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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 19 febbraio 2024
Diritto della concorrenza – Europa / DMA e gatekeeper – Il Tribunale dell’Unione Europea ha respinto la richiesta di Bytedance (TikTok) volta ad ottenere una sospensione della decisione della Commissione europea con la quale era stata designata come gatekeeper
Con l’ordinanza pubblicata lo scorso 9 febbraio, il Tribunale dell’Unione Europea (il Tribunale) ha respinto la richiesta di Bytedance – holding alla quale fa capo il social network TikTok (la Società) – di adottare misure cautelari volte a sospendere l’esecuzione della decisione della Commissione europea (la Commissione) con la quale la Società veniva designata come gatekeeper ai sensi del Regolamento 2022/1925, c.d. Digital Markets Act (DMA).
Ripercorrendo brevemente i fatti, nel settembre dello scorso anno – come già commentato nella presente Newsletter – la Commissione, con la decisione contestata (la Decisione), aveva ai sensi del DMA designato per la prima volta 6 gatekeeper (tra i quali anche Bytedance) ed individuato 22 servizi da questi forniti come core platform services. Successivamente, lo scorso 16 novembre, Bytedance ha presentato ricorso per l’annullamento della Decisione davanti al Tribunale, con una istanza urgente di adozione di misure cautelari al fine di sospendere l’esecuzione della Decisione, con specifico riferimento sia agli obblighi derivanti dagli articoli 5 e 6 del DMA, ossia relativi a nuove funzionalità, prodotti o servizi che il gatekeeper potrebbe offrire, sia dall’articolo 15 del DMA, consistenti nell’obbligo di presentare alla Commissione una descrizione dettagliata delle tecniche di profilazione dei consumatori applicate da TikTok (la Descrizione), peraltro soggetta ad un audit di un soggetto terzo ed indipendente.
Secondo la Società, la Decisione avrebbe potuto causare un danno grave ed irreparabile in quanto, ai sensi dell’articolo 15 del DMA, essa sarebbe stata obbligata a divulgare informazioni confidenziali riguardo la strategia commerciale di TikTok, informazioni che sarebbero “il cuore del business di TikTok in Europa”. A tal proposito, il Tribunale afferma, in primis, che la Società ha meramente sostenuto che simili informazioni fossero confidenziali e non ha dimostrato alcun rischio di divulgazione di informazioni riservate ai propri concorrenti o a terzi. Il Tribunale ricorda che in realtà la normativa non prevede la pubblicazione della Descrizione da presentare alla Commissione ai sensi del comma 1 dell’articolo 15 del DMA e che in ogni caso la protezione contro la divulgazione delle informazioni acquisite è assicurata dallo stesso DMA (articolo 36 comma 4). Ciò che è previsto invero è che lo stesso gatekeeper proceda alla pubblicazione di una “panoramica” di tale descrizione, in relazione al quale è previsto che possa “tenere conto della necessità di rispettare i propri segreti aziendali”. Infine, la Società avrebbe mancato anche di fornire informazioni specifiche e precise, supportate da dettagliata documentazione, tali da dimostrare le conseguenze irreparabili della Decisione in mancanza di misure cautelari e che un eventuale danno emergente fosse probabile ed imminente.
In riferimento agli obblighi di cui all’articolo 5 e 6 del DMA, il Tribunale rigetta le affermazioni di Bytedance. Secondo la Società, tali articoli impedirebbero di portare innovazione e offrire nuove funzionalità, prodotti e servizi. In particolare, le restrizioni riguardanti la combinazione e l’utilizzo incrociato di dati personali (articolo 5 comma 2 del DMA) – consistenti in sostanza nell’obbligo di ottenere il previo consenso espresso dell’utente per potervi procedere – sarebbero tali da limitare la capacità di TikTok di basarsi sulle informazioni disponibili dei propri utenti per sviluppare nuovi servizi e funzionalità. Il Tribunale contesta che il danno lamentato dalla Società si basa sull’erronea presunzione che, ai sensi dell’articolo 5 comma 2, essa sia sempre obbligata alla richiesta di consenso espresso all’utente per le proprie nuove funzionalità e servizi. Tale presunzione, non può invece essere confermata, in quanto la società avrebbe omesso di fornire indicazione dell’ambito concreto di applicazione di tale articolo, della natura effettiva dei dati che utilizzerebbe, della natura “incrociata” dell’uso di tali dati, nonché della natura “nuova” e “distinta” dei servizi che intenderebbe offrire. Peraltro, l’articolo 5 comma 2 non prevede un divieto assoluto, ma solamente l’obbligo di richiedere il consenso espresso da parte dell’utente, e dunque la Società avrebbe assunto arbitrariamente il rifiuto da parte dei propri utenti a tale consenso per dimostrare il paventato danno. Infine, il Tribunale afferma che il danno a cui la Società farebbe riferimento sarebbe solamente di natura pecuniaria e che, pertanto, potrebbe essere ritenuto irreparabile solamente laddove mettesse a rischio la sua sostenibilità finanziaria fino alla decisione nel giudizio di merito.
L’ordinanza in commento risulta di notevole interesse in quanto rappresenta la prima pronuncia delle Corti europee sull’applicazione del DMA Non resta ora che attendere la definizione del giudizio principale.
Fabio Bifarini
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Concentrazioni e settore del trasporto aereo – La Commissione europea ha autorizzato con condizioni l’acquisizione di Asiana Airlines da parte di Korean Air Lines
Con il comunicato stampa dello scorso 13 febbraio, la Commissione europea (la Commissione) ha approvato l’acquisizione di Asiana Airlines Inc. (Asiana) da parte di Korean Air Lines Co. Ltd. (KAL) (l’Operazione), condizionandola tuttavia agli impegni presentati a seguito di istruttoria (gli Impegni).
La Commissione, in data 17 febbraio 2023, ha avviato un’indagine approfondita – “c.d. fase II” – per valutare i rischi concorrenziali derivanti dall’Operazione, considerato che le società costituiscono i due principali vettori per il trasporto aereo di lungo e corto raggio, sia di passeggeri, sia di merci, da e per la Corea del Sud. In particolare, l’Operazione avrebbe potuto limitare la concorrenza in relazione alle rotte tra Corea del Sud e lo Spazio Economico Europeo (SEE) (i) sia nel settore del trasporto passeggeri, (ii) sia nel settore del trasporto di merci.
Le preoccupazioni della Commissione si concentrano, per il trasporto passeggeri sub (i), su quattro specifiche rotte, in cui KAL e Asiana risultano concorrenti “head-to-head” ed in due delle quali sono le uniche compagnie a fornire un servizio diretto. Ulteriori preoccupazioni concorrenziali sono state espresse con riferimento al servizio merci sub (ii), in cui sia Asiana che KAL risultano detenere importanti quote di mercato. L’Operazione, pertanto, avrebbe potuto limitare la concorrenza in questo settore, posto che altri concorrenti avrebbero dovuto superare barriere anche regolamentari tali da non poter competere efficacemente con la società risultante dall’Operazione.
Al termine dell’indagine, la Commissione ha quindi riscontrato che l’Operazione avrebbe potuto rimuovere un’importante pressione concorrenziale esercitata a favore dei consumatori, e ha quindi ribadito le preoccupazioni prospettate in merito alla possibile limitazione della concorrenza sia nel settore del trasporto merci tra la Corea del Sud e l’Europa, sia nel settore del trasporto passeggeri tra Seoul e quattro specifiche destinazioni europee (Roma, Parigi, Francoforte e Barcellona).
KAL ha presentato i seguenti Impegni, in base ai quali la Commissione ha autorizzato la prospettata acquisizione: in primis, (i) ha garantito di cedere, ad un acquirente approvato dalla Commissione, l’intera attività globale di trasporto merci di Asiana, inclusi gli aeromobili, gli slot, i diritti di traffico internazionali, il personale di volo e i contratti di trasporto con i clienti; nonché (ii) ha garantito di mettere a disposizione della compagnia rivale T-Way le risorse necessarie per le operazioni di volo sulle quattro rotte critiche, inclusi gli slot aeroportuali, i diritti di traffico e i necessari aeromobili.
Il rispetto degli Impegni suddetti sarà monitorato da un trustee indipendente, sotto la supervisione della Commissione.
Attualmente, l’Operazione è ancora oggetto di scrutinio negli Stati Uniti, mentre ha ricevuto l’approvazione, tra gli altri, dalla Competition and Markets Authority del Regno Unito (si veda in merito la Newsletter del 13 marzo 2023) e, recentemente, dalla Japan Fair Trade Commission del Giappone.
Giulia Taglioni
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Diritto della concorrenza – Italia / Intese e accordi di sostenibilità – L’AGCM ha adottato una comunicazione – mettendola contestualmente in consultazione – relativa all’applicazione dell’articolo 210-bis del Regolamento UE 1308/2013, il quale prevede che l’articolo 101 TFUE non si applichi ad alcuni accordi di sostenibilità relativi alla produzione e commercializzazione di prodotti agricoli
Lo scorso 2 febbraio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha avviato una consultazione pubblica, con il fine di raccogliere il contributo e le valutazioni dei soggetti interessati, in merito alla comunicazione relativa all’applicazione dell’art. 210-bis paragrafo 7 del Regolamento UE 1308/2013 recante l’organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli (Regolamento OCM) nell’ambito degli accordi di sostenibilità dei produttori agricoli.
Appare utile ricostruire brevemente il quadro normativo di riferimento; nel contesto della riforma della politica agricola comune (la PAC) per il periodo 2023-2027, è stato adottato il Regolamento UE 2021/2117, che modifica il Regolamento OCM mediante l’introduzione dell’art. 210-bis di cui oggi in commento.
In particolare, quest’ultimo articolo, con l’obiettivo di incentivare e promuovere a livello europeo un’agricoltura più sostenibile e maggiormente orientata al risultato, introduce una nuova esclusione dalle norme europee in materia di concorrenza per i prodotti agricoli.
Nell’ottica del raggiungimento del suddetto obiettivo, ai sensi dell’art. 210-bis del Regolamento OCM, sono esenti dall’applicazione dell’art. 101 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) gli accordi, le decisioni e le pratiche concordate dai produttori agricoli che mirano ad applicare norme di sostenibilità più rigorose di quelle obbligatorie ai sensi della normativa europea o nazionale. La conditio sine qua non per beneficiare di tale esclusione è che le eventuali restrizioni della concorrenza derivanti da questi accordi siano indispensabili per il conseguimento degli obiettivi di sostenibilità.
Il Parlamento Europeo e il Consiglio dell’Unione Europea hanno, per esigenze di chiarezza, chiesto alla Commissione europea (la Commissione) di pubblicare delle linee guida relative all’applicazione della suddetta esclusione, adottate tramite gli orientamenti in data 8 dicembre 2023.
Gli orientamenti si propongono di definire:
(i) l’ambito di applicazione dell’esclusione: la Commissione chiarisce che l’esclusione riguarda solo gli accordi conclusi tra due o più produttori agricoli, o tra produttori agricoli e altri attori attivi nella filiera agroalimentare;
(ii) gli obiettivi di sostenibilità ammissibili: al fine di soddisfare le condizioni di cui all’art. 210-bis, un accordo deve mirare all’attuazione di una norma di sostenibilità che contribuisca ad obiettivi relativi a tre specifiche categorie, ossia la protezione dell’ambiente, la riduzione dell’uso dei pesticidi e resistenza antimicrobica, la salute e il benessere degli animali. Ne consegue che le norme di sostenibilità orientate al perseguimento di obiettivi diversi, ad esempio di natura economica o sociale, non vanno tenute in considerazione;
(iii) i requisiti per gli standard di sostenibilità: lo standard di sostenibilità necessario per beneficiare dell’esclusione deve essere superiore a quello richiesto dalle norme europee o nazionali;
(iv) il carattere indispensabile delle restrizioni: la Commissione stabilisce le modalità di applicazione della condizione di indispensabilità a varie restrizioni della concorrenza a seconda delle norme di sostenibilità perseguite;
(v) il campo di applicazione degli interventi ex post da parte delle autorità garanti della concorrenza e della Commissione: le linee guida chiariscono che l’AGCM ha il potere di intervenire, chiedendo di porre fine o modificare gli accordi di sostenibilità, qualora questi ultimi comportino l’esclusione della concorrenza o la compromissione delle finalità della PAC, come stabilita ai sensi dell’articolo 39 paragrafo 1 TFUE.
La comunicazione adottata dall’AGCM qui in commento fa seguito a queste linee guida, ed in particolare si propone di fornire chiarimenti in merito all’orientamento di cui al punto (v), in materia di intervento ex post da parte dell’AGCM, chiarendo aspetti di natura temporale e specificando, ad esempio, che gli accordi conclusi prima dell’entrata in vigore dell’art. 210-bis (8 dicembre 2021) possono beneficiare dell’esclusione solo a decorrere da quella data, nonché alcuni profili procedurali. In particolare, l’applicazione dell’art. 210-bis paragrafo 7 è subordinata al monitoraggio del mercato da parte dell’AGCM; consumatori o associazioni di consumatori possono quindi segnalare gli accordi di sostenibilità che ritengono adottati senza avere rispettato le condizioni di cui all’art. 210-bis. Alla segnalazione segue l’avvio, da parte dell’AGCM, di approfondimenti pre-istruttori ed eventualmente una notifica di avvio dell’istruttoria alle imprese interessate, le quali avranno la possibilità di presentare memorie scritte e documenti fino a cinque giorni prima del termine dell’istruttoria.
Al termine del processo istruttorio, qualora si verifichino le condizioni di cui all’art. 210-bis paragrafo 7, e dunque vi sia un’esclusione della concorrenza o gli obiettivi stabiliti dall’art. 39 TFUE siano compromessi, si configurano due scenari:
(i) se l’accordo di sostenibilità è stato stipulato, ma non ancora attuato, l’AGCM può modificarlo in modo da allinearlo alle condizioni relative all’esclusione, o, qualora questo non fosse possibile, impedirne l’attuazione; oppure
(ii) nell’eventualità in cui tale accordo sia già stato attuato, l’AGCM può tentare di porre rimedio all’esclusione della concorrenza o compromissione degli obbiettivi europei tramite modifiche ad hoc ma, qualora queste modifiche non dovessero risultare sufficienti al perseguimento degli obiettivi, l’AGCM può ordinare l’interruzione o risoluzione dell’accordo.
Chiariti dunque gli aspetti temporali e procedurali dell’applicazione dell’art. 210-bis paragrafo 7, non resta che attendere l’esito della consultazione pubblica.
Maria Elisabetta D’Angelo
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Tutela del consumatore / Pratiche commerciali scorrette e settore del tabacco – L’AGCM sanziona British American Tobacco e Amazon per pratiche commerciali scorrette nella vendita di prodotti a tabacco riscaldato
Lo scorso 14 febbraio 2024, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM) ha sanzionato le società British American Tobacco Italia S.p.A. (BAT Italia) e Amazon EU S.à.r.l. (Amazon) (congiuntamente, le Società) – rispettivamente, per sei milioni e un milione di euro – per aver posto in essere pratiche commerciali scorrette nella pubblicizzazione e vendita di due prodotti a tabacco riscaldato (Glo Hyper X2 e Glo Hyper Air – i Dispositivi).
In particolare, le condotte finite nel mirino dell’AGCM consistevano nelle campagne pubblicitarie dei Dispositivi – condotte massicciamente sia online, sia su canali analogici (quali cartelloni pubblicitari e spot cinematografici, ecc.) – nonché nelle attività di vendita dei Dispositivi, sia sul sito appositamente predisposto da BAT Italia, sia su Amazon.
Secondo l’AGCM, infatti, nell’ambito di tali attività le Società avrebbero omesso o presentato in maniera ingannevole le due informazioni fondamentali sui rischi correlati all’acquisto e utilizzo dei Dispositivi, ossia (i) la circostanza che tali prodotti siano destinati ai soli maggiorenni, nonché (ii) la nocività dei Dispositivi per la salute dei consumatori, dovuta alla presenza di nicotina negli stick di tabacco che vengono inseriti nei Dispositivi per il loro utilizzo (gli Stick).
Con riguardo ad (i), in particolare, l’AGCM ha evidenziato come sia le campagne promozionali dei Dispositivi, sia i portali delle Società sui quali era possibile il loro acquisto, non contenessero chiaramente l’indicazione della destinazione dei Dispositivi ai soli maggiorenni, talvolta omettendo tout court i riferimenti a tale circostanza.
Più interessanti sono state le considerazioni svolte dalle Società e dall’AGCM in merito alle (ii) avvertenze circa la nocività dei Dispositivi per la salute dei consumatori, a causa della presenza di nicotina negli Stick. A tal proposito, infatti, sia BAT Italia, sia Amazon, hanno sostenuto che i Dispositivi – in quanto rientranti nella categoria dei prodotti a tabacco riscaldato, diversa da quella delle sigarette tradizionali o delle sigarette elettroniche – non sarebbero stati soggetti ai medesimi limiti e divieti previsti per queste ultime. Secondo le Società, pertanto, tale differenziazione sul piano merceologico – nonché la vendita separata dei Dispositivi, da un lato, e degli Stick, dall’altro – sarebbe sufficiente ad escludere la necessità di prevedere (nella fase di vendita dei soli Dispositivi) riferimenti alla nocività dell’utilizzo di questi ultimi una volta inseriti gli Stick.
Ebbene, sul punto l’AGCM è stata diretta nel definire un “mero artifizio retorico” le argomentazioni delle Società. Secondo l’AGCM, infatti, sebbene i Dispositivi e gli Stick siano venduti separatamente, essi costituiscono due elementi indispensabili e non separabili, giacché solo in combinazione tra loro permettono ai consumatori di “fumare tabacco”.
Ne consegue che l’argomento avanzato dalle Società secondo cui sarebbe possibile procedere alla pubblicizzazione dei Dispositivi prescindendo da qualsiasi riferimento al consumo di tabacco e nicotina e alla destinazione del prodotto ai soli maggiorenni, facendo unicamente richiamo all’estetica del prodotto e all’aspetto emozionale/esperienziale di tali oggetti rappresenterebbe, ad avviso dell’AGCM, una modalità di pubblicizzazione “[s]ubdola e gravemente ingannevole di [induzione del] consumatore ad acquistare un prodotto che comporta rischi per la salute o vietato ai minori”, tale, dunque, da violare la disciplina prevista dal Codice del Consumo.
La decisione in commento rappresenta un valido esempio di applicazione della normativa a tutela del consumatore da parte dell’AGCM nei casi di c.d. “effetto aggancio”, determinati da reclame pubblicitarie potenzialmente omissive e ingannevoli, specialmente, come nel caso di specie, nelle ipotesi in cui emergono profili particolarmente sensibili, quali quelli relativi alla salute dei consumatori.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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Appalti, concessioni e regolazione / Appalti - L’oggetto impossibile e le clausole immediatamente escludenti
Con sentenza del 15 febbraio scorso, il T.A.R. Lombardia ha dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’esclusione dalla procedura di gara per la fornitura di un prodotto non presente nel mercato.
Nel marzo 2023 Aria, azienda regionale per l’innovazione e gli acquisti della Regione Lombardia, ha pubblicato una procedura di gara per l’affidamento del servizio di ritiro, trasporto e smaltimento rifiuti sanitari. Viene inoltre prevista la fornitura di contenitori sanitari con specifiche caratteristiche volumetriche, che la stazione appaltante inserisce espressamente tra i requisiti minimi relativi all’offerta tecnica a pena di esclusione.
Tuttavia, non esistono in commercio contenitori con le caratteristiche richieste o, per lo meno, quelli reperibili non posseggono l’omologazione ai sensi della normativa ADR per i rifiuti pericolosi.
Nonostante questa consapevolezza, il raggruppamento ricorrente partecipa alla gara offrendo contenitori dalle caratteristiche differenti rispetto a quelle previste a pena di esclusione nel bando. Di conseguenza, nel luglio 2023 i partecipanti vengono esclusi dalla gara e successivamente la stessa viene dichiarata deserta.
Il raggruppamento partecipante ha quindi impugnato l’esclusione e, unitamente a questa, le clausole del bando richiedenti le caratteristiche tecniche del bidone per violazione del principio di tassatività delle clausole di esclusione.
Con sentenza del 15 febbraio scorso il T.A.R. Lombardia ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso per tardività.
Secondo il Collegio, l’inesistenza del bene oggetto della gara determina l’impossibilità a presentare offerte. Di conseguenza, la clausola che lo richiede deve essere considerata una clausola immediatamente escludente e quindi essere immediatamente impugnata.
Diversamente, aggiunge il T.A.R., si sarebbe potuto argomentare se il ricorso contestasse che i requisiti richiesti non siano attinenti e proporzionati all’oggetto del contratto, con conseguente illegittimità delle clausole medesime. La sentenza è rilevante perché conferma l’indirizzo giurisprudenziale che non limita il concetto di clausole escludenti solamente alle previsioni del bando che riguardano i requisiti di partecipazioni, ma lo estende a tutte le clausole che rendono impossibile la presentazione dell’offerta e, pertanto, rendono inutile la partecipazione alla gara.
Giulia Valenti
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Energy / Incentivi per le energie rinnovabili – Il Consiglio di Stato chiede alla Corte di Giustizia di pronunciarsi sulla compatibilità con la normativa europea di un decreto ministeriale riguardante gli incentivi per le energie rinnovabili
Tramite un’ordinanza dello scorso 30 gennaio, il Consiglio di Stato (CdS) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) una questione pregiudiziale avente ad oggetto la compatibilità con la normativa europea e, in particolare, con la direttiva 2001 del 2018 (la Direttiva), di un decreto ministeriale risalente al 2019 che stabilisce un c.d. “sistema a due vie” per l’accesso ai meccanismi incentivanti per i produttori di energie rinnovabili.
Giova ricordare che il sistema italiano di promozione delle energie rinnovabili prevede la possibilità per i titolari di alcune tipologie di impianti di produzione di iscriversi ad un registro per ottenere i relativi incentivi. I meccanismi incentivanti accessibili a seguito dell’iscrizione sono: (i) la possibilità di chiedere il ritiro dell’energia prodotta al Gestore dei Servizi Energetici (GSE) e contestualmente ottenere la tariffa spettante omnicomprensiva; e (ii) l’accesso ad un incentivo vero e proprio, calcolato sulla base della differenza fra una tariffa concordata con il GSE e il prezzo zonale di mercato dell’energia (tuttavia è anche previsto che, in caso di differenza negativa - ossia, quando il prezzo di mercato è maggiore della tariffa concordata - il GSE procede al relativo conguaglio e richiede al titolare dell’impianto di restituire la differenza). Tuttavia, mentre per i titolari di impianti di potenza inferiore a 250 kW è prevista la possibilità di scegliere alternativamente uno dei due meccanismi, per i titolari di impianti di potenza pari o superiore a 250 kW la possibilità sub (i) è preclusa, rimanendo possibile accedere al solo incentivo.
La vicenda in questione riguarda una società titolare di un impianto fotovoltaico di potenza superiore a 250 kW che, dopo aver ottenuto nel 2022 l’ammissione al registro e aver concluso il relativo contratto con il GSE, aveva deciso di impugnare al TAR del Lazio (il TAR) tale provvedimento di ammissione, ritenendo che l’incentivo di cui stava beneficiando (l’incentivo sub (ii)) si fosse tradotto in un incentivo “negativo”, ponendosi in contrasto con gli obiettivi della normativa nazionale (che ha come fine principale quello di permettere al titolare dell’impianto di rientrare dei costi sostenuti), nonché con la Direttiva, che impone che i meccanismi di incentivazione siano non discriminatori e non distorsivi della concorrenza. Il TAR aveva rigettato il ricorso ritenendo che la normativa adempisse al suo scopo, permettendo al beneficiario dell’incentivo di percepire un importo sicuro e prevedendo un rimborso al GSE nel caso in cui il prezzo di mercato fosse salito rispetto al livello ‘minimo’ oggetto dell’incentivo, alla luce anche del fatto che nell’ipotesi sub (ii) l’energia prodotta resta nella disponibilità del titolare dell’impianto.
Il CdS, in disaccordo con quanto rilevato dal TAR, ritiene invece di dubitare della compatibilità della normativa nazionale con la Direttiva. In primo luogo, il CdS rileva che l’incentivo sub (ii) configura un incentivo “negativo”, che non permette al beneficiario di ottenere alcuna sovvenzione che riduca il costo dell’impianto. In secondo luogo, contrariamente a quanto sostenuto dal TAR, il CdS evidenzia che tale incentivo negativo non può considerarsi come una contropartita della garanzia di una tariffa costante, in quanto il produttore rimane esposto al rischio di mercato derivante dalla vendita dell’energia (che resta nella sua disponibilità). Da ultimo, il CdS ribadisce che il sistema c.d. “a due vie”, configura una discriminazione nella misura in cui impone ai titolari di impianti con potenza pari o superiore a 250kW di accedere al solo meccanismo sub (ii), di fatto imponendo il rischio di un incentivo negativo solo a questi ultimi.
In conclusione, il CdS ha ritenuto di sottoporre la questione alla CGUE perché si pronunci sulla compatibilità del meccanismo incentivante con la Direttiva.
Il medesimo quesito pregiudiziale è già stato rinviato alla CGUE in un diverso giudizio a quo (Causa C-514/23, Tiberis Holding); tuttavia il CdS ha ritenuto di non sospendere il giudizio in attesa della pronuncia pregiudiziale, ma di effettuare un autonomo rinvio. Tra le ragioni prospettate a sostegno di tale decisione, spicca la volontà di “… consentire alla parte privata di partecipare al giudizio dinanzi alla Corte di giustizia, in modo da assicurarle il diritto di difesa [..] a maggior ragione se si considera che, invece, il GSE è parte di entrambi i processi ed è quindi legittimato di per sé a intervenire nel procedimento già pendente dinanzi ai giudici di Lussemburgo”. Non resta che attendere la probabile riunione delle cause e la pronuncia della CGUE su un tema che, nonostante la normativa in questione vanti già un’applicazione pluriennale, appare nuovamente di grande attualità e rilevanza nel caso in cui, come avvenuto nel 2022, ci si trovi di fronte ad un evento che modifichi in modo sostanziale e repentino la struttura dei prezzi nei mercati energetici.
Irene Indino