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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza – Europa / Concentrazioni e broadcasting televisivo – Per l’Avvocato Generale una concentrazione “sotto-soglia” può essere rivista ex post per verificare l’esistenza di un possibile abuso di posizione dominante
Può un’operazione c.d. “sotto-soglia” – che non è stata soggetta ad un controllo ex ante da parte della Commissione o di una autorità per la concorrenza nazionale – essere suscettibile di una successiva indagine per verificare l’esistenza di un abuso di posizione dominante? Con le proprie conclusioni rassegnate lo scorso 13 ottobre, l’Avvocato Generale Kokott (AG) ha risposto affermativamente. Le conclusioni in commento si inseriscono peraltro nel più ampio dibattito volto ad ampliare le possibilità di controllo delle c.d. “killer acquisitions” (ossia di società start-up che possono rappresentare concorrenti futuri) da parte delle autorità garanti della concorrenza).
TDF Infrastructure Holding SAS (TDF), operatore ex monopolista statale attivo nel settore dei servizi di broadcasting televisivo, nel 2016 aveva acquisito il controllo di Itas SAS (Itas), uno degli altri due operatori attivi, al tempo, nei medesimi servizi nel mercato francese. I fatturati delle imprese interessate tuttavia non raggiungevano le soglie rilevanti per una notifica preventiva all’autorità nazionale francese (ACF) ovvero alla Commissione europea e, inoltre, non era stato chiesto un referral ai sensi dell’articolo 22 del Regolamento UE n. 139/2004 sulle concentrazioni (che consente alla Commissione di avere una competenza derivata anche quando non sono soddisfatte le soglie di fatturato rilevanti né a livello UE né in alcuno Stato membro) (il Regolamento), per cui l’acquisizione non era stata soggetta ad alcun controllo preventivo. Successivamente Towercast, nel 2017, aveva presentato una segnalazione all’ACF, sostenendo che l’acquisizione in parola costituiva un abuso di posizione dominante posto in essere da TDF nel mercato del digital video broadcasting. Tuttavia, l’ACF aveva rigettato la segnalazione ritenendo che vi fosse una chiara linea di demarcazione tra disciplina sul controllo delle concentrazioni e pratiche anticoncorrenziali ai sensi degli articoli 101/102 TFUE, per cui l’articolo 102 TFUE non risultava più applicabile ex post ove l’asserita condotta anticoncorrenziale consisteva proprio nell’operazione di concentrazione stessa (senza che vi fossero condotte ulteriori). Towercast aveva quindi impugnato la decisione dell’ACF. La Corte d’appello di Parigi rinviava la questione alla Corte di Giustizia (CdG), chiedendo se l’articolo 21(1) del Regolamento (che esclude l’applicabilità del Regolamento UE n. 1/2003 – ossia le norme per l’applicazione degli artt. 101/102 TFUE – alle operazioni di concentrazione, salvo per una tipologia di joint venture) dovesse esser interpretato nel senso di precludere ad un’autorità della concorrenza di analizzare ex art. 102 TFEU un’operazione che non era stata controllata come concentrazione in quanto sotto-soglia e nemmeno soggetta a referral.
L’AG ha concluso che, qualora un’operazione non sia stata soggetta ad alcuna revisione ex ante ai sensi della disciplina sulle concentrazioni, dovrebbe essere consentito ad un’autorità nazionale di avvalersi dello strumento “più debole” di controllo ex post, ossia l’articolo 102 TFUE, purché naturalmente ne sussistano i presupposti. E ciò per garantire un’efficace tutela della concorrenza e colmare una possibile lacuna a livello di enforcement – specialmente in casi di acquisizioni di start-up innovative nei settori tech/digital o farmaceutico. Tale impostazione discende da una ricostruzione sistematica delle fonti del diritto, ove l’articolo 102 TFUE ha rango primario ed è direttamente applicabile a livello nazionale, per cui le disposizioni del Regolamento (sia l’articolo 21(1) che l’articolo 22 – avendo rango secondario – non possono comprimere la diretta applicabilità dell’articolo 102 TFUE. Da ciò, la possibilità di enforcement da parte di un’autorità nazionale. Parimenti, le soglie di fatturato (a livello nazionale o UE) previste ai fini dell’obbligo di notifica di un’operazione di concentrazione rispondono ad un’esigenza di distribuzione di competenza tra le autorità nazionali e la Commissione e, se non soddisfatte, si ha solo una presunzione di non necessità di un controllo preventivo. Tali soglie nulla dicono circa la possibilità (o meno) di un controllo successivo ai sensi dell’articolo 102 TFUE. Secondo l’AG, qualora si avesse una revisione ex post e risultasse sussistente un abuso di posizione dominante, non vi dovrebbe essere alcun rischio di revoca della concentrazione, bensì solo di applicazione di un’ammenda, data la priorità dei rimedi comportamentali su quelli di natura strutturale e considerato il principio di proporzionalità.
Tuttavia l’AG, chiarendo l’interpretazione della giurisprudenza Continental Can – utilizzata da Towercast per sostenere l’applicabilità dell’articolo 102 TFUE – ritiene di dover distinguere tra i casi in cui non vi è stata alcun controllo preventiva di un’operazione da quelli in cui vi è stato e si avrebbe – in ipotesi – un “doppio controllo” (ex ante ai sensi delle regole sul controllo delle concentrazioni e ex post ai sensi dell’articolo 102 TFUE). Vero che la diretta applicabilità dell’articolo 102 TFUE non implica una distinzione tra i due scenari. Tuttavia, occorre considerare la ratio del Regolamento – volto ad escludere un siffatto “doppio controllo” (per cui un’approvazione preventiva escluderebbe altresì la sussistenza di un abuso di posizione dominante) – nonché il principio di certezza giuridica. L’AG conclude che, se una concentrazione è già stata autorizzata in base alle norme sul controllo delle concentrazioni (e i suoi effetti sulle condizioni di concorrenza sono di conseguenza stati dichiarati compatibili con il mercato), essa non potrebbe poi essere qualificata come un abuso di posizione dominante, a meno che non sussistano ulteriori condotte idonee a integrare i requisiti della fattispecie.
L’epilogo della vicenda avrà particolare importanza per le imprese in ottica di self-assessment connesso alle operazioni di concentrazione. All’incertezza creatasi sull’onda della recente pronuncia del Tribunale dell’UE nel caso Illumina/Grail (si veda la Newsletter del 18 luglio 2022) e – a livello italiano – della legge annuale sulla concorrenza 2021 per cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha ora la facoltà (a determinate condizioni) di rivedere anche operazioni che non soddisfano le soglie di fatturato rilevanti, si aggiunge ora la linea tracciata dall’AG, che esclude un “safe-harbour” per le operazioni sotto-soglia anche quanto alla possibilità di essere indagate come possibile abuso c.d. “strutturale” ai sensi dell’articolo 102 TFUE. Peraltro, sarà interessante vedere anche quali risvolti una simile pronuncia potrà avere sul caso Ticketone (si veda la Newsletter del 28 marzo 2022), ove il TAR del Lazio – toccando sostanzialmente gli stessi temi dell’AG – aveva concluso per l’annullamento della sanzione imposta dall’AGCM, ritenendo non applicabile l’articolo 102 TFUE ad operazioni di concentrazione sottosoglia.
Cecilia Carli
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Abuso di posizione dominante nel settore farmaceutico – La Commissione europea ha inviato una comunicazione degli addebiti a Teva per aver ritardato artificialmente l’accesso sul mercato da parte dei produttori della versione generica del farmaco “Copaxone”
A seguito dell’avvio dell’istruttoria in data marzo 2020, la Commissione ha inviato lo scorso 10 ottobre una comunicazione degli addebiti (SO) a Teva, contestandole di aver abusato della propria posizione dominante sul mercato rilevante del principio attivo “glatiramer acetato” a base del proprio farmaco “Copaxone”, utilizzato per la cura di forme recidivanti della sclerosi multipla, il cui brevetto sarebbe tuttavia scaduto nel 2015.
In particolare, Teva avrebbe posto in essere un duplice ordine di condotte: (i) in primo luogo, la Commissione ipotizza che, da febbraio 2015 ad oggi, Teva abbia artatamente esteso la durata della copertura brevettuale sul Capoxone attraverso il deposito e il ritiro di plurime domande di brevetto ‘divisionale’, ritardando o comunque ingenerando nei potenziali concorrenti incertezza in merito alla possibilità di accesso al mercato in questione oltre che a forzarli nell’intraprendere continue azioni legali volte all’annullamento dei brevetti ottenuti da Teva; (ii) in secondo luogo, secondo la Commissione Teva avrebbe in parallelo posto in essere una campagna di denigrazione sistematica rivolta agli operatori sanitari, ingenerando dubbi in ordine alla sicurezza ed efficacia dei farmaci concorrenti e sulla loro equivalenza terapeutica rispetto al Copaxone.
Tali condotte avrebbero sviluppato i propri effetti in almeno 7 Stati membri, ossia: l’Italia, la Germania, l’Olanda, la Polonia, la Spagna, il Belgio e la Repubblica Ceca.
Preme, inoltre, osservare come, sorprendentemente, la Commissione già in sede di contestazione degli addebiti prenda posizione in merito al possibile danno subìto dai sistemi sanitari pubblici interessati dalle condotte di cui sopra, addirittura ipotizzando un possibile danno pari a circa a 500 milioni di euro all’anno nell’UE.
Il caso in esame si inscrive nel solco di una serie di noti precedenti in materia già esaminati dalla Corte di giustizia dell’UE (cfr. inter alia causa C-307/18 - Generics (UK) e causa C-591/16 P - Lundbeck c. Commissione) o di recente sanzionati dalla Commissione, e che hanno visto coinvolta peraltro la stessa Teva (cfr. caso AT.39686 - Cephalon), nel contesto dei quali sono state sanzionate le imprese: (i) sia per accordi (c.d. pay-for-delay agreements) aventi ad oggetto la rinuncia da parte dei genericisti ai contenziosi attivati contro i brevetti secondari registrati dai produttori dei farmaci originatori a fronte di un corrispettivo avente il fino di remunerare la ritardata entrata sul mercato di tali diretti concorrenti; (ii) sia per aver abusato della propria posizione dominante avendo artificialmente ricorso allo strumento processuale al fine di ritardare l’ingresso sul mercato dei concorrenti potenziali del proprio farmaco originario (c.d. exclusionary strategy).
Per l’altro verso, va osservato che nel caso in commento vi è una differenza sostanziale rispetto ai precedenti sopra menzionati, atteso che nella specie la condotta oggetto di istruttoria consiste solo in una asserita violazione dell’art. 102, TFUE scaturita in thesi dall’abuso dello strumento giuridico del brevetto secondario, mancando nella specie la componente base dell’accordo pay-for-delay ossia il versamento del corrispettivo a favore del genericista interessato ad entrare sul mercato del prodotto con brevetto scaduto.
Va detto, infine, che la condotta di Teva oggetto di esame da parte della Commissione riecheggia quella sanzionata in passato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) nel caso A431 - Ratiopharm/Pfizer del 2012 in cui era stata dichiarata abusiva la strategia di Pfizer a difesa del farmaco Xalatan (a base del principio attivo latanoprost ed utilizzato per la cura del glaucoma) finalizzata secondo l’AGCM a proteggere Pfizer dall’ingresso dei medicinali equivalenti a seguito della scadenza della protezione brevettuale del proprio farmaco.
Anche col caso in rilievo emerge all’evidenza una particolare attenzione da parte delle autorità di concorrenza, sia nazionali, sia europee, in materia farmaceutica rispetto a possibili accordi o condotte aventi il fine di render quantomeno incerto o ritardare l’ingresso sul mercato dei genericisti (accordi pay-for-delay o atti di c.d. sham litigation). È quindi importante che tutti gli operatori di mercato prestino sempre più attenzione nella loro attività di compliance preventiva e ad informare la propria azione e strategia di mercato ai principi declinati nei menzionati precedenti.
Gabriele Maria Polito
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Diritto della concorrenza – Italia / Concentrazioni e settore dell’energia elettrica – L’AGCM pone il veto all’acquisizione di una centrale elettrica in Sicilia da parte di Enel
Con la decisione adottata lo scorso 20 settembre, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha vietato l’acquisizione di ERG Power S.r.l. (ERG), titolare di una centrale elettrica a ciclo combinato di potenza pari a 480 MW localizzata a Priolo Gargallo, in provincia di Siracusa, da parte di Enel Produzione S.p.A. (Enel), società attiva nella produzione e vendita all’ingrosso di energia elettrica.
Ad esito dell’istruttoria, l’AGCM ha ritenuto che l’operazione fosse concretamente idonea a alterare l’equilibrio concorrenziale su due mercati rilevanti: (i) il mercato della produzione e dell’approvvigionamento all’ingrosso di energia elettrica; e (ii) il mercato dei servizi di dispacciamento dell’energia elettrica. Circa il primo, l’AGCM ha delineato il perimetro del mercato in linea di continuità con i precedenti, sia sotto il profilo merceologico, definendo un unico mercato della produzione e dell’approvvigionamento a prescindere dalla fonte dell’energia prodotta e dalle modalità dell’approvvigionamento, sia sul piano geografico, circoscrivendo il mercato alla sola regione Sicilia in virtù dei macro-vincoli della rete di trasmissione che separano l’isola dalle condizioni di mercato dell’Italia continentale. Per quanto riguarda invece il mercato dei servizi di dispacciamento (in cui la domanda di energia elettrica è rappresentata dalla sola Terna, che si approvvigiona sul mercato a plurimi fini, quali ad esempio acquisire le risorse necessarie a risolvere le congestioni della rete, costituire adeguati margini di capacità di riserva e regolare la tensione sulla rete) l’AGCM osserva in via preliminare che né i precedenti nazionali, né quelli della Commissione in materia si sono mai pronunciati in termini definitivi sulla natura unitaria o plurima di tale mercato. Alla luce delle risultanze dell’istruttoria, l’AGCM ha definitivamente accertato la natura unica del mercato del dispacciamento, quanto meno per la programmazione ex ante. Sul profilo geografico, inoltre, il mercato risulta coincidere con la regione Sicilia.
Circa le peculiarità di mercato della macro-zona Sicilia, in via di premessa l’AGCM prende atto che gli investimenti che Terna programma di effettuare nell’isola – specialmente tramite la realizzazione di nuovi collegamenti infrastrutturali con il continente, quale il Tyrrhenian Link – ove effettivamente portati a termine, porteranno alla sostanziale eliminazione della natura autonoma e locale del mercato elettrico siciliano, con ciò risolvendo in larga misura le criticità concorrenziali generate dall’operazione in esame. Tuttavia, nella valutazione dell’AGCM, considerando che nella programmazione di Terna le infrastrutture in questione non saranno realizzate prima del 2028, l’orizzonte di tempo previsto per la risoluzione esogena dei danni concorrenziali generati dall’operazione risulta troppo lungo per poter essere significativo anche a breve-medio termine.
Le criticità concorrenziali sono state legate dall’AGCM, in primo luogo, alle quote di mercato che Enel sarebbe venuta a detenere post-merger. Sul mercato della produzione e dell’approvvigionamento, l’entità risultante dalla concentrazione avrebbe infatti avuto una quota pari al 35-40% (sia in termini di capacità installata, sia di energia prodotta), mentre sul mercato dei servizi di dispacciamento avrebbe detenuto non meno del 60%. L’impatto pregiudizievole sui mercati risulta amplificato se si considera, in seconda battuta, il ruolo pro-concorrenziale svolto dalla centrale elettrica di Priolo Gargallo detenuta da ERG nel mercato siciliano. In virtù delle sue caratteristiche tecniche di impianto “a ciclo combinato a gas”, la centrale oggetto di acquisizione risulta infatti più efficiente degli altri stabilimenti localizzati nell’isola, con bassi costi marginali. La struttura dei costi di gestione di tale impianto, dunque, incentiva sia una produzione elevata di output energetico, sia la presentazione di offerte a prezzi più contenuti dei concorrenti (e in particolare di Enel).
Il deterioramento delle condizioni di mercato in Sicilia ad esito dell’operazione trova conferma, secondo l’AGCM, anche a seguito dell’analisi di pivotalità, volta a misurare la percentuale di ore di servizio in cui la capacità produttiva di un operatore risulta indispensabile al soddisfacimento del fabbisogno di energia elettrica richiesto in una data fascia oraria (in cui l’operatore, consapevole di essere l’unico soggetto in grado di aumentare la produzione di energia elettrica, può atteggiarsi a monopolista sulla domanda di energia residuale) nell’ipotesi in cui tutti i suoi concorrenti utilizzino interamente la propria capacità produttiva disponibile in una determinata ora. Secondo i dati forniti da Enel (limitati al solo mercato rilevante dell’approvvigionamento di energia elettrica), l’entità post-merger sarebbe risultata pivotale solo nel 3-4% del totale delle ore di servizio dell’anno, con un modesto incremento generato dall’operazione pari all’1-2%. Ai fini dell’analisi concorrenziale, tuttavia, afferma l’AGCM che deve essere ricompresa nel calcolo della pivotalità anche la domanda riconducibile ai servizi di dispacciamento che, pur formando un mercato autonomo, contribuisce in ogni caso a formare il fabbisogno di energia richiesto in una data fascia oraria. Tenendo in considerazione anche la domanda proveniente da Terna, Enel risulta pivotale per il 5-7% delle ore totali di servizio pre-merger, con una quota post-merger che arriva fino al 20%.
La decisione in commento – oltre che per l’eccezionalità del dispositivo, consistente per l’appunto in un veto – si segnala anche per la complessità e l’elevata elaborazione dello scrutinio sostanziale esercitato sull’operazione, ancor più denso di significato e di riflessi in un periodo di nota emergenza energetica. Inoltre, sembra consolidarsi nell’operato dell’AGCM l’utilizzo di un distinto parametro di analisi economica, costituito appunto dal ruolo c.d. pivotale di un operatore energetico con effetti trasversali su mercati rilevanti in realtà distinti.
Alessandro Canosa
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Concentrazioni e settore dei prodotti per l’igiene della persona e della casa – L’AGCM ha avviato un’istruttoria per l’operazione da parte di “Acqua & Sapone” (H.I.G. Capital) concernente l’acquisto di Quattro S.r.l. leader in Sardegna dei prodotti per l’igiene
Nella sua riunione del 4 ottobre scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), ha deliberato l’avvio di un’istruttoria per valutare i possibili effetti anticoncorrenziali dell’operazione concernente l’acquisto da parte di H.I.G. Capital, una società di private equity attiva a livello globale che opera nel settore degli investimenti alternativi, del controllo esclusivo di Quattro S.r.l. (Quattro) attraverso la sua controllata indiretta Bubbles BidCo S.p.A. (Bubbles, congiuntamente con Quattro le Parti), società entrambe attive nel settore della distribuzione al dettaglio dei prodotti per l’igiene e la pulizia della casa (home care) e per la cura della persona (personal care).
Più in dettaglio, Bubbles– anche meglio conosciuta tramite l’insegna dei suoi punti vendita “Acqua&Sapone” – commercializza prodotti per la pulizia della casa e della persona di vari marchi, cosmetici e gadget in diverse regioni italiane e, in particolare, in Sardegna gestisce un totale di 25 punti vendita. Quattro, anch’essa attiva nel commercio al dettaglio di prodotti per la cura della casa e della persona, gestisce tramite le insegne “Saponi&Profumi” e “PiùMe” un totale di 62 punti vendita esclusivamente situati nella regione Sardegna.
Le preoccupazioni dell’AGCM sono legate alle sovrapposizioni orizzontali in 35 mercati locali situati nell’area meridionale dell’isola. In particolare, l’AGCM ipotizza che l’operazione possa determinare la costituzione o il rafforzamento di una posizione dominante principalmente in alcuni di questi mercati locali della vendita al dettaglio di prodotti home care e personal care. In un precedente caso (C10818), nell’analisi del mercato rilevante l’AGCM aveva incluso (i) i punti vendita specializzati (drugstore), (ii) le profumerie e (iii) la grande distribuzione organizzata (GDO), escludendo invece il canale di distribuzione on-line in quanto all’epoca dell’emanazione del provvedimento (ossia nel 2010) costituiva una quota poco significativa delle vendite. Tuttavia, è stato notato che nel caso in esame gli effetti dell’operazione differiscono in misura significativa nell’ipotesi di inclusione o meno nel mercato rilevante del canale della GDO (o di alcuni dei suoi segmenti) e/o del canale on-line, e pertanto l’AGCM ha rinviato alla c.d. Fase II l’analisi più approfondita della concentrazione.
Più precisamente, il provvedimento riporta che il considerare un’estensione merceologica ristretta di cui non fa parte la GDO, comporterebbe che le Parti realizzerebbero più di metà delle vendite totali di prodotti home e personal care nella regione, con quote prossime al 50-60% nella provincia di Oristano e al 90-100% in quella di Nuoro. Invece, includendo nel mercato rilevante anche la GDO, le Parti rappresenterebbero, a livello regionale, il terzo e quarto operatore con quote pari a circa il 10-15%, a fronte invece di circa il 20-25% detenuto da Conad (GDO), e del 10-15% detenute rispettivamente da Risparmio Casa e il Gruppo Maury’s (due catene specializzate che gestiscono 8 punti vendita ciascuno in Sardegna). Tuttavia, anche considerando un’estensione merceologica del mercato più ampia, l’assetto che si delineerà a seguito della concentrazione vede H.I.G. essere il primo operatore con una quota di mercato superiore a quella realizzata dalla maggiore catena di GDO e pari al doppio di quelle detenute dalle catene specializzate.
Inoltre, dubbi sono stati sollevati in riferimento all’accessorietà di alcune clausole contenute nel contratto di compravendita stipulato dalle Parti e in particolare in merito: (i) alla natura e all’impatto del patto di non concorrenza; (ii) all’obbligo di non sollecitazione con riguardo i lavoratori/prestatori di servizio, secondo cui Quattro si impegna a non offrire assunzione o incarichi di lavoro ai soggetti che ricoprano una tale posizione in Bubbles, ed a non assumere la qualifica di dipendente/prestare servizi in favore di qualsiasi società attiva in Italia nei medesimi settori in cui è attiva Bubbles; (iii) all’obbligo di non sollecitazione nei confronti dei fornitori di Bubbles, secondo cui Quattro si impegna a non interrompere le loro relazioni commerciali e/o modificare negativamente i termini commerciali.
Poste le incertezze sulla definizione del mercato rilevante illustrata sopra e le perplessità sulle clausole contenute nel contratto di compravendita, resta ora da vedere quale sarà l’esito di questa fase II. Sarà interessante notare quale sarà l’approccio seguito dall’AGCM che, di certo, sarà suscettibile di rappresentare un nuovo precedente nella definizione del mercato rilevante in questione sia in considerazione del ruolo che sarà attribuito alla GDO, sia al mutato contesto delle vendite on-line.
Maria Spanò
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Pratiche commerciali scorrette / Pratiche commerciali scorrette e settore finanziario/assicurativo – Il Consiglio di Stato solleva una questione pregiudiziale volta ad ottenere chiarimenti sulla nozione di “consumatore medio” nel settore della distribuzione di prodotti assicurativi
Con l’ordinanza 8650/2022 (l’Ordinanza) del 10 ottobre 2022, adottata nel contesto della causa che vede opposta Compass Banca S.p.A. (Compass) all’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (l’AGCM), il Consiglio di Stato (il CdS) ha rimesso alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea (la CGUE) un rinvio pregiudiziale (il Rinvio) volto ad ottenere chiarimenti in particolare sulla figura del c.d. consumatore medio, nonché circa alcune aree di possibile interferenza tra la Direttiva 2005/29/CE (la Direttiva PCS) e la Direttiva (UE) 2016/97 (la Direttiva sulla distribuzione assicurativa).
La vicenda da cui scaturisce il Rinvio ha origine nel 2019, quando l’AGCM adottò il provvedimento n. 28011 irrogando a Compass una sanzione pari a 4,7 milioni di euro per una pratica commerciale aggressiva consistente nell’abbinamento forzoso, al momento della stipula di contratti di finanziamento personale, di prodotti assicurativi non collegati al credito di cui la medesima Compass era intermediaria (la Decisione). Secondo l’AGCM, infatti, le concrete modalità di presentazione delle offerte erano idonee a ingenerare nei consumatori l’erronea convinzione che l’accesso al finanziamento fosse subordinato alla contestuale sottoscrizione della polizza.
Nelle more del procedimento, l’AGCM aveva invitato Compass a integrare la prima proposta di impegni mediante l’inserimento di un periodo pari ad almeno sette giorni tra la data di sottoscrizione del finanziamento e quella di sottoscrizione della polizza, in tal modo garantendosi l’effettiva comprensione – da parte del consumatore medio di tali prodotti di finanziamento – della indipendenza tra il finanziamento e la polizza assicurativa.
Compass aveva invece proposto una soluzione differente, rigettata dall’AGCM, consistente nella (facoltativa) firma contestuale dei contratti di finanziamento e di polizza assicurativa, seguita dopo sette giorni da una telefonata effettuata dalla società al cliente al fine di verificare la persistenza dell’interesse di quest’ultimo al mantenimento anche della polizza, con assunzione in capo a Compass dell’onere di farsi carico del premio della stessa per tali sette giorni.
I quesiti sollevati dinanzi alla CGUE derivano strettamente dai motivi di ricorso promossi da Compass dinanzi al Tribunale Amministrativo per il Lazio (il TAR Lazio), senza successo, e riproposti dinanzi al CdS.
Con il primo quesito sottoposto alla CGUE, il CdS domanda se la nozione di “consumatore medio” di cui alla Direttiva PCS debba fare riferimento alla figura del consumatore identificata, sostanzialmente, dalla teoria classica dell’economia – vale a dire un consumatore normalmente informato, ragionevolmente avveduto, che (i) è giudice competente ed esclusivo dei propri interessi (i quali sono stabili, completi e indipendenti dal contesto), (ii) è fortemente motivato a massimizzare la loro realizzazione, (iii) è orientato a fare ciò sulla base di un calcolo utilitario, e che (iv) valuta ogni bene in termini di utilità marginale – ovvero se, al contrario, possa essere oggetto di un’interpretazione “evolutiva”.
A tal proposito, il CdS richiama i più recenti risultati ottenuti da numerosi studi di economia comportamentale e psicologia cognitiva, secondo cui i “consumatori medi” sarebbero lontani dal paradigma di razionalità predicato dalla teoria classica dell’economia: essi, al contrario, mostrerebbero una certa “razionalità limitata” – per es. sovrastimando il rischio di “perdere qualcosa” che già si possiede, rispetto al guadagno di qualcosa che ancora non si possiede; o sottostimando sistematicamente le conseguenze negative di azioni che producono un effetto positivo nell’immediato (c.d. present bias) – che li condurrebbe ad adottare scelte in realtà per loro deleterie. Mediante siffatta interpretazione evolutiva, suggerisce il CdS, verrebbe sodisfatta l’”esigenza protettiva maggiore dei consumatori nel caso – sempre più ricorrente nelle moderne dinamiche di mercato – di pericolo di condizionamenti cognitivi”.
Con il secondo quesito, il CdS domanda se alla luce di un’interpretazione evolutiva della nozione di “consumatore medio” possa definirsi come “di per sé” aggressiva una pratica commerciale dove un certo incorniciamento delle informazioni (c.d. framing) possa ingenerare nel consumatore l’erronea idea che una determinata scelta sia obbligata e senza alternative. A tal proposito, infatti, il CdS richiama l’art. 6, paragrafo 1 della Direttiva PCS, che considera ingannevole una pratica commerciale che in qualsiasi modo inganni o possa ingannare il consumatore medio “anche nella sua presentazione complessiva”.
Con il quinto quesito – intrinsecamente legato ai primi due, sebbene ancorato ad una argomentazione non del tutto lineare – il CdS domanda se il considerare di per sé come “pratica aggressiva” il mero abbinamento tra prodotti finanziari e assicurativi possa risolversi (i) in un atto di regolazione impedito dalla Direttiva PCS (la quale non permette agli Stati membri di adottare discipline più restrittive di quanto previsto dalla medesima direttiva, neanche al fine di tutelare maggiormente i consumatori), (ii) finendo peraltro per addossare sul professionista – e non, come dovrebbe invece essere, sull’AGCM – l’onere di dimostrare la non aggressività della pratica, ovvero se tale inversione non sussista allorquando, sulla base di elementi oggettivi, sia ritenuto esistente un concreto pericolo di condizionamento del consumatore.
Con il terzo e il quarto quesito, infine, il CdS domanda se la Direttiva PCS giustifichi il potere di un’autorità antitrust di imporre uno spatium deliberandi di sette giorni tra la firma del prodotto finanziario e la firma di quello assicurativo, una volta provato il rischio di indebito condizionamento del consumatore, ovvero se tale misura sia preclusa dalla Direttiva sulla distribuzione assicurativa – che permette l’offerta in abbinamento di prodotti finanziari e prodotti assicurativi – nonché l’art. 120-quinquies del Codice delle Assicurazioni private, che la recepisce.
L’Ordinanza risulta particolarmente interessante, dal momento che potrebbe dare luogo ad una ulteriore sterzata verso un atteggiamento sempre più protettivo da parte delle autorità pubbliche nei confronti dei consumatori, e sempre più restrittivo nei confronti della libertà commerciale degli operatori economici; non resta che attendere la pronuncia della CGUE.
Ignazio Pinzuti Ansolini
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