Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e settore aereo – Per la Commissione europea i 900 milioni di euro di prestiti concessi dall’Italia ad Alitalia nel 2017 costituiscono aiuti di Stato illegali da recuperare (ma non da ITA)

Il 10 settembre 2021, la Commissione europea (Commissione) ha adottato due distinte decisioni sulla complessa vicenda Alitalia.

Con la prima decisione, la Commissione ha stabilito che i due prestiti statali (per un importo complessivo di 900 milioni di euro) concessi dallo Stato italiano ad Alitalia nel 2017 costituiscono aiuti di Stato illegali e dovranno essere recuperati, maggiorati degli interessi.

La decisione arriva in esito ad un’indagine formale avviata nel 2018 dalla Commissione in seguito a segnalazioni di alcuni operatori concorrenti di Alitalia e ad una comunicazione dello stesso Stato italiano che aveva notificato i prestiti ai sensi degli orientamenti della Commissione sugli aiuti di Stato per il salvataggio e la ristrutturazione (gli Orientamenti).

In primo luogo, la Commissione ha esaminato i rendiconti finanziari di Alitalia dell’epoca per valutare se un investitore privato che agisce in un’economia di mercato avrebbe deciso di investire in Alitalia alle medesime condizioni a cui vi aveva investito lo Stato italiano nel 2017. Una valutazione in senso affermativo avrebbe consentito di poter ritenere i prestiti esenti dalla disciplina inerente agli aiuti di Stato. La valutazione, tuttavia, ha avuto esito negativo. Infatti, la Commissione ha ritenuto che, in ragione delle condizioni esistenti, un operatore privato che avesse fatto una valutazione ex ante avrebbe concluso che era improbabile che Alitalia potesse generare liquidità sufficiente per restituire i prestiti entro i termini.

In secondo luogo, la Commissione ha escluso che i prestiti in questione potessero essere autorizzati ai sensi degli Orientamenti, in quanto i prestiti non erano stati rimborsati entro sei mesi, l’Italia non aveva presentato alla Commissione alcun piano di ristrutturazione e, inoltre, non aveva provveduto a liquidare Alitalia – come richiesto dagli stessi Orientamenti.

Pertanto, la Commissione ha stabilito che i prestiti costituiscono aiuti di Stato illegali e devono essere recuperati.

Con la seconda decisione la Commissione ha deliberato che la compagnia aerea ITA, costituita dall’Italia nel 2020 per rilevare parte delle attività di Alitalia, non è il successore economico di Alitalia e che, dunque, ITA non potrà essere responsabile dei 900 milioni di euro che Alitalia dovrà restituire all’Italia. In aggiunta, la Commissione ha deciso che non costituiscono aiuti di Stato i conferimenti di capitale (per un importo complessivo di 1,35 miliardi di euro) che l’Italia effettuerà nei prossimi tre anni a favore di ITA

Per poter concludere che ITA non è il successore economico di Alitalia, la Commissione ha dovuto accertare che tra i due soggetti vi fosse una “discontinuità economica”. Nel farlo sono stati adoperati alcuni criteri che comprendono l’entità delle attività trasferite e la ratio economica dell’operazione. In particolare, la Commissione ha considerato che:

  • il perimetro delle attività di ITA sarà molto più limitato rispetto a quello di Alitalia (circa metà degli aeromobili e slot per decollo e atterraggio ridotti, abbandono delle rotte in perdita e focus su quelle più redditizie);
  • le attività di assistenza a terra e di manutenzione di Alitalia saranno cedute nell’ambito di procedure di gara aperte, trasparenti e non discriminatorie a cui ITA potrà partecipare a condizione che presenti offerte solo quale azionista di maggioranza (per l’assistenza a terra) e di minoranza (per la manutenzione);
  • anche il brand e il programma di fidelizzazione “Millemiglia” saranno ceduti nell’ambito di procedure ad evidenza pubblica con l’avvertenza, tuttavia, che ITA non potrà partecipare alla gara relativa al programma “Millemiglia” per prevenire un trasferimento diretto dei clienti;
  • ITA non si farà carico dei biglietti prepagati già venduti da Alitalia e gli obblighi di servizio pubblico di quest’ultima non le saranno trasferiti;
  •  la struttura dei costi di ITA sarà più sostenibile, grazie all’acquisto di aeromobili più efficienti in termini di consumi di carburante, ad un processo di digitalizzazione e ad un personale ridotto e con un nuovo contratto di lavoro a condizioni di mercato;
  • ITA acquisirà le attività di Alitalia a prezzo di mercato.

Dunque, chiarita l’assenza di continuità tra le due entità, la Commissione è passata ad esaminare una separata questione, ossia se i conferimenti di capitale per un importo complessivo di 1,35 miliardi di euro in 3 anni effettuati dall’Italia ad ITA possano considerarsi effettuati a condizioni di mercato e, pertanto, non costituire aiuti di Stato. A tal fine, la Commissione ha esaminato il piano industriale di ITA, sulla base del quale ha ritenuto che essa potrà essere una compagnia redditizia, considerata la strategia commerciale che prevede un numero ridotto di rotte (redditizie), un processo di digitalizzazione, una struttura di costi alleggerita e una nuova flotta, efficiente in termini di consumi di carburante. In più, con riguardo alla valutazione del tasso interno di rendimento (IRR) previsto dell’investimento (aspetto che riveste grande importanza ai fini della valutazione), è stato previsto che sarà superiore al costo del capitale proprio.

Su queste basi, la Commissione ha ritenuto che un investitore privato avrebbe investito in ITA alle medesime condizioni in cui vi ha investito l’Italia e, pertanto, ha ritenuto che i conferimenti in questione non costituissero aiuti di Stato.

Le decisioni in esame ripropongono questioni storicamente molto dibattute, soprattutto in relazione alla possibilità di riscontrare un’effettiva discontinuità economica in presenza di una Newco che rileva gli asset in bonis di un’impresa beneficiaria di precedenti aiuti di Stato, laddove a quest’ultima restano gran parte degli oneri e delle passività. Nel caso in esame, sembra che la “discontinuità economica” tra i due soggetti sia stata ritenuta sussistente a fronte di un’effettiva cesura (basti pensare al divieto per ITA di partecipare alla gara pubblica per la cessione del programma Millemiglia) che non sempre, rispetto anche alle vicende della stessa Alitalia, è stata riscontrata. In ogni caso, la vicenda Alitalia non sembra essere ancora arrivata alla fine: la Commissione, infatti, ha avviato nel 2020 un’ulteriore indagine – tuttora in corso – per verificare se costituisse un aiuto di Stato il prestito di 400 milioni di euro concesso alla compagnia nel 2019 dallo Stato italiano.

Roberta Laghi

------------------------------------

Diritto antitrust e sostenibilità – La Commissione europea pubblica un documento programmatico sul ruolo del diritto della concorrenza nel perseguimento degli obiettivi del Green Deal

Lo scorso 10 settembre, la Commissione europea (Commissione) ha pubblicato un policy brief che descrive sinteticamente come le norme della concorrenza dell'Unione europea possano sostenere le politiche ambientali e climatiche sancite nel Green Deal.

La Commissione sostiene che il diritto della concorrenza, contribuendo ad un funzionamento efficiente dei mercati, possa completare le soluzioni immaginate dal legislatore europeo per affrontare le sfide poste dal cambiamento climatico. In particolare, la Commissione sottolinea che politiche ambientali ambiziose siano efficaci solo se i mercati rispondono ai nuovi incentivi normativi senza creare distorsioni della concorrenza.

Inoltre, la tutela della concorrenza incentiva l’innovazione, promuovendo investimenti in tecnologie e processi produttivi green.

In questo contesto, i principali strumenti normativi che vengono in rilievo sono le regole in materia di aiuti di Stato, il divieto di intese anticoncorrenziali (ex art. 101 TFUE) e il controllo delle concentrazioni.

In materia di aiuti di Stato, la Commissione pone in rilievo la proposta di revisione delle linee guida in materia di aiuti di Stato per l'ambiente e l'energia (CEEAG), la cui entrata in vigore è prevista per il 1° gennaio 2022. La disciplina proposta comprende norme di compatibilità relative a nuovi settori, quali le infrastrutture per la mobilità pulita, la biodiversità e la gestione efficiente delle risorse a sostegno della transizione verso un'economia circolare. Le norme rivedute consentirebbero in generale la concessione di aiuti in grado di colmare fino al 100 % del deficit di finanziamento e l'introduzione di nuovi strumenti di aiuto, come i contratti per differenza sul carbonio. Dall’altro lato, saranno disincentivati i sussidi ai combustibili fossili, in particolare quelli più inquinanti, per i quali è improbabile che la Commissione emetta una valutazione positiva. La Commissione ha sottolineato che è in corso anche la revisione delle comunicazioni sulle norme in materia di aiuti di Stato a favore di importanti progetti di comune interesse europeo (“IPCEI”), e nei settori dell’agricoltura e silvicoltura. Di recente, sono poi entrate in vigore le nuove linee guida in materia di aiuti di Stato a finalità regionale. Tutte le linee guida citate si ispirano al principio di “do no harm” all’ambiente sancito nel Green Deal.

La Commissione ha poi indicato che, nel contesto delle revisioni delle linee guida sulla cooperazione orizzontale e accordi verticali, intende fornire maggiori indicazioni sulle circostanze in cui forme di cooperazione tra imprese non ricadono nel divieto di intese anticoncorrenziali, anticipando che:

  • esistono vari modi per le aziende di impegnarsi in iniziative di sostenibilità senza limitare la concorrenza ai sensi dell'articolo 101, para. 1, del TFUE. Le nuove linee guida forniranno esempi concreti per aiutare la valutazione delle imprese (ad esempio, nel contesto di accordi di produzione o di acquisto congiunti, la definizione di standard, ecc.);
  •  le linee guida chiariranno come i benefici per la sostenibilità generati da accordi che in una certa misura limitino la concorrenza possano comunque beneficiare di un’esenzione ai sensi dell'articolo 101, para. 3, del TFUE. La Commissione anticipa che i vantaggi in termini di sostenibilità di cui eventualmente beneficeranno i consumatori potranno essere valutati anche come efficienze di natura qualitativa (ad esempio in termini di longevità del prodotto). Inoltre, tali accordi possono generare risparmi di costo;
  •  la valutazione degli effetti di una condotta in una certa misura restrittivi della concorrenza deve essere svolta all’interno di ciascun mercato rilevante. I benefici ottenuti su mercati separati possono essere presi in considerazione solo a condizione che i consumatori colpiti dalla restrizione e quelli beneficiari siano sostanzialmente gli stessi;
  •  ai sensi dell’art. 101, para. 3, del TFUE, gli accordi tra concorrenti devono essere indispensabili al raggiungimento dell’obiettivo perseguito. Ad esempio, la Commissione riconosce che vi possano essere casi in cui le aziende hanno bisogno di unirsi per superare il cd. first mover disadvantage e spingere i consumatori a usare prodotti sostenibili più costosi. Tuttavia, nei casi in cui i consumatori apprezzano i prodotti sostenibili, potrebbe essere difficile concludere che le restrizioni in parola siano indispensabili.

La Commissione ha poi chiarito che è pronta a utilizzare le cd. comfort letter per autorizzare iniziative di sostenibilità individuali (come, ad esempio, è avvenuto con riferimento a iniziative dirette a contrastare gli effetti della pandemia). Inoltre, la Commissione potrebbe avvalersi della procedura di cui all’art. 10 del regolamento n. 1/2003 (che finora non ha mai trovato applicazione) per stabilire che a determinati accordi non si applicano le regole sulla concorrenza.

Nel contesto del controllo delle concentrazioni, la principale novità riguarda le nuove linee guida in materia di referral ex art. 22 EUMR. La Commissione ritiene che il nuovo sistema, che consente alle autorità nazionali di rinviare concentrazioni alla Commissione anche quando non vengono soddisfatti i requisiti nazionali, possa ridurre significativamente il numero di concentrazioni che danneggiano l’innovazione (inclusa quella ambientale).

Il documento in esame contiene indicazioni utili per le imprese che vogliono intraprendere iniziative in tema di sostenibilità, pur rimanendo un notevole margine di incertezza. Non resta, quindi, che attendere la conclusione dei numerosi processi di revisione normativa attualmente in corso e del vivace dibattito in corso rispetto a molti dei temi oggetto di analisi da parte della Commissione.

Luigi Eduardo Bisogno

-----------------------------------

Diritto della Concorrenza Italia / Abuso di posizione dominante e settore telecom – Il TAR annulla il provvedimento con cui l’AGCM aveva sanzionato Vodafone per quasi sei milioni di euro per abuso di posizione dominante

Con la sentenza n. 9803  del 15 settembre scorso, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha accolto il ricorso presentato da Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone) per l’annullamento della Decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) che la sanzionava per 5.743.814 euro per aver abusato della propria posizione dominante nel mercato dei servizi all’ingrosso di terminazione SMS su rete propria, con effetti sul mercato a valle dei servizi di invio massivo degli SMS informativi aziendali (cd SMS Bulk).

Nello specifico, la Decisione (per una cui analisi più approfondita si rimanda alla nostra newsletter dell’8 gennaio 2018) aveva accertato che Vodafone, operatore di comunicazioni telefoniche che dispone di reti proprie e delle terminazioni necessarie per il recapito degli SMS, ma che è, altresì, attiva sia sul mercato intermedio della vendita di tali terminazioni a società che le utilizzano per vendere SMS Bulk sia sul mercato a valle della vendita al dettaglio di SMS Bulk, avesse:

(i) richiesto agli operatori che acquistano il diritto di terminazione sulla rete Vodafone (Operatori D43) un prezzo più elevato rispetto a quello imputato alle proprie divisioni interne incaricate della vendita al dettaglio di SMS Bulk, riducendo in tal modo il margine di utile di tali operatori (cd. margin squeeze), con la finalità di estrometterli dal mercato; nonché

(ii) intrapreso una condotta discriminatoria, rivendendo agli Operatori D43 il diritto di terminare su rete in tecnologia MMS, riservando, invece, alle proprie divisioni interne la terminazione sulla rete in tecnologia SS7, considerata più performante.

Vodafone ha impugnato la Decisione dinanzi al TAR per richiederne l’annullamento, adducendo svariati motivi fra cui, inter alia: (i) l’errore dell’AGCM nel metodo seguito per stabilire il cd. prezzo soglia (ossia il prezzo idoneo a coprire i costi di produzione ed a garantire un discreto margine di guadagno, il quale è utilizzato come parametro per la dimostrazione della compressione dei margini a danno dei concorrenti); (ii) l’errore nella valutazione del livello di integrazione nel mercato a valle di Vodafone (il quale costituisce uno dei presupposti necessari per la sussistenza dell’illecito di margin squeeze), nonché (iii) la mancata valutazione nella Decisione degli effetti pregiudizievoli della condotta sanzionata.

Nella propria sentenza, il TAR, premesse alcune considerazioni sui complessi mercati in questione e sugli elementi principali che costituiscono la fattispecie di abuso per margin squeeze (individuati in primis dalla giurisprudenza europea nei casi C-280/08, Deutsche Telekom e C52/09, Telia Sonera Sverige), ha esaminato le censure articolate da Vodafone e ha accolto il ricorso nei termini che seguono.

Con riferimento al motivo sub (i), il TAR ha ritenuto che l’AGCM avesse errato nella determinazione del prezzo soglia, per il cui calcolo aveva tenuto conto solamente dei costi sostenuti dagli Operatori D43 per l’acquisizione del diritto di terminazione sulle reti Vodafone. Al contrario, l’AGCM aveva escluso dal calcolo le tariffe applicate da Vodafone ai soggetti cd. “aggregatori” (che, a differenza degli Operatori D43, non acquistano da Vodafone solamente il diritto di terminazione sulla rete, ma anche grosse quantità di SMS), i quali erano stati considerati alla stregua di clienti finali nel mercato a valle anziché al pari degli Operatori D43. Sul punto, il TAR rileva che gli “aggregatori” non sono, contrariamente a quanto ritenuto dall’AGCM, fruitori del servizio di SMS Bulk. All’opposto, essi si pongono come intermediari, assumendo il compito di procurarsi SMS dai vari operatori di telecomunicazione, per poi comporli in pacchetti compositi (gli SMS Bulk) destinati alla rivendita. Il TAR ha, dunque, rilevato che la determinazione del prezzo soglia risulta inficiata da un errore di metodo, dal momento che avrebbe dovuto tener conto anche delle tariffe applicate da Vodafone agli “aggregatori”.

Il TAR ha ritenuto fondato anche il motivo sub (ii), a mezzo del quale Vodafone ha sostenuto di non essere completamente integrata nel mercato a valle, ragione per cui mancherebbe uno degli elementi costitutivi della fattispecie di margin squeeze. Secondo il TAR, infatti, l’AGCM non avrebbe dimostrato che il costo dell’input fornito da Vodafone nel mercato a valle (che in questo caso sarebbe rappresentato dal diritto di terminazione degli SMS sulle proprie reti) abbia inciso sul prezzo degli SMS Bulk in misura tale da determinare il restringimento dei margini degli Operatori D43. In proposito, il TAR ha osservato che gli SMS Bulk sono pacchetti di SMS destinati a essere inviati a utenze che possono essere tanto di Vodafone quanto di altri operatori di rete mobile (al tempo dei fatti, TIM e Wind). Pertanto, il diritto di terminazione degli SMS su reti Vodafone costituirebbe solo uno dei tre input necessari per la determinazione del prezzo degli SMS Bulk.

Da ultimo, il TAR ha accolto anche il motivo sub (iii), ritenendo che nella Decisione sia del tutto omessa la valutazione degli effetti pregiudizievoli della condotta, dalla quale evincere tanto la prova dell’effetto di riduzione dei margini dei concorrenti, quanto l’intento anticoncorrenziale di Vodafone.

La sentenza in commento è di notevole interesse in quanto esamina in maniera molto critica gli elementi che avevano portato l’AGCM a sanzionare Vodafone, concludendo che in pratica non fosse provata la sussistenza di svariati elementi costitutivi della fattispecie di margin squeeze. Non resta che vedere quale sarà l’approccio del Consiglio di Stato in un probabile giudizio di secondo grado.

Luca Casiraghi

----------------------------------