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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 18 marzo 2024

Diritto della concorrenza – Italia / Intese e settore del cartone ondulato – Il Consiglio di Stato fornisce una interpretazione autentica della propria sentenza di appello in sede di ricorso per revocazione

Con sentenza dello scorso 5 marzo, il Consiglio di Stato (CdS) ha definito il giudizio di revocazione promosso dalla società International Paper Italia s.r.l. (IPI) nella vicenda riguardante un’intesa per la fissazione dei prezzi degli imballaggi in cartone ondulato. Con tale sentenza, il CdS ha chiarito i criteri che, in esecuzione della sua precedente sentenza del 20 marzo 2023 (Sentenza Originaria), l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avrebbe dovuto seguire nella rideterminazione della sanzione a carico della società IPI.

La vicenda (come meglio discusso in una nostra precedente Newsletter) prende le mosse dal provvedimento con cui, nel 2019, l’AGCM ha accertato l’esistenza dell’intesa e ha sanzionato le imprese che vi hanno aderito. Le imprese hanno impugnato il provvedimento di fronte al giudice amministrativo che, a conclusione del contenzioso, ha annullato il provvedimento dell’AGCM nella parte relativa alla quantificazione della sanzione. In particolare, il CdS ha statuito che l’AGCM non aveva valutato in modo corretto la gravità della condotta imputabile alle imprese partecipanti e, pertanto, ha disposto che l’AGCM procedesse alla rideterminazione delle relative sanzioni.

In tale contesto, la società IPI ha impugnato per revocazione la Sentenza Originaria del CdS. Secondo la prospettazione di IPI, la Sentenza Originaria aveva omesso di statuire su alcuni motivi di appello che, ove accolti, avrebbero potuto comportare un’ulteriore riduzione della sanzione. In particolare, l’omessa pronuncia riguardava i motivi con i quali la società IPI aveva contestato (i) la mancata valutazione degli effetti dell’intesa ai fini della gravità della condotta; (ii) l’erroneo rilievo in relazione all’infrazione attribuito ai dati aggregati comunicati dall’associazione di categoria (Gifco) ai suoi associati; (iii) la mancata attribuzione di una riduzione del 20% per aver avuto un ruolo marginale nell’intesa; e (iv) la mancata attribuzione di un’attenuante del 15% per l’adozione di un programma di compliance da parte di IPI. Sul versante opposto, l’AGCM si è costituita in giudizio sostenendo che la Sentenza Originaria aveva implicitamente respinto anche questi motivi.

Nel definire il giudizio di revocazione, la sentenza odierna del CdS non segue né la prospettazione della società IPI, né quella dell’AGCM. Infatti, il CdS non ritiene che, nel caso di specie, ci sia un caso di omessa pronuncia che possa giustificare la revocazione della sentenza originaria. Tuttavia, anche contrariamente a quanto ritenuto dall’AGCM, il CdS statuisce che la sentenza originaria non ha implicitamente respinto i motivi in esame, ma ha invece inteso accogliere i medesimi motivi, traducendosi in una “pronuncia di accoglimento composita che va letta necessariamente ad ampio raggio”. In particolare, il CdS chiarisce esplicitamente – con riferimento ai motivi sub (i) e (ii) – che questi debbono certamente essere presi in considerazione dall’AGCM ai fini della rideterminazione della sanzione; analogamente, con riferimento ai motivi sub (iii) e (iv), il CdS chiarisce che questi sto costituiscono il principale correttivo di cui l’AGCM dovrà servirsi al fine di rideterminare la sanzione, evitando quell’appiattimento al massimo edittale del 10% del fatturato che impedisce un’adeguata individualizzazione e differenziazione della sanzione applicata.

Inoltre, il CdS ha reputato “invero evidente, nello spirito della pronuncia” che la Sentenza intendesse giungere ad “una non trascurabile riduzione della somma originariamente irrogata” e che ciò ben si evince anche dalla circostanza che il CdS non ha proceduto direttamente alla riduzione, esercitando la propria giurisdizione di merito, “in ragione proprio della ampiezza di tale rideterminazione”.

In conclusione, il CdS chiarisce i canoni a cui l’AGCM avrebbe dovuto attenersi nel rideterminare la sanzione di IPI per evitare una ulteriore violazione del principio di proporzionalità delle sanzioni, soprattutto in casi di illeciti complessi con numerosi partecipanti come quello in esame. Non resta che attendere l’ulteriore evoluzione della vicenda, atteso che l’AGCM non potrà a questo punto ignorare i chiarimenti forniti dal CdS.

Irene Indino

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Concentrazioni e obblighi di notifica – L’AGCM aggiorna le soglie di fatturato, adotta un nuovo formulario, e pubblica nuove linee guida per l’esercizio del potere di call-in nel caso di operazioni sotto-soglia

Con un trittico di provvedimenti pubblicati nel corso della scorsa settimana, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha (i) aggiornato le soglie di fatturato che fanno scattare l’obbligo di notifica delle operazioni di concentrazione (le Soglie Rilevanti); (ii) pubblicato un nuovo formulario per la notifica delle concentrazioni (il Nuovo Formulario); e (iii) aggiornato le linee guida relative alle modalità di esercizio del potere di c.d. call-in (le Linee Guida 2024).

Come anticipato, con il provvedimento n. 31088 del 5 marzo 2024, l’AGCM ha aggiornato le Soglie Rilevanti. In particolare, per le operazioni la cui documentazione contrattuale è stata sottoscritta dall’11 marzo 2024, le Soglie Rilevanti cumulative sono ora pari a (i) 567 milioni di euro, per quanto riguarda il fatturato totale realizzato in Italia dall’insieme delle imprese interessate all’operazione, e (ii) 35 milioni di euro, per quanto riguarda il fatturato totale realizzato individualmente in Italia da almeno due delle imprese interessate.

In secondo luogo, con la delibera n. 31089 del 27 febbraio 2024 l’AGCM ha pubblicato il Nuovo Formulario, che sostituirà, a partire dal 1° maggio 2024, l’attuale versione, risalente al 2017 (il Precedente Formulario). Gli oneri informativi nella notifica delle concentrazioni in Italia tendono così ad allinearsi ai nuovi indirizzi europei, riflessi nel nuovo formulario per la notifica delle concentrazioni dinanzi alla Commissione europea, approvato lo scorso anno.

In tal senso, vengono innalzate le quote di mercato detenute dalle imprese partecipanti alla concentrazione al fine di individuare i “mercati interessati” dall’operazione (e, dunque, oggetto di penetranti obblighi informativi).

Ad esempio, se nel Precedente Formulario veniva considerato “interessato” il mercato dove due o più partecipanti alla concentrazione operano contemporaneamente e, post-merger, verrebbero a detenere una quota non inferiore al 15%, ai sensi del Nuovo Formulario il mercato sarà “interessato” se la quota delle imprese post-merger sarà non inferiore al 20% (laddove la differenza nel grado di concentrazione nel mercato, misurato con il delta dell’indice HHI, sia maggiore di 150), oppure superiore al 50%.

Inoltre, il Nuovo Formulario riflette la sempre maggiore attenzione posta dall’AGCM su elementi ulteriori rispetto alle sole quote di mercato detenute dalle imprese partecipanti alla concentrazione. Si veda ad esempio la sezione VI.I.2.1 del Nuovo Formulario, dedicata alle caratteristiche dell’offerta nei “mercati interessati”, significativamente più articolata della versione precedente, nonché lo spazio riservato alle attività di ricerca e sviluppo concretamente, o anche solo potenzialmente, svolte dalle imprese partecipanti alla concentrazione.

Da ultimo, e come anticipato, l’AGCM ha pubblicato le Linee Guida 2024 relative alle modalità di esercizio del potere di richiedere la notifica di operazioni sottosoglia (c.d. call-in), attribuito all’AGCM dalla Legge annuale per il mercato e la concorrenza 2021. Come noto, infatti, il nuovo art. 16, comma 1-bis, della legge 287/1990 consente ora all’AGCM di richiedere la notifica di operazioni che non raggiungano le Soglie Rilevanti, laddove (i) venga raggiunta almeno una delle due soglie ovvero qualora il fatturato totale realizzato a livello mondiale dalle imprese coinvolte nell’operazione sia pari ad almeno 5 miliardi di euro, laddove(ii) sussistano concreti rischi per la concorrenza nel mercato nazionale o in una sua parte rilevante, e (iii) non siano trascorsi oltre sei mesi dalla data dell’eventuale perfezionamento dell’operazione.

L’approvazione delle Linee Guida 2024 giunge ad appena un anno di distanza dalla pubblicazione delle precedenti linee guida – adottate a fine dicembre 2022 (le Linee Guida 2022) – e tiene in considerazione l’esperienza maturata dall’AGCM nel primo anno di applicazione dei nuovi poteri, fornendo alcuni chiarimenti pratici di non poco momento.

In continuità con le Linee Guida 2022, anche le Linee Guida 2024 confermano che l’AGCM – nel valutare eventuali rischi per la concorrenza derivanti dall’operazione sotto-soglia – terrà in considerazione soprattutto criteri qualitativi, relativi alle caratteristiche del mercato coinvolto o delle imprese partecipanti all’operazione. Anche le Linee Guida 2024 confermano i “safe-harbours” già delineati nelle Linee Guida 2022, sotto forma di percentuali di quote di mercato detenute dalle imprese coinvolte, e del grado di concentrazione dei mercati interessati, attraverso il riferimento a parametri quantitativi che, se non superati, rendono “improbabile” la sussistenza di rischi per la concorrenza e, quindi, improbabile l’esercizio dei poteri do call-in dell’AGCM.

Diversi, peraltro, sono le aree di discontinuità tra le Linee Guida 2022 e le Linee Guida 2024.

In primo luogo, le Linee Guida 2024 fissano un termine massimo per la comunicazione volontaria all’AGCM, da parte delle imprese coinvolte nell’operazione sotto-soglia (la Comunicazione Volontaria). Secondo le Linee Guida 2024, infatti, la Comunicazione Volontaria dovrebbe pervenire all’AGCM prima del perfezionamento dell’operazione, e comunque non oltre il secondo mese dal suo perfezionamento. Sempre in merito a tale comunicazione volontaria, mentre le Linee Guida 2022 richiedevano che le imprese indicassero i motivi per i quali l’operazione potrebbe “…determinare concreti rischi per la concorrenza…”, le Linee Guida 2024 si limitano a richiedere l’indicazione delle ragioni per cui l’operazione potrebbe “…[a]vere un effetto sulla concorrenza …”.

In secondo luogo, le Linee Guida 2024 aprono anche formalmente alle possibilità – per le imprese destinatarie della richiesta, da parte dell’AGCM, di effettuare la notifica di un’operazione sotto-soglia – di accedere al procedimento di pre-notifica.

Infine, e con riguardo al termine di 60 giorni concesso all’AGCM (una volta ricevuta una Comunicazione Volontaria) per richiedere la notifica formale dell’operazione, la nuova formulazione letterale delle Linee Guida 2024 sembra suggerire la perentorietà di tale termine. Decorso inutilmente, quindi, sembrerebbe che le imprese possano ritenersi “esentate” dall’obbligo di notifica dell’operazione.

I documenti oggetto del presente commento – e, in particolare, il Nuovo Formulario e le Linee Guida 2024 – assumono notevole rilievo nell’ottica di ammodernamento della disciplina concreta sul controllo delle concentrazioni in Italia, anche alla luce dell’importante esperienza maturata in ambito nazionale e comunitario negli ultimi anni, e dei nuovi poteri recentemente conferiti all’AGCM.

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Private enforcement, trasporto aereo e servizi di agenzia – La Corte d’Appello di Milano accerta che la condotta di un vettore aereo di riservare la vendita dei propri biglietti sui propri canali non costituisce di per se un abuso di posizione dominante

Con la sentenza n. 421/2024 di recente pubblicazione, la Corte d’Appello di Milano (la CdA) aggiunge un tassello al contenzioso che vedeva contrapposti in sede civile un noto vettore aereo low cost e una online travel agent (OTA) per un preteso abuso di posizione dominante del primo. In particolare, tale noto vettore, facendo leva sulla propria posizione nel mercato a monte della vendita dei biglietti aerei, avrebbe asseritamente impedito alla OTA di competere efficacemente nel mercato a valle dei servizi di viaggio e turismo. Per la CdA, la scelta del vettore di riservarsi la vendita dei propri biglietti aerei costituirebbe una legittima scelta imprenditoriale, e non configura un abuso in violazione dell’articolo 102 TFUE.

La vicenda trae le mosse dalla decisione assunta dal vettore aereo di impedire l’acquisto dei propri biglietti aerei tramite soggetti terzi, cosicché essi potevano essere acquistati esclusivamente attraverso il proprio sito, su cui venivano offerti anche servizi ulteriori (prenotazioni alberghiere, noleggio auto, ecc.) da parte dei suoi partner commerciali. Una OTA aveva contestato dinanzi al Tribunale di Milano (il Tribunale), con una azione c.d. standalone (ossia in assenza di un precedente accertamento da parte dell’AGCM), che la compagnia aerea stava sfruttando la propria posizione dominante sul mercato a monte dei servizi di trasporto aereo passeggeri per escludere, o quantomeno limitare, la concorrenza nel mercato a valle dei servizi di agenzia viaggi e turismo. Il Tribunale aveva accertato l’esistenza di tale illecito, mentre la CdA in appello aveva raggiunto una conclusione opposta. La questione si spostava così dinanzi alla Corte di Cassazione (Cassazione), la quale aveva ritenuto che la CdA avesse (i) errato nel definire il mercato rilevante “a monte” come il mercato dei voli aerei intracomunitari (da/all’Italia); (ii) trascurato il collegamento tra il mercato “a monte” dei voli aerei e quello “a valle” dei servizi di agenzia e turismo; ed (iii) errato nell’affermare che fosse onere della OTA provare l’esattezza della definizione del mercato rilevante che sosteneva. Poiché le carenze riscontrate avevano inficiato il ragionamento conseguente sulla posizione dominante e l’abuso del vettore aereo, la Cassazione aveva cassato la sentenza con rinvio nuovamente alla CdA (si veda la nostra Newsletter del 13 gennaio 2020).

Con la sentenza in commento, la CdA ha ritenuto che la decisione del vettore aereo di riservare a sé la vendita di biglietti aerei non costituisca abuso di posizione dominante.

In particolare, a valle di una consulenza tecnico d’ufficio (CTU) ordinata dalla CdA di cui la medesima CdA ha ritenuto di condividere le conclusioni, quest’ultima ha prima affrontato la questione della definizione del mercato rilevante (e della relativa posizione di mercato del vettore aereo) e poi svolto le proprie valutazioni circa l’esistenza o meno di una condotta abusiva di tipo escludente.

Sul mercato rilevante, la CdA ha sposato la ricostruzione del professionista incaricato per la CTU che ha ritenuto dovesse utilizzarsi il criterio delle “coppie di origine-destinazione” (ossia, ogni punto di origine e destinazione di un servizio di trasporto aereo costituisce un mercato rilevante distinto) ovvero quello delle “coppie di città” posto che – considerate le caratteristiche della domanda – i clienti che volano ed utilizzano servizi di agenzia turistica (le OTA) sono tipicamente clienti che volano per turismo e sono quindi maggiormente interessati non all’aeroporto di origine-destinazione, bensì alla città di origine e destinazione.

Circa invece la ricaduta della posizione del vettore aereo a monte sul mercato a valle delle agenzie di viaggio e turismo, il professionista incaricato per la CTU, comparando i servizi offerti dalle parti, aveva ritenuto che (i) da un punto qualitativo, i servizi offerti dalle OTA sono molto più estesi rispetto al vettore aereo (in quanto vendono biglietti anche di altri vettori e altri mezzi di trasporto e hanno un’offerta di servizi ancillari molto più ampia); (ii) da un punto di vista quantitativo, la percentuale di passeggeri del vettore che acquistano anche servizi ancillari non afferenti al volo è trascurabile, e quindi “….la vendita di questi servizi […] non risulta che abbia in concreto un particolare impatto sulla domanda che possa rivolgersi ad altri soggetti quali le OTA…”; (iii) da un punto di vista economico, nel 2019 i ricavi del vettore aereo derivanti da tali attività ancillari risultavano inferiori al 4% dei suoi ricavi totali. Quindi, “…non è certo dalla diretta vendita di questi servizi […] che le Agenzie possono derivare particolare nocumento…”. La CTU aveva concluso (un po’ frettolosamente a parer nostro) che il vettore aereo convenuto e la OTA non fossero in concorrenza tra loro, nella misura in cui il vero driver per le OTA non è la vendita di biglietti aerei ma i servizi di ospitalità.

Relativamente all’esistenza di un abuso, la CdA ha ricordato la nota giurisprudenza europea secondo cui la concorrenza basata sui meriti potrebbe anche condurre all’uscita o emarginazione di concorrenti meno efficienti e che un abuso potrebbe sussistere anche laddove gli effetti pregiudizievoli per i consumatori non si sono ancora verificati, ma che tale circostanza potrebbe anche costituire un indizio del fatto che la condotta in questione non era in realtà idonea a produrre gli effetti escludenti dedotti. Inoltre, la CdA ha ricordato che rimane ferma – anche per gli operatori dominanti – la facoltà di scegliere liberamente la persona cui offrire le proprie prestazioni, da cui discende che una limitazione di tale facoltà dovrebbe basarsi su circostanze eccezionali, da esaminarsi a seconda del caso di specie.

Alla luce di tali principi, la CdA ha ritenuto che non fosse dimostrato che la condotta in analisi avesse privato l’OTA di un accesso ad una risorsa essenziale ed indispensabile per svolgere la propria attività, posto che (i) i servizi venduti ai consumatori sono diversi e compositi, (ii) il vettore aereo offriva servizi ancillari (non afferenti il volo) qualitativamente e quantitativamente più ridotti della OTA, e che, in ogni caso, (iii) la OTA avrebbe potuto accedere alle informazioni sui voli e prezzi del vettore aereo dietro pagamento di una licenza dal valore “simbolico” ed era stato rilevato che (iv) avesse potuto svolgere un servizio di comparazione voli/prezzi mediante il c.d. screen scraping (ossia, trovare le informazioni su internet con programmi ad hoc). Quindi, non è stata ritenuta neanche dimostrata l’esistenza di un effetto escludente a danno della OTA. Di contro, la scelta imprenditoriale del vettore è stata ritenuta “…economicamente giustificata” in termini di contenimento dei costi operativi ed eliminazione dei costi legati all’intermediazione nella vendita dei biglietti…” che ha contribuito, per la CdA, all’applicazione “di tariffe competitive”.

La sentenza in commento conferma la crescente importanza delle valutazioni economiche (e le relative consulenze tecniche di parte e d’ufficio) nel contesto dei contenziosi per risarcimento danni antitrust. Inoltre, risulta interessante la prospettiva fornita dai giudici civili rispetto a condotte simili a quanto oggetto di una indagine AGCM tutt’oggi in corso, contro il medesimo vettore aereo low cost, per asserito abuso ai danni delle agenzie di viaggio (si veda la nostra Newsletter del 25 settembre 2023.

Cecilia Carli

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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore digitale – L’AGCM ha irrogato una sanzione di 10 milioni di euro a TikTok per insufficienti controlli sui contenuti suscettibili di minacciare la sicurezza di soggetti minori e vulnerabili

L’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), con il provvedimento del 5 marzo scorso, ha sanzionato TikTok Technology Limited, TikTok Italy S.r.l. e TikTok Information Technology UK Limited (TikTok) per 10 milioni di euro, per aver realizzato alcune pratiche commerciali scorrette relative alla diffusione di contenuti potenzialmente pericolosi sulla propria piattaforma, ai sensi degli articoli 20 commi 2 e 3, 21 comma 2 lettera b), 21 comma 4, 25 comma 1 lettera c) del Codice del consumo.

Nella prospettazione dell’AGCM, tali pratiche sarebbero consistite nella predisposizione di insufficienti iniziative, da parte di TikTok, per limitare la diffusione di video – divenuti virali sulla piattaforma – relativi alla cosiddetta iniziativa della “cicatrice francese”, una, (obiettivamente assurda) sfida volta ad auto-infliggersi una, seppur leggera, lesione che alcuni adolescenti avevano lanciato online. In particolare, è stata contesta a TikTok (i) la mancata predisposizione di adeguate misure di controllo e di vigilanza sui contenuti caricati sulla propria piattaforma, (ii) la violazione degli obblighi di diligente applicazione delle proprie Linee Guida, (iii) la diffusione di contenuti in grado di minacciare la sicurezza psico-fisica di bambini e adolescenti, e (iv) l’indebito condizionamento degli utenti attraverso la riproposizione di contenuti che sfruttano la vulnerabilità di alcuni gruppi di consumatori.

Nel corso del procedimento istruttorio, TikTok aveva, inter alia, eccepito l’incompetenza dell’AGCM a valutare i fatti descritti, evidenziando, da un lato, la mancata individuazione della decisione commerciale inficiata dalle condotte e, dall’altro, sostenendo la sola applicabilità delle norme del Digital Services Act (DSA). E’ interessante che, sulla base di argomentazioni analoghe, l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni ha ritenuto di non rilasciare il parere richiesto dall’AGCM ex articolo 27, comma 6, del Codice del consumo, ritenendo i profili di contestazione della condotta “non collegati ad una qualche pratica commerciale” e, quindi, riconducibili alle proprie competenze esclusive, ai sensi del DSA.

Rispetto a tali rilievi, l’AGCM ha sostenuto:

  •  in primo luogo, la natura commerciale del rapporto tra TikTok e i suoi utenti, in ragione del quale l’erogazione del servizio di social network troverebbe il proprio corrispettivo nella cessione, da parte dei consumatori, dei propri dati personali, i quali, nell’ambito dei servizi offerti da TikTok, acquisterebbero un valore economico idoneo a configurare l’esistenza di un rapporto di consumo; e
  • in secondo luogo, che le norme del DSA, e in particolare l’articolo 2, facciano espressamente salva l’applicazione delle norme relative alla tutela dei consumatori.

A valle di tali considerazioni preliminari e sulla scorta degli elementi raccolti nell’istruttoria, l’AGCM ha riconosciuto le condotte contestate come “…suscettibili di determinare un’alterazione della scelta economica del consumatore avente ad oggetto le modalità di fruizione della piattaforma…”.

Sulla base della gravità e della potenzialità offensiva delle condotte realizzate sulla piattaforma, l’AGCM ha irrogato una sanzione pari al massimo edittale, applicando il nuovo regime sanzionatorio che ha innalzato il tetto massimo da 5 a 10 milioni di euro. Le ragioni di tale scelta sono da rinvenire, secondo l’AGCM, nell’esigenza di garantire una tutela rafforzata per i soggetti vulnerabili, nella dimensione economica di TikTok nonché nella durata di tali condotte, asseritamente ancora in corso.

Non resta ora che attendere gli esiti della proposizione di un eventuale ricorso davanti al TAR Lazio.

Costanza Sofia Vannini

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Pratiche commerciali scorrette e settore alimentare – L’AGCM ha accettato gli impegni proposti da DAVE’s S.r.l.

Con il provvedimento (il Provvedimento) pubblicato lo scorso 27 febbraio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha accolto gli impegni (gli Impegni) presentati dalla società DAVE’s S.r.l. (DAVE’s), chiudendo senza accertare alcuna violazione il procedimento avviato per presunte pratiche scorrette in relazione alla distribuzione del prodotto “Hot Chip Challenge” (il Prodotto), ossia una patatina piccante realizzata dalla società Hot-Chip s.r.o.

La vicenda trae origine da una segnalazione dell’Unione Nazionale Consumatori, a seguito della quale l’AGCM ha indagato alcune modalità di commercializzazione e distribuzione del Prodotto. In particolare, le condotte oggetto del procedimento concernevano le modalità di vendita del Prodotto, tra cui: (i) la presentazione di una sfida rivolta ai consumatori e diffusa attraverso la pagina web di DAVE’s e attraverso le sue piattaforme di social media (nella specie: “…quanto riuscirai a resistere senza correre a bere qualcosa che spenga questo incendio…”?); (ii) l’omissione di informazioni rilevanti circa le caratteristiche del prodotto; nonché (iii) l’omissione di informazioni rilevanti circa l’uso del prodotto, suscettibile di porre in pericolo la salute e la sicurezza dei consumatori.

Al termine dell’istruttoria, l’AGCM ha rilevato che DAVE’s avrebbe sfruttato “…l’elemento della sfida e della relativa pericolosità come leva per accrescere l’attrattività del prodotto, e di conseguenza le vendite…”. In particolar modo, attraverso una serie di espressioni quali “…faccia a faccia con il mietitore…” o “…così piccante da essere insopportabile per alcuni…”, DAVE’s avrebbe alimentato la volontà dei consumatori (soprattutto i più giovani) di accettare la sfida, che diviene parte integrante del Prodotto distribuito.

Inoltre, trattandosi di una pratica commerciale diffusa tramite internet, l’AGCM ha richiesto il parere dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM). In merito, l’AGCOM ha rilevato come internet sia di fatto “…uno strumento di comunicazione idoneo a influenzare significativamente la realizzazione della pratica commerciale…”, e che le informazioni presenti sul sito web e sui social di DAVE’s avrebbero potuto condurre il consumatore ad assumere “…una decisione commerciale che altrimenti non avrebbe preso…”.

Pertanto, al fine di evitare di incorrere in sanzioni (e di incorrere in un formale accertamento dell’infrazione), DAVE’s ha presentato i seguenti Impegni, in base ai quali l’AGCM ha ritenuto di chiudere il procedimento: (i) DAVE’s si è obbligata a cessare la commercializzazione del Prodotto con conseguente cessazione della pubblicizzazione del Prodotto sul sito internet e sulle piattaforme social; nonché (ii) si è impegnata alla cancellazione del Prodotto dai listini di vendita sia al dettaglio, sia all’ingrosso. Inoltre, gli Impegni assunti dovranno essere pubblicati per un periodo di sessanta giorni sulla homepage del sito internet di DAVE’s, a cura e spese di quest’ultimo.

Il Provvedimento in esame risulta quindi di particolare interesse non solo per la natura radicale degli Impegni proposti da DAVE’s, che rinuncia addirittura alla commercializzazione del proprio Prodotto, ma anche per l’oggetto del comportamento contestato, che sottolinea ancora una volta il particolare interesse dell’AGCM a perseguire un’attività di enforcement per quanto concerne l’attività di distribuzione e commercializzazione di prodotti tramite internet e piattaforme social.

Giulia Taglioni

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