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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 2 aprile 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Abusi e settore farmaceutico veterinario – La Commissione ha avviato un’istruttoria nei confronti di Zoetis per un presunto abuso escludente

Con il comunicato stampa dello scorso 26 marzo, la Commissione europea (la Commissione) ha annunciato l’avvio di un’istruttoria nei confronti di Zoetis Inc. (Zoetis) per presunto abuso di posizione dominante. L’abuso consisterebbe nell’aver interrotto lo sviluppo di un farmaco destinato ad essere commercializzato, in qualità di licenziataria, dalla società francese Virbac S.A. (Virbac) e nell’aver rifiutato di trasferire a quest’ultima lo sviluppo del farmaco, preferendo l’interruzione dello stesso.

La vicenda ha inizio nel 2017, quando Zoetis – società leader nei farmaci veterinari e produttrice del primo ed unico anticorpo monoclonale per la terapia del dolore per l’artrite nei cani – il Librela – acquista NexVet Biopharma (NexVet), diventando di conseguenza anche titolare dei diritti relativi ad un farmaco, ancora in sviluppo, destinato al medesimo trattamento terapeutico del Librela. Tale farmaco in via di sviluppo, per via di un precedente accordo concluso fra NexVet e Virbac, una volta finalizzato, era destinato ad essere commercializzato in via esclusiva da Virbac in Europa. Nel 2020, il farmaco Librela aveva ottenuto l’approvazione da parte della Commissione per la commercializzazione nell’Unione europea e Zoetis aveva deciso, di conseguenza, di interrompere lo sviluppo del farmaco di cui è divenuta titolare a seguito dell’acquisizione di NexVet. Virbac, vedendosi privata dell’oggetto dei propri diritti di commercializzazione, ha quindi segnalato alla Commissione la condotta di Zoetis, ritenendo che essa costituisca un abuso di posizione dominante di tipo escludente.

Con il comunicato in commento la Commissione ha ora annunciato l’avvio di un’istruttoria formale nei confronti di Zoetis, ritenendo che la condotta di quest’ultima, incluso il rifiuto di trasferire lo sviluppo del farmaco a Virbac, possa costituire un abuso escludente. ai sensi dell’art. 102 TFUE.

La vicenda appare di particolare interesse soprattutto se si considera che, nel valutare la condotta di Zoetis, la Commissione si ritroverà di fatto a valutare ex post gli effetti di un’acquisizione risalente al 2017. Sotto tale ultimo profilo, sebbene la Commissione abbia chiarito che l’istruttoria ha ad oggetto esclusivamente un potenziale abuso, senza estendersi all’acquisizione di NexVet, è rilevante notare come l’operazione presenti delle caratteristiche tali da poter ipotizzare che si sia trattato di una c.d. killer acquisition. Ciò, a partire proprio dal fatturato irrisorio di NexVet al tempo (che verosimilmente ha impedito che la stessa potesse essere valutata da una autorità di concorrenza), cui si aggiunge lo stato di sviluppo in cui si trovava il prodotto in questione al momento dell’acquisizione, nonché il prezzo di acquisto (con un premio di circa il 66% sul prezzo delle azioni di NexVet nel 2017) a cui la Commissione potrebbe attribuire un rilievo probatorio. Sarà interessante, quindi, seguire lo sviluppo del caso per verificare, soprattutto, in che modo la Commissione valuterà gli aspetti della condotta abusiva che più si intrecciano con gli effetti dell’acquisizione di NexVet.

Irene Indino

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Tutela del Consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore dei sistemi di allarme – L’AGCM ha irrogato una sanzione di 4,25 milioni di euro a Verisure Italy S.r.l. contestando quattro diverse pratiche commerciali scorrette

Con la decisione dello scorso 12 marzo (la Decisione), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha comminato una sanzione ai danni della società Verisure Italy S.r.l. (Verisure o Società) per più di 4 milioni di euro per aver posto in essere quattro distinte violazioni del Codice del Consumo relative alla promozione e commercializzazione dei suoi sistemi di allarme e servizi di vigilanza da remoto. In particolare, Verisure avrebbe:

a) diffuso messaggi pubblicitari ingannevoli attraverso diversi mezzi di comunicazione (tra cui cartelloni stradali, il proprio sito web e spot televisivi) privi di riferimenti chiari e trasparenti in relazione al fatto che l’impianto di allarme, una volta stipulato il contratto di servizi, sarebbe stato fornito al consumatore in comodato d’uso e non in proprietà (Condotta A);

b) frapposto ostacoli al recesso dal contratto con conseguente pagamento, da parte del consumatore, di un servizio non più richiesto (Condotta B);

c) predisposto l’automatico inizio, a seguito della sottoscrizione del contratto di servizi predisposto da Verisure, della fornitura degli stessi già durante il periodo per esercitare il diritto di ripensamento (Condotta C); e, infine

d) indicato con scarsa chiarezza il foro competente in caso di eventuali controversie con i consumatori (Condotta D).

Secondo quanto risulta dalla Decisione, durante il procedimento, non sono state né accolte le argomentazioni avanzate da Verisure né è stato dato rilievo agli impegni presentati dalla stessa Società e al suo ravvedimento operoso.

Per quanto concerne la Condotta A, l’AGCM ha in particolare sottolineato che le comunicazioni pubblicitarie di Verisure, veicolate attraverso molteplici mezzi di comunicazione, facessero emergere la scarsa evidenziazione del riferimento alla concessione in comodato d’uso gratuito dell’impianto di allarme, con la conseguenza che il consumatore medio poteva essere indotto a pensare di averne acquisito la proprietà. L’AGCM al riguardo ribadisce la consolidata giurisprudenza che impone al professionista un onere informativo caratterizzato da chiarezza, trasparenza e comprensibilità delle comunicazioni fin dal “primo contatto” con il consumatore. La scorrettezza di questa pratica risulterebbe, secondo la Decisione, anche da ulteriori circostanze fuorvianti, rappresentate ad esempio dai comportamenti poco trasparenti degli incaricati Verisure e l’impossibilità per il consumatore di visionare accuratamente il contratto da sottoscrivere.

In relazione alla Condotta B, l’AGCM ha rilevato che la Società, pure a fronte del corretto esercizio del diritto di recesso da parte del consumatore, non si adoperava diligentemente e in termini brevi alla disinstallazione e smontaggio delle apparecchiature di vigilanza e del sistema di allarme. Diversamente, la Società continuava ad addebitare i canoni per un servizio che non veniva più fornito o utilizzato dal consumatore anche a distanza di mesi dall’aver ricevuto la richiesta di recesso, producendo un indebito condizionamento nei confronti del consumatore. Il consumatore era quindi costretto a ricontattare più volte Verisure per confermare la volontà di recesso, ovvero a bloccare i pagamenti bancari automatici, oppure in certi casi a rinunciare alle somme già acquisite da Verisure e attendere senza alcuna indicazione temporale lo smontaggio del sistema di allarme da parte della Società o a provvedervi a proprie spese, ritardando la possibilità di installare un altro tipo di impianto d’allarme).

Con riferimento alla Condotta C, l’AGCM ha ritenuto che la Società aveva inserito nei suoi contratti con i consumatori una clausola che, sebbene nella prima parte, esplicitasse il diritto di ripensamento con riferimento alle forme e ai contenuti, ossia la possibilità per il consumatore di esercitare il diritto di recesso entro 14 giorni dalla sottoscrizione del contratto negoziato fuori dai locali commerciali, nella seconda parte tuttavia non veniva prevista la facoltà per il consumatore di poter richiedere liberamente l’avvio immediato della prestazione del servizio attraverso un’esplicita richiesta alla Società, come disposto dal Codice del Consumo. In altre parole, la Società avrebbe previsto l’automatica attivazione del servizio e la conseguente fatturazione per il suo utilizzo, senza riconoscere, di fatto, al consumatore la facoltà di scegliere, se anticipare l’installazione dell’apparato e l’erogazione del servizio durante i giorni previsti per legge entro cui il consumatore può esercitare il diritto di ripensamento.

Infine, per quanto riguarda la Condotta D, l’AGCM ha contestato l’ambiguità della clausola contrattuale relativa al foro territoriale di competenza in caso di controversie, in quanto il professionista non ha reso esplicito il diritto del consumatore ad avere [chiarire quale era questo diritto non facendo riferimento ad articoli ma alla sostanza del diritto] a causa di una formulazione poco trasparente che faceva genericamente riferimento sul punto a “inderogabili previsioni di legge”.

All’esito dell’istruttoria, l’AGCM ha quindi ritenuto opportuno di irrogare una sanzione complessiva di più di 4 milioni di euro. L’AGCM pur ritenendo applicabile il recente Decreto Legislativo n. 26/2023 che ha innalzato l’importo massimo della sanzione per violazioni del Codice del Consumo da 5 a 10 milioni (in considerazione del fatto che le pratiche commerciali in esame sono cominciate prima dell’entrata in vigore della suddetta novella normativa e si sono protratte ben oltre l’entrata in vigore della stessa), senza tuttavia applicare il massimo edittale in funzione delle caratteristiche della condotta.

Non resta ora che attendere gli resiti di un eventuale ricorso al giudice amministrativo avverso il Provvedimento.

Sabina Pacifico

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Appalti, concessioni e regolazione / Divieto di nuove licenze per NCC – Al vaglio costituzionale il divieto di rilascio di nuove licenze NCC, la Corte costituzionale rinvia a sé stessa

Con l’ordinanza n. 35 del 7 marzo scorso, la Corte costituzionale (la Corte) ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art 10-bis comma 6 del D.L. 135/2018 che prevede il divieto temporaneo di rilasciare nuove autorizzazioni per l’esercizio del servizio di noleggio con conducente (NCC).

La questione è sorta nel corso del giudizio di legittimità costituzionale dove la Presidenza del Consiglio dei Ministri (la Presidenza del Consiglio) ha contestato la legge della Regione Calabria n. 16/2023 che ha disposto il rilascio di 200 nuove autorizzazioni NCC in favore di un’unica società, la “Ferrovie della Calabria S.r.l”.

Secondo la Presidenza del Consiglio, la legge regionale avrebbe violato il principio di concorrenza e la competenza comunale a disciplinare le licenze nei trasporti pubblici, poiché avrebbe attribuito 200 licenze NCC ad un solo operatore, direttamente con legge regionale e senza prevedere procedure di selezione pubblica. Inoltre, la norma si porrebbe in aperto contrasto con la legislazione statale che, all’art. 10-bis, comma 6, del D.L. 135/2018, prevede un divieto temporaneo di rilascio di nuove licenze sino alla completa attuazione dell’archivio informatico pubblico nazionale delle imprese titolari di licenza. In altre parole, secondo la prospettazione della Presidenza del Consiglio, questa previsione normativa dovrebbe configurare un principio fondamentale della legislazione statale che non può essere derogato dalla legislazione regionale.

Nell’ordinanza in commento, la Corte non è entrata nel merito delle censure, ma ha ritenuto di dover valutare in via pregiudiziale la legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del decreto 135/2018 ossia della stessa norma nazionale che la Presidenza aveva invocato come parametro di costituzionalità per valutare la legittimità della legge regionale.

In altre parole, la Corte ha sollevato d’ufficio di fronte a sé stessa una questione di legittimità costituzionale dell’art. 10-bis del D.L. 135/2018 e, a tale, fine, essa ha prospettato una sua possibile incostituzionalità perché irragionevole e non proporzionato (art. 3 Cost.) con riferimento al rapporto tra il fine (permettere l’adozione del registro) e il mezzo impiegato (il blocco delle autorizzazioni). A ciò si aggiunge il possibile contrasto con l’art 41 della Costituzione, che consente di limitare la libertà di iniziativa economica solo in presenza di ragioni tassativamente indicate, tra cui l’utilità sociale.

La Corte, del resto, aveva già affrontato la questione in una precedente sentenza, respingendola sul presupposto che il divieto di rilasciare autorizzazioni fosse temporaneo e, come tale, giustificato dall’esigenza di disporre del tempo tecnico per adottare il registro. A distanza di oltre cinque anni, tuttavia, questo registro non è ancora attivo, perché l’efficacia della normativa attuativa è stata sospesa in attesa di un ulteriore decreto ministeriale, non ancora emanato. Tale meccanismo, secondo la Corte, ha quindi sembra avere l’effetto di impedire per un tempo indefinito l’ingresso di nuovi operatori nel mercato degli NCC.

Matteo Salsano

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Energy / Energia e imprese ad alto consumo – Il TAR Milano si pronuncia sulla disciplina tariffaria agevolativa per le imprese altoconsumanti con riferimento al periodo 2020-2023

In data 23 marzo 2024, con sentenza n. 878/2024, il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia (TAR Lombardia) ha accolto il ricorso di EP Produzione S.p.A. (la Società Ricorrente) contro l’Autorità di Regolazione per Energia Reti e Ambiente (ARERA) in relazione alla concessione alle imprese c.d. altoconsumanti (ossia, con consumo di gas naturale sopra i 10 mln mc annui) di misure di economicità per il trasporto del gas.

È il caso di ricostruire brevemente i punti principali della vicenda. Con l’articolo 38, comma 2-bis, del decreto-legge n. 83/12 (l’Articolo 38) è stato disposto che l’ARERA avrebbe dovuto adeguare il sistema delle tariffe di trasporto del gas naturale “secondo criteri che rendano più flessibile ed economico il servizio di trasporto” a vantaggio delle imprese altoconsumanti. In risposta ad una serie di delibere di regolazione tariffaria da parte dell’ARERA che, in breve, non implementavano propriamente l’Articolo 38 con riferimento sia agli anni dal 2018-2019 sia agli anni 2020-2023, una serie di produttori termoelettrici (tra cui la Società Ricorrente) hanno presentato ricorsi, in esito ai quali il Consiglio di Stato (CdS) è definitivamente intervenuto nel 2022 con le sentenze nn. 6096 (riferibile al periodo 2018-2019) e 6098 (riferibile al periodo 2020-2023) (la Sentenza 6098).

Con tali pronunce, il CdS ha confermato l’illegittimità della regolazione tariffaria dell’ARERA nella parte in cui non aveva dato attuazione all’Articolo 38, e ha obbligato l’ARERA ad introdurre, nella regolazione tariffaria e salvaguardando le prerogative di discrezionalità dell’azione del regolatore, un trattamento differenziato degli operatori altoconsumanti. In ragione di ciò, l’ARERA ha avviato un procedimento per ottemperare alle due sentenze suddette.

Successivamente a ciò, tuttavia, è intervenuta l’abrogazione dell’Articolo 38 ad opera dell’articolo 22-ter decreto-legge n. 69/23 (l’Articolo 22-ter) recante “Disposizioni per l’adeguamento alla comunicazione della Commissione europea 2022/C 80/01, del 18 febbraio 2022, recante la disciplina in materia di aiuti di Stato in materia di clima, dell’ambiente e dell’energia 2022”. Il fine di tale abrogazione era, appunto, quello di limitare le agevolazioni da riconoscere alle imprese altoconsumanti ai parametri indicati dalla Commissione europea nei suoi orientamenti in materia di “aiuti di Stato a favore del clima, dell’ambiente e dell’energia” (la Comunicazione). In ragione di tale abrogazione, con delibera n. 410/2023 del 19 settembre 2019, nonché in ragione del possibile contrasto con la normativa europea, l’ARERA ha deciso di non implementare alcuna misura.

Con il ricorso in commento, la Società Ricorrente ha chiesto al TAR Lombardia che l’ARERA ottemperasse alla Sentenza 6098 (riferibile, appunto, agli anni 2020-2023). Secondo il TAR Lombardia, l’Articolo 22-ter non ha portata retroattiva ma, poiché la sua rubrica fa evidente riferimento ad un atto comunitario del 2022 che funge da ragione giustificativa dell’abrogazione, si deve ritenere che il legislatore abbia ritenuto di ancorare all’entrata in vigore di tale atto comunitario l’incompatibilità della misura di favore nella definizione delle tariffe di trasporto di cui la Società Ricorrente invoca l’applicazione. Ne consegue, secondo il TAR Lombardia, l’obbligo dell’ARERA di ottemperare entro sei mesi alla Sentenza 6098, fino alla data di entrata in vigore della Comunicazione.

Tale sentenza del TAR Lombardia si pone in (parziale) contrasto con una precedente sentenza di inizio marzo 2024 del TAR Lombardia (di diversa sezione) che si era pronunciata sulla stessa questione ma con riferimento al periodo 2018-2019. Anche in questo caso, il TAR Lombardia ha obbligato l’ARERA ad ottemperare alla relativa sentenza del CdS con riferimento a questi anni, con la differenza che aveva chiesto di avviare un procedimento entro 60 giorni (senza limiti di tempo per la sua conclusione).

Sarà interessante vedere ora non solo cosa, in caso, deciderà il CdS sul punto ma altresì come l’ARERA potrà ottemperare a tali sentenze, in parte contrastanti.

Mila Filomena Crispino

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Legal News / Digital Services Act e marketplaces – La CGUE conferma in appello la decisione della Commissione di designazione di Amazon Store come piattaforma online di grandi dimensioni

La Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) ha accolto il ricorso presentato dalla Commissione europea (la Commissione) avverso un’ordinanza del Tribunale UE (il Tribunale) relativa ad Amazon e che rappresentava la prima decisione delle corti europee in materia di Digital Services Act (DSA) (la Prima Ordinanza). In particolare, tale Prima Ordinanza aveva sospeso in parte l’esecuzione della decisione della Commissione che designava Amazon Store come piattaforma online di grandi dimensioni (la Decisione).

Ripercorrendo brevemente i fatti, a valle della sua designazione, Amazon aveva impugnato la Decisione domandando l’applicazione di misure cautelari per sospendere, inter alia, l’obbligo di rendere pubblico un registro degli annunci pubblicitari sulla propria piattaforma (l’Obbligo di Pubblicazione). Come già analizzato recentemente nella presente Newsletter, lo scorso ottobre il Tribunale aveva – con la Prima Ordinanza – ritenuto meritevole di tutela la richiesta di sospensiva di Amazon in relazione a tale obbligo, basandosi sul presupposto che almeno una parte dei dati contenuti nel registro di annunci sarebbero confidenziali. Secondo il Tribunale, la pubblicazione degli stessi nelle more di definizione del giudizio avrebbe determinato un pregiudizio per Amazon al quale difficilmente si sarebbe potuto porre rimedio.

Contro la Prima Ordinanza la Commissione aveva presentato ricorso, lamentando, inter alia, alcuni errori da parte del Tribunale nella valutazione dei requisiti necessari per l’adozione di misure cautelari, nonché l’errato bilanciamento degli interessi in gioco nel caso di specie e la violazione del principio di proporzionalità.

La CGUE ha, in primis, rilevato che, nel corso della fase cautelare, alla Commissione era stata negata l’opportunità di commentare su talune argomentazioni avanzate da Amazon, centrali nella valutazione della natura confidenziale delle informazioni da pubblicare. Secondo la CGUE non è possibile escludere che le osservazioni ulteriori che la Commissione avrebbe potuto presentare avrebbero potuto indurre il Tribunale ad un diverso convincimento circa la necessità delle misure cautelari. Tale violazione del contraddittorio è, dunque, sufficiente – ad avviso della CGUE – per determinare l’annullamento delle Prima Ordinanza, nella parte in cui si pronuncia circa la sospensione dell’Obbligo di Pubblicazione.

Avendo annullato la Prima Ordinanza, la CGUE ha poi statuito essa stessa sulla questione, emettendo l’ordinanza in commento (la Seconda Ordinanza). Confermando in parte quanto già ritenuto dal Tribunale, nella propria analisi la CGUE ha ritenuto che non fosse possibile respingere, prima facie, l’argomentazione di Amazon, secondo cui l’Obbligo di Pubblicazione limiterebbe illegittimamente i diritti fondamentali al rispetto della vita privata e alla libertà d’impresa. Secondo la CGUE, dalle argomentazioni presentate non si sarebbe potuto infatti determinare – con sufficiente evidenza – che le informazioni che Amazon sarebbe obbligata a condividere non fossero confidenziali, e, in quanto tali, idonee a determinare un danno grave ed irreparabile.

Ciononostante, la CGUE ha proceduto ad effettuare un bilanciamento degli interessi in gioco, propendendo per la prevalenza degli obiettivi perseguiti dalla Commissione.

Infatti, contrariamente a quanto sostenuto da Amazon, la mancata concessione di misure cautelari – ad avviso della CGUE – non pregiudicherebbe l’efficacia di un futuro annullamento della Decisione, né l’interesse a ottenere tale annullamento da parte di Amazon, che, qualora la Decisione venisse in futuro annullata, potrebbe tornare ad essere un “ambiente” più attraente da un punto di vista di business e sviluppare diverse strategie commerciali non più “disponibili” ai concorrenti per il tramite del registro. Secondo la CGUE, inoltre, non è stato dimostrato che, in assenza di misure cautelari, la sopravvivenza o lo sviluppo a lungo termine di Amazon sarebbero stati messi a rischio.

Al contrario, la sospensione dell’esecuzione della Decisione comporterebbe – secondo la CGUE – un ritardo, anche di diversi anni, nella piena realizzazione degli obiettivi del DSA, permettendo, potenzialmente, la persistenza o lo sviluppo di un ambiente online che minaccia i diritti.

L’ordinanza in commento risulta di particolare interesse in quanto fornisce alcune indicazioni sulla natura degli obblighi derivanti dal DSA e sul necessario bilanciamento degli interessi da quest’ultimo tutelati rispetto a quelli delle imprese. Non resta ora che attendere il giudizio di merito rispetto alla designazione di Amazon quale piattaforma online di grandi dimensioni.

Fabio Bifarini

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