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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione - 22 gennaio 2024

Diritto della concorrenza – Europa / Abuso di posizione dominante e settore dei microprocessori – La saga continua: pubblicate le conclusioni dell’Avvocato Generale Medina sull’appello della Commissione europea contro la sentenza del Tribunale del 2022 nel caso Intel

Lo scorso 18 gennaio, l’Avvocato Generale Medina (l’AG) ha presentato le proprie conclusioni nell’ambito dell’appello dinanzi alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) nel caso Intel, in cui quest’ultima società era stata sanzionata dalla Commissione europea (la Commissione) per oltre un miliardo di euro per un abuso di posizione dominante, in violazione dell’art. 102 TFUE (la Decisione). Ad avviso dell’AG, la CGUE dovrebbe confermare la sentenza con cui il Tribunale dell’Unione europea (il Tribunale) ha in larga parte annullato la Decisione.

Ripercorrendo brevemente i fatti, nel 2009 la Commissione aveva sanzionato Intel per aver abusato della propria posizione dominante al fine di escludere il suo unico concorrente, AMD, dal mercato dei processori per PC “x86”. L’abuso sarebbe consistito in due pratiche: (i) sconti e/o pagamenti a quattro grandi produttori di computer condizionati al fatto che si rifornissero da Intel per tutto (o quasi tutto) il loro fabbisogno di processori (Sconti Fedeltà); e (ii) pagamenti volti a ritardare o bloccare il lancio di prodotti contenenti processori x86 di AMD (Naked Restrictions). Intel aveva fatto ricorso contro la Decisione davanti al Tribunale, che lo aveva però rigettato. La vicenda era quindi giunta dinanzi alla CGUE che, nel 2017, aveva rilevato che il Tribunale aveva commesso un errore nel confermare una fondamentale premessa su cui si era basato il ragionamento della Commissione. Secondo la Commissione, gli Sconti Fedeltà avevano, per loro stessa natura, la capacità di restringere la concorrenza, e pertanto non era necessaria un’analisi delle circostanze del caso di specie e, in particolare, soddisfare il c.d. “as efficient competitor test” (AEC test), volto a verificare se un concorrente altrettanto efficiente potesse essere in grado di tenere la medesima condotta senza incorrere in perdite.

Secondo la CGUE, poiché la Commissione aveva scelto di effettuare comunque un AEC test e quest’ultimo aveva giocato un ruolo fondamentale nella valutazione, allora il Tribunale era tenuto – al contrario di quanto avvenuto – ad esaminare tutti gli argomenti formulati da Intel al riguardo. Pertanto, la CGUE aveva annullato la sentenza e rinviato la causa al Tribunale affinché esaminasse di nuovo la questione. Nel gennaio del 2022, dunque, il Tribunale aveva concluso che il test AEC condotto dalla Commissione fosse viziato da molteplici errori e non fosse stato dimostrato in modo sufficiente che il sistema di sconti di Intel era idoneo a produrre effetti anticoncorrenziali (per un maggior approfondimento al riguardo si rimanda alla nostra Newsletter del gennaio 2022). Al contempo, l’analisi condotta nella Decisione circa le Naked Restrictions era stata confermata dal Tribunale, e così lo scorso settembre la Commissione ha imposto una nuova sanzione di 376 milioni di euro a Intel con riferimento a tali pratiche. Il mese scorso Intel ha presentato un ricorso separato contro tale sanzione.

La Commissione, invece, aveva fatto appello alla CGUE contro la nuova sentenza del Tribunale, e con le conclusioni in commento, l’AG – su richiesta della stessa CGUE – si esprime solamente su 2 dei 6 motivi di ricorso presentati dalla Commissione raccomandando – come anticipato – alla CGUE di confermare quanto rilevato dal Tribunale.

In primo luogo, l’AG si concentra sulla valutazione del Tribunale dell’AEC test per quanto riguarda il produttore di computer HP (ossia, uno dei quattro produttori con i quali Intel aveva previsto gli Sconti Fedeltà contestati). Secondo l’AG non vi sarebbe stata alcuna omessa considerazione del margine di discrezionalità della Commissione nel contesto di valutazioni economiche complesse, in quanto, se da un lato la giurisprudenza della CGUE limita il sindacato del giudice su tali valutazioni, queste non possono essere completamente sottratte al controllo giurisdizionale in caso di errori di calcolo o di una presa in considerazione selettiva o incompleta degli elementi di prova. Secondo l’AG la Commissione avrebbe errato nei calcoli della quota di processori effettivamente “contendibile” da parte di concorrenti di Intel e avrebbe arbitrariamente preso in considerazione per l’AEC test dei dati riferibili esclusivamente ad un arco temporale ridotto. A nulla varrebbe secondo l’AG, peraltro, la non contestazione da parte di Intel delle modalità di calcolo durante il procedimento amministrativo. Infatti, sulla base della giurisprudenza della CGUE, richiamata anche dal Tribunale, “…qualora l’impresa interessata da un’indagine ai sensi delle regole del Trattato in materia di concorrenza non riconosca espressamente i fatti, la Commissione è tenuta a dimostrarli, mentre l’impresa è libera, al momento opportuno e in particolare nell’ambito del procedimento contenzioso, di produrre tutti i mezzi di difesa che ritenga utili”. Al contrario, i calcoli supplementari presentati dalla Commissione solamente nel corso del procedimento giurisdizionale sarebbero stati inammissibili.

In secondo luogo, l’AG si concentra sulla valutazione operata dal Tribunale dell’AEC test per quanto riguarda il produttore di computer Lenovo. Nell’accordo tra Intel e Lenovo, una parte del vantaggio economico derivante al cliente Lenovo dagli Sconti Fedeltà non sarebbe stato concesso in denaro, ma in natura, consistendo infatti in un’estensione della garanzia ordinaria dei prodotti e la proposta di un migliore utilizzo di una piattaforma di Intel situata in Cina. La Commissione avrebbe considerato tali vantaggi alla luce del valore per Lenovo e non – come addotto da Intel – in termini economici per Intel stessa. L’AG sottolinea che la natura stessa dell’AEC test consiste nel valutare se gli effetti degli sconti in questione sarebbero stati tali da limitare la concorrenza di un ipotetico soggetto altrettanto efficiente e che anche a voler ammetter che tale concorrente potrebbe operare su scala minore, ciò non giustificherebbe l’analisi dello sconto in natura a livello del valore che questo rappresenta per Lenovo e non a livello dei costi dell’eventuale concorrente.

Le conclusioni in oggetto risultano di particolare interesse in quanto forniscono alcuni chiarimenti sugli obblighi di motivazione in capo alla Commissione e sul corretto utilizzo del AEC test. Non resta adesso che attendere la sentenza della CGUE e osservare i risvolti che questa avrà anche in riferimento all’eventuale restituzione di quanto pagato da Intel, a chiusura di un’autentica “saga” antitrust.

Fabio Bifarini

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Abuso di posizione dominante e settore delle prenotazioni dei servizi ferroviari – La Commissione ha accolto gli impegni presentati da Renfe Operadora

Mediante il comunicato stampa pubblicato lo scorso 17 gennaio, la Commissione europea (la Commissione) ha reso noto di aver chiuso con impegni il procedimento avente ad oggetto un ipotizzato abuso di posizione dominante da parte di Renfe Operadora (Renfe) nell’ambito della vendita online di biglietti ferroviari in Spagna.

Come commentato in questa Newsletter, la Commissione aveva in data 28 aprile 2023 resa pubblica un’indagine a carico di Renfe – operatore spagnolo incumbent nei servizi di trasporto ferroviario di merci e passeggeri – al fine accertare eventuali profili anticoncorrenziali nella commercializzazione online dei biglietti ferroviari. In particolare, la Commissione si era focalizzata sulla condotta di Renfe, la quale avrebbe rifiutato di fornire alle piattaforme terze i dati propedeutici per erogare un servizio di vendita online dei biglietti ferroviari inerenti ai servizi offerti dalla stessa Renfe. Più nel dettaglio, non sarebbero state fornite alle agenzie terze (i) le informazioni riguardanti le tariffe e la scontistica dei biglietti, nonché le caratteristiche degli stessi (come, ad esempio, la possibilità di modificare data ed ora), e (ii) lo stato dei servizi offerti (ossia le informazioni inerenti alle tratte ferroviarie prima, durante e dopo il viaggio). Nella ricostruzione della Commissione, tale condotta sarebbe stata idonea a prospettare un abuso di posizione dominante impedendo ai concorrenti di operare ad armi pari con Renfe nella vendita online di biglietti ferroviari.

Al fine di mitigare i possibili profili anticoncorrenziali sollevati dalla Commissione, Renfe ha proposto tre differenti impegni, e specificatamente:

  • mettere a disposizione delle piattaforme terze tutte le informazioni correnti e future ed i dati in tempo reale mostrati sul proprio sistema di prenotazione. Tale impegno dovrà essere realizzato entro il 29 febbraio 2024, salvo che per garantire accesso ai dati in tempo reale sia necessario indire una gara d’appalto;
  • richiedere alle piattaforme terze una media mensile massima del rapporto Look-to-Book (LB) non inferiore a 600, 200 o 140 a seconda delle richieste di disponibilità inoltrate dalle piattaforme. Il rapporto LB descrive il numero di richieste di disponibilità inoltrate a Renfe sul numero di vendite totali effettuate. In caso di superamento del rapporto LB, e se da ciò derivi un pregiudizio nel funzionamento del sistema di vendite online di Renfe, il servizio offerto dalla piattaforma terza potrà essere temporaneamente sospeso;
  • garantire un tasso di errore non superiore al 4% (il quale descrive il rapporto tra le richieste di prenotazione fallite ed il totale delle richieste di prenotazione) ed un tasso di indisponibilità mensile non superiore all’1% (il quale misura il livello di disponibilità dei servizi offerti da Renfe tra le 06:00 e le 23:00).

Renfe si è obbligato ad applicare tali misure su base perpetua e sotto la supervisione per dieci anni di un monitoring trustee. In aggiunta, Renfe si è impegnato a non porre in essere alcun tipo di misura tecnica o commerciale dal carattere discriminatorio o iniquo che impedirebbe l’accesso e la distribuzione dei dati in tempo reale e dello stato dei servizi offerti.

I sopra descritti impegni sono stati reputati idonei dalla Commissione a garantire l’equilibrio del gioco della concorrenza minacciato dall’asserito abuso di posizione dominante, assicurando, da un lato, l’operatività di Renfe senza oneri eccessivi, e dall’altro, la parità nel competere tra la piattaforma di vendita online di biglietti di Renfe e quelle di soggetti terzi. Appare interessante osservare come la stessa tematica, ampiamente intesa (accesso da parte di venditori terzi ai servizi venduti dal soggetto operante il trasporto), sia oggetto di valutazione recente anche da parte dell’AGCM, seppur in relazione a contesti e condotte parzialmente diverse, sia nello stesso settore ferroviario, sia in quello aereo.

Giuseppe Schinella

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Diritto della concorrenza - Italia / Private enforcement e settore farmaceutico – La Cassazione ha confermato la condanna di Pfizer ad un risarcimento di oltre 13 milioni di euro in favore dei Ministeri della Salute e dell’Economia per un abuso di posizione dominante

La Corte di Cassazione (Cassazione), con l'ordinanza pubblicata il 2 gennaio 2024, ha respinto il ricorso presentato da Pfizer Italia S.r.l. (Pfizer) contro la decisione della Corte di Appello di Roma (Corte d’Appello) del 20 luglio 2021 che aveva condannato Pfizer al risarcimento di 13,4 milioni di euro nei confronti del Ministero della Salute e del Ministero dell’Economia e delle Finanze (i Ministeri), nell’ambito di una controversia di private enforcement collegata a pratiche di c.d. brevettazione strategica nel mercato della prostaglandine che erano state considerate costituire un abuso di posizione dominante dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).

Invero, la controversia ha tratto avvio da un provvedimento del 2012 dell’AGCM – confermato dal Consiglio di Stato (CdS) nel 2014 – che aveva accertato un abuso di posizione dominante di Pfizer nel mercato della prostaglandine, un elemento essenziale per la produzione di farmaci per il glaucoma, sanzionando l’impresa per 14 milioni di euro. Nella ricostruzione dell’AGCM, tale abuso sarebbe stato realizzato attraverso una elaborata strategia brevettuale volta a ritardare l’accesso di farmaci generici concorrenti sul mercato. Pfizer, infatti, nel 2009, in prossimità del termine di scadenza del proprio brevetto sulla prostaglandine, avrebbe presentato una domanda di brevetto divisionale sullo stesso elemento, immediatamente seguita da quella per un certificato di protezione complementare, e, in parallelo, trasmesso ai potenziali produttori dei farmaci generici una serie di diffide volte a inibirne l’accesso al mercato.

Sulla base di tale provvedimento dell’AGCM (come confermato in sede giurisdizionale), i Ministeri hanno successivamente avviato un’azione di follow-on citando Pfizer per il risarcimento dei danni causati al servizio sanitario nazionale e collegati al sovrapprezzo pagato tra il 2009 e il 2011 a causa del mancato ingresso nel mercato dei più economici farmaci generici. Le domande presentate dai Ministeri, respinte in prima istanza dal Tribunale di Roma, sono state accolte dalla Corte d’Appello che ha condannato Pfizer al risarcimento di 13,4 milioni di euro nei confronti dei Ministeri.

Contro quest’ultima sentenza, Pfizer ha quindi proposto ricorso in Cassazione lamentando, in primo luogo, la circostanza per cui la Corte di Appello non avrebbe tenuto conto di elementi nuovi e sopravvenuti al provvedimento dell’AGCM e, in particolare, della certificazione ottenuta dalle autorità competenti sulla validità della domanda di brevetto divisionale presentata da Pfizer. La Cassazione ha respinto tale motivo evidenziando come la Corte d’Appello avesse, al contrario, correttamente considerato l’elemento in questione ritenendo, tuttavia, che esso non avesse alcuna incidenza sulla valutazione dell’esistenza dell’abuso. Infatti, quest’ultimo – ed in particolare, secondo il CdS, un “abuso del diritto” – sarebbe stata realizzato non con una condotta illecita in sé, quanto a causa dell’utilizzo di mezzi leciti con finalità (ed effetti) restrittivi. A nulla varrebbe, quindi, secondo la Cassazione, la liceità della condotta dal punto di vista brevettuale, dovendo compiersi, ai fini antitrust, una valutazione oggettiva del comportamento, indipendente dalla sua qualificazione rispetto ad altri rami del diritto.

In parallelo, Pfizer aveva lamentato l’errata valutazione della Corte d’Appello circa la sussistenza del nesso di causalità tra la condotta di Pfizer e il ritardato accesso dei farmaci generici sul mercato. In particolare, aveva evidenziato come gli elementi considerati fossero stati insufficienti a dimostrare tale nesso, consistendo unicamente in una dichiarazione della Agenzia Italiana del Farmaco e dalle dichiarazioni degli stessi produttori dei farmaci generici. Rispetto a tale motivo di ricorso, la Cassazione ha, in primo luogo, sostenuto come lo standard di prova da applicare in tali circostanze debba essere quello c.d. del “più probabile che non”. Ha poi ricordato come la valutazione circa la sufficienza degli elementi allegati a soddisfare tale standard consista in una valutazione strettamente di merito, in quanto tale interamente demandata alla Corte d’Appello e non censurabile in sede di legittimità. Sulla base di tali considerazioni, non ha quindi accolto i relativi motivi di ricorso.

L'ordinanza in commento è certamente rilevante nell’ambito della giurisprudenza sul c.d. private enforcement e, specificamente, con riguardo all’applicazione in concreto del nesso di causalità alla fine della prova del danno effettivo.

Alberto Galasso

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Tutela del consumatore / Servizi media e influencers – L’AGCOM approva nuove linee guida per assicurare l’osservanza del Testo Unico sui servizi di media audiovisivi da parte degli influencers

Con la delibera n. 7/24/CONS, adottata lo scorso 10 gennaio ad esito di una consultazione pubblica avviata nel luglio del 2023 (la Delibera), l’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM) ha pubblicato delle linee guida volte ad individuare le disposizioni del Testo unico sui servizi di media audiovisivi (decreto legislativo n. 208/2021Tusma) direttamente applicabili alle attività degli influencers (Linee Guida), demandando al contempo ad un apposito tavolo tecnico di nuova istituzione il compito di monitorare l’attuazione ed eventualmente l’integrazione di tali Linee Guida, anche mediante l’adozione di uno o più specifici codici di condotta.

In particolare, le Linee Guida definiscono in generale come “influencers” quei soggetti che svolgono attività analoghe o assimilabili a quelle dei fornitori di servizi media audiovisivi, le quali: (i) rientrano tra le attività economiche di cui agli articoli 56 e 57 TFUE; (ii) consistono nella diffusione, mediante una piattaforma di condivisione di video o di social media, di contenuti fruibili su richiesta degli utenti i quali, sotto la responsabilità editoriale dei medesimi influencers, informano, intrattengono o istruiscono il pubblico e sono idonei a generare un reddito; e (iii) in virtù dell’utilizzo della lingua italiana, o dell’essere comunque esplicitamente rivolti ad utenti sul territorio italiano, risultano accessibili al grande pubblico italiano, raggiungono un numero significativo di utenti sul territorio italiano, e, avendo un impatto rilevante su una porzione significativa di pubblico, mostrano pertanto un legame stabile ed effettivo con l’economia italiana (i Contenuti Rilevanti).

Allo stesso tempo l’AGCOM, riconoscendo che le particolari caratteristiche dei servizi offerti dalle piattaforme di condivisione video e di social media mostrano un’amplissima platea di soggetti che, in assenza di ulteriori specificazioni, soddisferebbero tali requisiti, risultando così potenzialmente soggetti alle norme richiamate dalle medesime Linee Guida, traccia una netta distinzione tra soggetti che svolgono le anzidette attività in maniera professionale ovvero amatoriale.

Rientrano, in particolare, nella categoria degli influencers “professionali” coloro i quali, cumulativamente, (i) hanno un numero di followers pari ad almeno un milione, risultante dalla somma degli iscritti su tutte le piattaforme e social media su cui operano; (ii) hanno pubblicato nell’anno precedente all’approvazione delle Linee Guida almeno ventiquattro Contenuti Rilevanti; e (iii) possiedono almeno su una piattaforma o social media un engagement rate medio, negli ultimi sei mesi, pari o superiore al 2% (gli Influencers Professionali). Se nei confronti dei contenuti pubblicati dagli influencers che non raggiungono le soglie di numero di followers e di engagement rate di cui sopra, troveranno applicazione solo gli artt. 41 e 42 del Tusma (contenenti principi generali applicabili ai fornitori di servizi di piattaforma di condivisione di video), nei confronti degli Influencers Professionali trovano invece applicazione anche altri penetranti obblighi.

Le Linee Guida, infatti, chiariscono che nei loro confronti trovano applicazione i principi generali individuati dal Tusma all’art. 4, comma 1 (ad esempio, la garanzia della libertà e del pluralismo dei mezzi di comunicazione radiotelevisiva, la tutela della libertà di espressione di ogni individuo, il principio di non discriminazione e di contrasto ai discorsi d’odio etc.) e all’art. 6, comma 2, lett. a), in materia di informazione radiotelevisiva, in quanto applicabili (i.e., la “presentazione veritiera dei fatti e degli avvenimenti, in modo tale da favorire la libera formazione delle opinioni”); nonché le disposizioni in materia di comunicazioni commerciali (televendite, sponsorizzazioni e inserzioni pubblicitarie di prodotti) ai sensi degli artt. 43, 46, 47 e 48, di tutela del diritto d’autore (art. 32) e dei diritti fondamentali della persona, dei minori e dei valori dello sport (artt. 30, 37, 38, 39), così come specificate nelle delibere via via adottate dall’AGCOM.

In caso di violazione delle disposizioni ora richiamate, le Linee Guida chiariscono che troveranno applicazione le sanzioni fissate dall’art. 67 Tusma, fermo restando quanto altresì stabilito dall’art. 1, comma 31, della l. 249/1997 in materia di inottemperanza agli ordini e diffide dell’AGCOM.

In aggiunta alle regole così individuate, peraltro, le Linee Guida predispongono l’avvio di un tavolo tecnico tra l’AGCOM, attori della filiera pubblicitaria, agenzie di PR, centri media, agenzie creative, talent manager, reti multicanale etc., che avrà come obiettivo primario la definizione di uno o più codici di condotta che dovranno assicurare gli obiettivi fissati dalle Linee Guida, e il monitoraggio dell’attuazione di queste ultime, anche al fine di un loro possibile aggiornamento.

Le Linee Guida rappresentano un importante intervento regolatorio da parte dell’AGCOM, in un settore – quello delle comunicazioni, anche pubblicitarie, su piattaforme digitali – che negli ultimi anni ha sicuramente conosciuto una grande evoluzione. Resta tuttavia da vedere quale sarà concretamente l’evoluzione del mercato, e, soprattutto, come interagiranno le presenti Linee Guida con gli oramai plurimi strumenti normativi e regolamentari che intervengono parallelamente sulla materia, sia di matrice pubblicistica (come il d.lgs. 145/2007 sulla pubblicità ingannevole e comparativa e il d.lgs. 206/2005, c.d. Codice del Consumo) sia privatistica (come il Regolamento Digital Chart, adottato dall’Istituto di Autodisciplina Pubblicitaria).

Ignazio Pinzuti Ansolini

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Appalti, concessioni e regolazione / Società in house – Le Sezioni Unite specificano la nozione di controllo analogo ai fini della qualificazione della società come in house

Con ordinanza pubblicata l’8 gennaio 2024 (la Decisione), anche le Sezioni Unite della Cassazione hanno espresso il loro contributo sull’interpretazione del requisito del c.d. “controllo analogo” ai fini della qualificazione di una società pubblica come in house. La questione è rilevante perché, sul piano della giurisdizione, solamente le società pubbliche che sono anche qualificate come in house possono essere soggette al controllo della Corte dei Conti al pari degli enti pubblici in senso proprio.

La vicenda riguarda la società Sanitaservice s.r.l. che è integralmente controllata dalla ASL di Foggia. Con una sentenza del 2019, la Corte dei Conti per la Regione Puglia aveva qualificato questa società come in house e, su questo presupposto, aveva riconosciuto la propria giurisdizione sulla valutazione del danno erariale commesso dall’amministratore unico della società.

Questa sentenza è stata impugnata davanti alla Corte d’appello della Corte dei Conti che, invece, ha escluso che la società Sanitaservice s.r.l. fosse una società in house e, pertanto, ha dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice contabile. In sede d’appello, infatti, la Corte dei conti ha negato che la società fosse soggetta al controllo analogo dell’Asl di Foggia perché i poteri di vigilanza e di controllo previsti nello statuto della società non comportavano la diretta subordinazione degli organi e della operatività societaria alle specifiche direttive dell’Asl.

La vicenda giunge quindi alle Sezioni Unite che riformano la sentenza della Corte d’Appello e riconoscono che la società Sanitaservice s.r.l. è una società in house. In linea con la giurisprudenza consolidata le Sezioni Unite non identificano la sussistenza del controllo analogo con il controllo ordinario che può essere esercitato dall’amministrazione quale socio che controlla integralmente la società. Al tempo stesso, le Sezioni Unite escludono che il controllo analogo debba necessariamente spingersi fino al punto da identificare la sussistenza di potere gerarchico dell’ente socio verso la società che ne annulli una qualsivoglia autonomia soggettiva e patrimoniale. In altre parole, secondo le Sezioni Unite, il significato del controllo analogo va cercata in un punto di equilibrio tra un controllo ordinario e una soggezione assoluta.

Alla luce di questi principi, le Sezioni Unite riconoscono che il controllo analogo sussista quando l’ente pubblico è in grado di esercitare un’influenza determinante sulle linee strategiche e sulle decisioni fondamentali della società. A tale fine, esse ritengono sufficiente per configurare tale requisito la circostanza che alcune disposizioni statutarie attribuivano alla ASL, già al momento della costituzione della società, un potere di ingerenza nell’ambito delle strategie aziendali.

La decisione appare meritevole d’attenzione per la puntuale specificazione della nozione di controllo analogo fornita dalle Sezioni Unite, particolarmente rilevante ai fini della configurabilità della qualificazione di società in house providing da cui discende la giurisdizione contabile in materia di azione di responsabilità nei confronti degli organi di gestione e di controllo di società di capitali partecipate da enti pubblici.

Giulia Taglioni

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