il Regno Unito aveva previsto un’esenzione relativa ai finanziamenti infragruppo da parte delle società del gruppo stabilite nel Regno Unito appartenenti a gruppi multinazionali, i quali non venivano sottoposti al regime fiscale relativo alle società estere controllate.

L’AG ha proposto alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (Corte di Giustizia) di annullare la Sentenza e la Decisione.

In primo luogo, l’AG ha ricordato che al fine di accertare se una misura fiscale costituisca un aiuto di Stato, deve essere dimostrato che questa attribuisce un vantaggio selettivo ai beneficiari. Per fare ciò, il primo passo è quello di identificare il sistema di riferimento rilevante, che secondo l’AG è il sistema di tassazione generale applicabile in un determinato Stato. In seguito, la Commissione dovrà dimostrare che la misura costituisce una deroga rispetto a tale sistema di riferimento, in quanto opera una differenziazione tra imprese in una situazione comparabile.

Secondo l’AG, in questo caso, il Tribunale e la Commissione avevano errato nel ritenere che il regime fiscale relativo alle società estere controllate costituisse il sistema di riferimento corretto, che era invece rappresentato dal sistema generale di tassazione delle società del Regno Unito. Ciò in quanto il regime fiscale relativo alle società estere controllate è parte integrante del sistema generale di tassazione delle società, contribuendo tra l’altro alla realizzazione dei medesimi obiettivi, e non può essere analizzato in maniera a sé stante. Tale errore nell’identificazione del sistema di riferimento avrebbe viziato l’intera analisi di selettività della Commissione e del Tribunale.

La parola passa ora dunque alla Corte di Giustizia, la quale sarà tenuta a fornire chiarimenti sull’analisi della selettività nelle misure fiscali, un tema complesso e assai dibattuto.

Luca Feltrin

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Concentrazioni e settore farmaceutico – La Commissione ha approvato il piano proposto da Illumina per la cessione di GRAIL

Con il comunicato stampa pubblicato il 12 aprile 2024, la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di aver approvato il piano presentato da Illumina Inc. (Illumina) per la cessione di GRAIL Inc. (GRAIL) in ottemperanza alle misure di riparazione imposte dalla stessa Commissione con decisione dello scorso 12 ottobre 2023 (il Piano).

Queste ultime erano state imposte ad esito del procedimento istruttorio avente ad oggetto la violazione del c.d. obbligo di standstill da parte di Illumina in relazione alla sua l’acquisizione di GRAIL. Tale operazione, infatti, era stata completata nell’agosto 2021 nonostante fosse, all’epoca, oggetto di un’indagine approfondita (c.d. fase II) pendente di fronte alla Commissione ai sensi del Regolamento (UE) n. 139/2004 (c.d. gun-jumping).

Il procedimento relativo si era poi concluso con una decisione della Commissione (già oggetto di questa Newsletter) con cui erano state imposte sanzioni per 432 milioni di euro e 1.000 euro, rispettivamente, a Illumina e GRAIL. A valle di ciò, la Commissione – con una decisione già oggetto di questa Newsletter – aveva imposto misure di riparazione ad Illumina che prevedevano, da un lato, la cessione di GRAIL e, dall’altro, alcune misure transitorie volte a garantire l’autonomia della gestione delle due società e l’obbligo per Illumina di continuare a fornire sufficienti risorse a GRAIL nel periodo precedente alla cessione.

Per quanto riguarda l’obbligo di cessione di GRAIL, la Commissione non aveva prescritto modalità specifiche di attuazione, limitandosi a stabilirne gli obiettivi, ossia: (i) il ripristino dell’indipendenza di GRAIL, che sarebbe dovuta essere riportata nelle medesime condizioni in cui si trovava prima del perfezionamento dell’operazione; (ii) il mantenimento della solidità e della competitività di GRAIL, anche in termini di capacità di innovazione; e (iii) il completamento della cessione entro un termine certo e breve. Con la decisione in commento, la Commissione ha approvato il piano di cessione presentato da Illumina che, pur permettendo alla società di individuare liberamente le modalità di cessione, è stato ritenuto adeguato al raggiungimento di tali obiettivi.

Se con questo passaggio sembra chiudersi il filone del caso Illumina-GRAIL europeo relativo all’osservanza dell’obbligo di standstill, deve ricordarsi che rimane pendente quello relativo alla sussistenza della giurisdizione della Commissione rispetto all’intera vicenda. Rispetto a questo, che è stato recentemente oggetto delle conclusioni dell’Avvocato Generale Emiliou (già commentate in questa Newsletter), non resta infatti che attendere la sentenza della Corte di Giustizia, attesa nell’autunno 2024.

Alberto Galasso

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Diritto della concorrenza – Italia / Abusi e settore della bioplastica – L’AGCM ha avviato un procedimento per accertare una presunta condotta abusiva nel mercato della produzione di sacchetti in bioplastica

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 9 aprile (il Provvedimento), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) – successivamente al ricevimento di alcune segnalazioni anonime – ha avviato un procedimento istruttorio nei confronti di Novamont S.p.A. (Novamont) – società attiva, sia a livello nazionale, sia europeo, nella produzione di bioplastiche – al fine di accertare la sussistenza di una presunta pratica abusiva relativa alla produzione di sacchetti di plastica in conformità alla nuova normativa italiana in vigore (l’Istruttoria).

Prima di analizzare le contestazioni mosse dell’AGCM occorre brevemente ripercorrere la descrizione del provvedimento di avvio delle attività svolte da Novamont, la filiera produttiva, nonché il quadro regolamentare vigente in Italia. In particolare:

  1. Novamont è una società attiva nella ricerca di soluzioni ecosostenibili e derivanti da fonti rinnovabili a bassissimo (tendente allo zero) impatto ambientale. A tale proposito, il principale prodotto di Novamont è il c.d. ‘Mater-Bi’, ossia una tipologia di bioplastiche biodegradabili e compostabili a base di una miscela di amido, che viene utilizzato da produttori terzi per produrre inter alia sacchetti di plastica, che si suddividono in due macro-categorie: a) i sacchetti di plastica in materiale leggero con uno spessore inferiore a 50 micron (anche denominati ‘shoppers’, o ‘light plastic bags’, LPB), ossia le comuni borse della spesa; e b) i sacchetti di plastica in materiale ultra-leggero con uno spessore inferiore a 15 micron (‘ultra-light plastic bags’, VLPB), ossia le borsine utilizzate nei supermercati per la pesatura e acquisto dei prodotti orto-frutticoli. Il Mater-Bi rappresenta la principale attività di Novamont, la quale ha effettuato ingenti investimenti nello studio e nel perfezionamento del prodotto;
  2. per quanto riguarda la filiera, il primo livello, situato a monte, è occupato di produttori di materia prima, ossia la bioplastica, ove Novamont è attiva inter alia tramite il Mater-Bi; il secondo livello della filiera riguarda quello dei cc.dd. ‘trasformatori’, ossia i soggetti che producono i sacchetti in bioplastica; e, in ultimo, si ha il terzo livello degli ‘utilizzatori’, vale a dire i punti vendita che offrono ai consumatori il prodotto finito, di cui una percentuale significativa è rappresentata dalla Grande Distribuzione Organizzata (GDO); e
  3. in ultimo, per quanto concerne la normativa, successivamente all’emanazione ed in conformità alla Direttiva UE 2015/720 – la quale ha imposto agli Stati membri l’obbligo di “adottare le misure necessarie per conseguire sul loro territorio una riduzione sostenuta dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero” – in Italia è stato adottato il decreto legislativo n. 152 del 2006 (il Decreto Legislativo), il quale ha adottato severe restrizioni alla commercializzazioni dei sacchetti di plastica, come il divieto di: a) commercializzare LPB che non siano prodotti con plastica biodegradabile e compostabile o comunque non siano ‘riutilizzabili’ (ossia con uno spessore di 60, 100 o 200 micron); b) commercializzare VLPB che non siano prodotti con polimeri biodegradabili e compostabili e con almeno il 60% della materia proveniente da fonti rinnovabili (biomassa); e c) distribuire gratuitamente i suddetti prodotti.

L’AGCM – prendendo in esame il mercato delle materie prime per la realizzazione dei LPB e dei VLPB ai sensi del summenzionato Decreto Legislativo – sostiene che Novamont possa considerarsi come “un primario operatore” nel settore delle bioplastiche, in quanto sembrerebbe detenere una quota pari a circa il 50-55% delle vendite in Italia di bioplastiche per la prodizione di LPB e di circa il 70-75% per la produzione di VLPB.

Con riferimento alle principali contestazioni ipotizzate dall’AGCM, il Provvedimento sottolinea come le informazioni preliminari al momento acquisite sembrano suggerire che Novamont potrebbe aver posto in essere un duplice livello di accordi di esclusiva o semi-esclusiva relativamente a due livelli della filiera produttiva, ossia quello degli ‘utilizzatori’ e quello dei ‘trasformatori’. In particolare:

  1. Novamont avrebbe concluso accordi di esclusiva con le principali centrali di acquisto della GDO almeno dal 2017, ai sensi dei quali tali utilizzatori si sarebbero impegnati a rifornirsi esclusivamente di sacchetti in Mater-Bi, a fronte di un importo fisso (nonché, talvolta, anche di un compenso variabile calcolato sulla quantità di prodotto venduto);
  2. Novamont – almeno a partire dal 2023 – avrebbe stipulato altresì accordi di ‘partnership’ con la maggioranza dei trasformatori nazionali affinché esse producano tutti o la parte preponderante dei loro sacchetti in Mater-Bi.

Alla luce di quanto sopra, l’AGCM sembrerebbe ritenere che un tale sistema di esclusive possa influire in modo “circolare” su entrambi i livelli della filiera interessati.

L’AGCM sembra quindi ritenere che la condotta potrebbe avere degli effetti pregiudizievoli sulla concorrenza in quanto in grado di limitare l’utilizzo di input produttivi – per i LPB e VLPB – alternativi al Mater-Bi.

Alla luce di quanto sopra, non resta che attendere di vedere se l’AGCM riuscirà a confermare il proprio impianto accusatorio, oppure se Novamont, anche alla luce del carattere verosimilmente sovra-nazionale dei mercati interessati, sarà in grado di fornire una ricostruzione alternativa a quanto ipotizzato nel Provvedimento, in tal modo dimostrando l’insussistenza delle pratiche abusive contestate.

Michael Tagliavini

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Intese e accordi di sostenibilità – L’AGCM ha adottato una comunicazione in materia di accordi di sostenibilità tra produttori agricoli

A seguito di una consultazione pubblica avviata il 2 febbraio scorso, di cui si è già discusso su questa Newsletter, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha adottato la comunicazione (la Comunicazione) relativa all’applicazione dell’articolo 210-bis, paragrafo 7, del Regolamento UE 1308/2001 (il Regolamento) in materia di accordi di sostenibilità tra produttori agricoli, nell’ottica di integrare ulteriormente gli orientamentisull’esclusione dall'applicazione dell'articolo 101 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea per gli accordi di sostenibilità dei produttori agricoli” (gli Orientamenti) adottati dalla Commissione europea (la Commissione) in data 8 dicembre 2023.

L’articolo 210-bis del Regolamento è stato introdotto nel dicembre 2021, contestualmente alla riforma della politica agricola comune (la PAC), con l’obiettivo di incentivare l’agricoltura sostenibile.

A tale proposito, il paragrafo 1 del suddetto articolo stabilisce che “l’articolo 101, paragrafo 1, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea - (il TFUE) - non si applica agli accordi, alle decisioni e alle pratiche concordate dei produttori di prodotti agricoli che si riferiscono alla produzione e al commercio di prodotti agricoli e che mirano ad applicare norme di sostenibilità più rigorose di quelle obbligatorie ai sensi della normativa dell’Unione o nazionale”.

In particolare, gli obiettivi di sostenibilità che un accordo deve perseguire per il soddisfacimento delle condizioni di cui all’articolo 210-bis, secondo gli Orientamenti, possono essere di tre tipologie: (i) obiettivi ambientali, (ii) produzione di prodotti agricoli attraverso modalità che riducano l’uso di pesticidi e (iii) salute e benessere degli animali. Per quanto concerne invece l’ambito di applicazione soggettivo dell’articolo 210-bis, esso si applica agli accordi di sostenibilità di cui è parte almeno un produttore di prodotti agricoli e che sono stipulati con altri produttori (nel caso di accordi orizzontali) o con uno o più operatori a diversi livelli della filiera alimentare (nel caso di accordi verticali), tra cui la produzione, la trasformazione, la distribuzione e il commercio.

Inoltre, il paragrafo 7 dell’articolo 210-bis, su cui la Comunicazione si focalizza, nel definire i poteri ex post della Commissione e dell’AGCM, prevede che “…l’autorità nazionale garante della concorrenza […] può decidere, in casi particolari, che uno o più degli accordi, delle decisioni e delle pratiche concordate di cui al paragrafo 1 siano modificati o interrotti o non abbiano affatto luogo, se ritiene che tale decisione sia necessaria per evitare l’esclusione della concorrenza o se ritiene che siano compromessi gli obiettivi di cui all’articolo 39 TFUE. Per accordi, decisioni e pratiche concordate riguardanti più di uno Stato membro, la decisione […] è adottata dalla Commissione…”. Pertanto, l’AGCM può intervenire a seguito della conclusione o dell’attuazione di un accordo di sostenibilità qualora ritenga che (i) la concorrenza sia esclusa dal mercato, o (ii) gli obiettivi della PAC - stabiliti dall’articolo 39 TFUE - siano compromessi.

Con riguardo agli aspetti procedurali, l’AGCM può basarsi sulle risultanze derivanti dalla propria attività di monitoraggio del mercato, ovvero sulle segnalazioni presentate da qualunque persona fisica o giuridica che sia in possesso di informazioni su un accordo di sostenibilità che non soddisfi i requisiti di cui al suindicato articolo. Qualora l’AGCM, a seguito di approfondimenti pre-istruttori, ritenesse di dover intervenire, notificherà l’avvio dell’istruttoria alle imprese interessate e ne darà comunicazione alla Commissione.

In relazione alle decisioni adottabili dall’AGCM al termine dell’istruttoria, la Comunicazione chiarisce che (a) se l’accordo di sostenibilità è stato stipulato ma non ancora attuato – e non può essere modificato al fine di soddisfare i requisiti di cui all’articolo 210-bis – l’AGCM può adottare una decisione che ordina di non attuare l’accordo; (b) se invece l’accordo è già stato attuato, potrà decidere di (i) modificarlo, oppure (ii) interrompere o risolvere tale accordo qualora una modifica non sia in grado di porre rimedio alle problematiche concorrenziali o alla violazione degli obiettivi della PAC. Qualora le imprese interessate concludano l’accordo o ne proseguano l’applicazione senza adottare le modifiche precisate dall’AGCM, quest’ultima potrà avviare un’istruttoria ai sensi dell’articolo 12, comma 1, della legge n. 287/1999, dalla quale potrà derivare l’irrogazione di una sanzione pecuniaria per avvenuta infrazione dell’articolo 101 TFUE (e pertanto per un massimo del 10% del fatturato generato dalle parti coinvolte nell’ultimo anno fiscale precedente alla decisione).

L’AGCM si riserva la facoltà di modificare o integrare la Comunicazione una volta decorso un anno dalla sua pubblicazione alla luce dell’esperienza applicativa.

Allegra Tucci

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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti, concessioni e regolazione – L’Ammissibilità del procedimento di ottemperanza per ottenere chiarimenti: il punto del Consiglio di Stato

Con la sentenza del 5 aprile scorso il Consiglio di Stato ha reso una decisione che chiarisce principi circa il corretto utilizzo del giudizio di ottemperanza per chiedere chiarimenti nel caso di dubbi sulla corretta modalità di esecuzione del giudicato.

Nella vicenda in esame, l’Autorità Portuale del Sistema Portuale del Mare Adriatico Settentrionale (l’Autorità Portuale) ha proposto al Consiglio di Stato un ricorso per ottemperanza al fine di chiedere chiarimenti se, per attuare correttamente il giudicato, fosse necessario annullare l’intera procedura di gara oppure fosse possibile adottare un provvedimento confermativo della procedura in essere.

La vicenda nasce nel 2021 quando, al fine di fermare il traffico delle navi da crociera all’interno della laguna di Venezia, il d.l. 45/2021 ha disposto la costruzione di un porto posizionato fuori dalle c.d. “acque protette” e l’Autorità Portuale ha indetto un concorso per idee per la realizzazione dell’opera.

Il concorso di idee è stato quindi impugnato davanti al TAR Venezia, che lo ha annullato limitatamente alla parte in cui non aveva interpretato la nozione di “acque protette” in conformità con il decreto ministeriale n. 9 del 1999, ovvero al di fuori del perimetro del Mose. Il Consiglio di Stato ha poi confermato in appello la sentenza di primo grado.

Dopo la sentenza del Consiglio di Stato, il legislatore ha emesso il d.P.R. n. 148 del 2022 che ha introdotto una nuova definizione per le “acque protette”, identificandole con le acque portuali di Venezia e di Chioggia.

L’Autorità Portuale si è trovata quindi a dover scegliere se aderire alla definizione di “acque protette” stabilita nella sentenza del Consiglio di Stato ovvero a quella successiva disposta dal decreto.

Nell’indecisione, l’Autorità Portuale ha adito il Consiglio di Stato in sede di ottemperanza per ottenere i relativi chiarimenti. In particolare, l’Autorità Portuale ha richiesto al Consiglio di Stato se fosse necessario annullare l’intera procedura seguendo la definizione di acque protette indicata nella normativa sopravvenuta oppure se avesse potuto confermare la procedura in essere seguendo la definizione di acque protette presa in considerazione nella sentenza del Consiglio di Stato.

Chiamato a valutare l’ammissibilità del ricorso in ottemperanza, il Consiglio di Stato ha ritenuto che i chiarimenti dell’amministrazione avessero effettivamente lo scopo di precisare un dubbio sul contenuto della sua precedente sentenza e non rappresentassero invece una richiesta di parere ex ante sulla legittimità degli atti che l’amministrazione intendeva emettere. Nel merito, il Consiglio di Stato ha confermato che, in ottemperanza alla sua precedente sentenza, l’Autorità Portuale avrebbe potuto adottare un provvedimento confermativo della procedura di gara.

Nel fare ciò, il Consiglio di Stato ha, da un lato, ribadito il ‘classico’ principio in base al quale l’azione di ottemperanza per i c.d. “chiarimenti” presuppone sempre e necessariamente la presenza di dubbi sul decisum della sentenza. Allo stesso tempo, ammette “curiosamente” la possibilità di esperire questa stessa azione anche per proporre alla corte possibili soluzioni sul contenuto dei provvedimento che l’amministrazione intende adottare. Con ciò appare molto sottile il ‘confine’ tra una richiesta ammessa di chiarimenti sui dubbi interpretativi della sentenza e una richiesta di parere preventivo sulla legittimità degli atti che invece non è inammissibile.

Margherita Zucchini

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