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Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della concorrenza Italia/Abuso di posizione dominante e settore della manutenzione dei dispositivi diagnostici – L’AGCM archivia il procedimento avviato nei confronti di Siemens, Philips e GE per asserita violazione dell’articolo 102 TFUE

Nella sua adunanza del 30 marzo 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha archiviato il caso A517, avviato nel 2018 per tre asseriti distinti abusi di posizione dominante ex articolo 102 TFUE nel settore della manutenzione di dispositivi di diagnostica per immagini ad alta tecnologia (ad esempio, Tac o risonanze magnetiche) nei confronti di GE Medical Systems Italia S.p.A. e delle sue controllanti GE Healthcare Italia S.r.l. e GE Italia Holding S.r.l. (GE), di Siemens Healthcare S.r.l. e della sua controllante Siemens Healthineers Holding III B.V (Siemens), e di Philips S.p.A. e delle sue controllanti Philips SAECO S.p.A. e Koninklijke Philips N.V. (Philips) (collettivamente, le Parti).

Più nello specifico, il procedimento era stato avviato a seguito di una segnalazione di Althea Group S.p.A. (Althea), operatore attivo nell’offerta di servizi integrati di gestione e manutenzione di dispositivi medici, volta a denunciare una serie di presunti comportamenti restrittivi della concorrenza posti in essere in Italia dai tre principali produttori di dispositivi di diagnostica per immagini ad alta tecnologia tali da ostacolare in misura significativa l’operatività sul mercato dei manutentori indipendenti.

I comportamenti anticompetitivi posti in essere da questi ultimi ipotizzati in avvio riguardavano un asserito insieme di condotte escludenti volte ad ostacolare lo sviluppo della concorrenza nell’offerta dei servizi di manutenzione dei dispositivi medici di cui sopra a marchio proprio, tra cui comportamenti di ostacolo all’accesso agli strumenti software, alle risorse informative per la manutenzione dei dispositivi e di ostacolo al reperimento delle parti di ricambio originali.

L’istruttoria svolta dall’AGCM ha considerato come rilevanti tre distinti mercati secondari (separati dai mercati primari della produzione e vendita dei dispositivi), ossia quelli della manutenzione dei prodotti a marchio proprio di ciascuno dei tre produttori, Siemens, Philips e GE. L’AGCM ha messo in evidenza la posizione di rilievo (intesa come quota di servizi di manutenzione erogati sul parco macchine installato per ciascun marchio) detenuta da ognuna delle parti nel rispettivo mercato secondario della manutenzione sui dispositivi a marchio proprio.

L’istruttoria, sebbene articolata e protratta nel tempo, non ha però consentito di raccogliere un numero sufficiente di elementi tali da ricondurre la condotta delle Parti a ipotesi di abuso di posizione dominante ex articolo 102 TFUE. L’AGCM è stata persuasa da quanto dimostrato dalle Parti nella risposta alla comunicazione delle risultanze istruttorie, ossia che queste ultime concedevano l’accesso ai service software del c.d. set informativo minimo, ossia al software indispensabile per la manutenzione, oltre che non vi erano stati comportamenti ostativi all’acquisto delle parti di ricambio, sicché non era possibile ravvisare una strategia abusiva sistematicamente orientata e idonea ad escludere i concorrenti.

Conseguentemente, l’AGCM ha riconosciuto la legittimità sul piano antitrust della politica delle Parti di riservare ai propri tecnici e partner commerciali l’accesso agli input manutentivi del c.d. set avanzato (software e manuali di service), in quanto coperti da diritti di proprietà intellettuale e comunque non indispensabili perché i terzi possano prestare attività manutentive sui dispositivi di questi. Ciò in considerazione dell’esigenza primaria di promuovere lo sviluppo e l’innovazione nella ricerca e sviluppo di apparecchiature sempre più performanti nella prevenzione e nel supporto alla cura delle patologie. In questo modo la tutela del bene primario della salute viene garantita attraverso la protezione degli investimenti necessari per la realizzazione di software avanzati e, dunque, attraverso la tutela delle privative industriali.

Posto quanto sopra, l’AGCM ha archiviato il caso essendo venuti meno i motivi di intervento, ai sensi dell’articolo 102 del TFUE, nei confronti di Siemens, Philips e GE. Si tratta sicuramente di una pronuncia di grande interesse in quanto rappresenta uno dei rari esempi in cui è stato valutato in concreto il bilanciamento tra necessaria tutela dei diritti di proprietà intellettuale e accesso a input (coperti da tali diritti di proprietà intellettuale) per lo sviluppo di operatori concorrenti. L’AGCM ha quindi confermato la correttezza di un’impostazione giuridica che individui una c.d. “competition by innovation” meritevole di tutela nei confronti di una c.d. “competition by imitatinon”. Un ragionamento che ha significative implicazioni anche nei mercati digitali.

Infine, l’AGCM ha dimostrato di non rimanere arroccata alle sue posizioni ma di tenere in debita considerazione le argomentazioni difensive delle parti tanto da arrivare ad una piena archiviazione di un caso in cui la comunicazione delle risultanze istruttorie militava verso una conferma delle ipotesi accusatorie contenute nel provvedimento di avvio.

Mila Filomena Crispino
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Abuso di posizione dominante e settore dei servizi di radio taxi - L’AGCM ha sanzionato la Società Cooperativa Taxi Torino per circa 46 mila euro

Con il Provvedimento adottato lo scorso 27 aprile 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha sanzionato per circa 46 mila euro la Società Cooperativa Taxi Torino (Taxi Torino) per aver posto in essere un abuso di posizione dominante nel mercato per la fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi in violazione dell’art. 102 TFUE.

L’AGCM aveva avviato il procedimento in oggetto nell’ottobre 2018, a seguito della segnalazione di Mytaxi Italia S.r.l. (Mytaxi), società facente parte del gruppo Daimler AG ed attiva nella gestione dell’omonima app per dispositivi mobili che mette in collegamento diretto tassisti e utenti. Nello specifico, Mytaxi aveva lamentato la previsione da parte di Taxi Torino, società cooperativa attiva nella gestione dei servizi di radiotaxi (sia tramite radio, sia tramite la propria app, denominata Wetaxi) di clausole statutarie di non concorrenza che avrebbero impedito ai tassisti della cooperativa l’uso simultaneo di più intermediari di servizi di raccolta e smistamento della domanda di taxi, con l’effetto di ostacolare l’ingresso e lo sviluppo di Mytaxi nel mercato torinese. In caso di violazione di tali clausole, era prevista l’esclusione del tassista dalla cooperativa, eventualità concretamente verificatasi nei confronti di sei tassisti.

L’AGCM ha innanzitutto considerato che il mercato del prodotto interessato dal procedimento fosse quello della fornitura di servizi di raccolta e smistamento della domanda del servizio taxi nell’ambito territoriale del comune di Torino, rilevando in proposito la piena sostituibilità tra radiotaxi e app, sia sul versante della domanda, sia su quello dell’offerta, indipendentemente dal tipo di tecnologia utilizzata. L’AGCM ha poi determinato che Taxi Torino detenesse una posizione dominante in tale mercato. Infatti, su un totale di 1501 licenze concesse nel comune di Torino, oltre il 90% appartenevano a tassisti affiliati a Taxi Torino. L’AGCM ha inoltre rilevato la sostanziale assenza, al di fuori di Mytaxi, di concorrenti attuali o potenziali.

Quanto al profilo dell’abusività della condotta e dei relativi effetti sul mercato, l’AGCM ha constatato la concreta idoneità delle clausole di non concorrenza in questione ad impedire l’ingresso nel mercato o la crescita dei concorrenti. Infatti, l’AGCM avrebbe raccolto dati sufficienti a dimostrare l’efficacia dello strumento deterrente costituito dalle clausole di non concorrenza, in quanto, sin dall’avvio della propria attività nell’area torinese, Mytaxi sarebbe non riuscita a soddisfare gran parte delle richieste di servizio ricevute, registrando un tasso di corse inevase pari, in media, a circa il 65-70%. All’opposto, Taxi Torino ha sempre mantenuto un tasso di domanda inevasa inferiore all’1%. In aggiunta, l’effetto restrittivo della concorrenza sarebbe stato amplificato dalle esclusioni dalla cooperativa dei sei tassisti, le quali avrebbero avuto un chiaro effetto disciplinante nei confronti dei soci di Taxi Torino. Ciò sarebbe dimostrato da un crollo delle registrazioni mensili di tassisti all’app Mytaxi, che in numerosi mesi sono state addirittura pari a zero. Pertanto, l’AGCM ha concluso che la condotta di Taxi Torino avrebbe danneggiato sia Mytaxi, sia i consumatori, ai quali sarebbe stata sostanzialmente preclusa la possibilità di avvalersi di sistemi alternativi di approvvigionamento del servizio taxi, nella misura in cui le loro richieste tramite l’app Mytaxi sono rimaste ampiamente inevase.

Taxi Torino ha sostenuto la liceità delle proprie condotte, inter alia, richiamando la disposizione dell’art. 2527, comma 2, del Codice civile, il quale prevede che coloro che esercitino attività in concorrenza con quella di una data cooperativa, non possono divenirne soci. A tal proposito, Taxi Torino ha anche invocato la sentenza del Consiglio di Stato n. 1547 del 3 marzo 2020, la quale avrebbe ritenuto non configurabile un abuso di posizione dominante in un’analoga situazione, proprio in ragione dell’esistenza della citata norma codicistica. L’AGCM non ha tuttavia condiviso tali argomentazioni, affermando all’opposto che la norma di cui all’articolo 2527 del Codice civile impedisce ai soci di svolgere attività di intermediazione in concorrenza con quella della cooperativa ma non di acquistare servizi erogati da altri operatori di intermediazione, ai quali soltanto deve ascriversi un rapporto di concorrenza con il radiotaxi di appartenenza.

In ultimo, con riferimento al profilo delle sanzioni, l’AGCM ha ritenuto che la violazione commessa da Taxi Torino fosse di particolare gravità, in quanto è stata posta in essere da una società largamente dominante nel proprio mercato e che è risultata idonea a determinare un consistente e duraturo effetto di blocco della concorrenza effettiva nel mercato rilevante. Ciononostante, l’AGCM ha concesso a Taxi Torino una riduzione della sanzione dell’80% in ragione della sussistenza specifica ed eccezionale dell’emergenza sanitaria da Covid-19, che ha determinato una gravissima crisi delle imprese del settore taxi.

Luca Casiraghi
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Intese e settore degli integratori – AGCM avvia istruttoria per presunta imposizione di prezzi minimi di rivendita (RPM)

Con la decisione del 4 maggio 2021, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deliberato l’avvio di un’istruttoria ai sensi dell’art. 101 TFUE per valutare la liceità delle condotte dell’impresa farmaceutica SOFAR S.p.A. (SOFAR) nei confronti dei suoi distributori con riguardo alla commercializzazione di un integratore probiotico. La vicenda trae spunto dalla segnalazione di un distributore.

In particolare, l’AGCM contesta a SOFAR di aver posto in essere, almeno dal 2020, politiche commerciali relative alle vendite online da parte dei distributori, volte a:

- imporre prezzi minimi di rivendita (svolgendo anche attività di monitoraggio dei prezzi praticati online dai distributori); nonché
- a ostacolare la commercializzazione dell’integratore su piattaforme terze precludendo, o quanto meno consentendo con modalità discriminatorie, la possibilità degli stessi rivenditori di commercializzare l’integratore tramite marketplace e, in particolare, tramite Amazon.

Le condotte in esame riguardano il mercato nazionale degli integratori probiotici, sul quale la SOFAR risulterebbe il secondo maggiore operatore.

Nel contesto di una richiesta di informazioni rivoltale dall’AGCM in fase pre-istruttoria, SOFAR aveva affermato che, dal gennaio 2019, “ha iniziato ad implementare un sistema di distribuzione selettiva per garantire l’alto standard qualitativo [dell’integratore] al fine di tutelare la salute dei suoi consumatori e preservare gli investimenti fatti in ricerca e sviluppo. Nell’ambito di tale sistema, SOFAR sta riservando la possibilità di vendere su Amazon ai suoi rivenditori autorizzati più fidati […] che condividono la visione di SOFAR, che si impegnano ad evitare lo svilimento sei suoi prodotti…”. Nel provvedimento di avvio l’AGCM sostiene che, in via preliminare, che le restrizioni alle vendite online descritte non sembrerebbero tuttavia “…giustificate da esigenze di natura qualitativa”.

Le suddette condotte potrebbero invero costituire una violazione dell’art. 101 TFUE e si porrebbero in contrasto con il Regolamento 330/2010 della Commissione Europea sulle restrizioni verticali. In particolare, l’AGCM si propone di approfondire gli aspetti relativi: (i) alla fissazione di un prezzo fisso o minimo di rivendita (c.d. RPM); (ii) alla ripartizione del mercato per territori o gruppi di clienti (poiché le restrizioni dell’utilizzo del canale Internet - che consente di raggiungere clienti più numerosi e diversificati rispetto ai canali di vendita tradizionali – possono assimilarsi a restrizioni delle (ri)vendite); e (iii) alle restrizioni delle vendite agli utenti finali da parte dei soggetti che aderiscono ad un sistema di distribuzione selettiva.

La decisione in esame appare indicativa di un rinnovato interesse dell’AGCM per l’attività di enforcement riguardante condotte di natura verticale, raramente al centro delle priorità di enforcement dell’AGCM. Non resta che vedere se quello in esame resterà isolato (o che comunque si concluderà senza l’accertamento di un illecito) oppure costituirà l’inizio di un nuovo slancio dell’AGCM in questa direzione.

Roberta Laghi
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Intese e settore assicurativo – L’AGCM avvia un’istruttoria su una presunta intesa hub-and-spoke tra comparatori di prezzo e imprese assicurative

Con il provvedimento pubblicato lo scorso 21 maggio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato un’istruttoria nei confronti di alcuni operatori che offrono servizi di comparazione di prezzo (6Sicuro S.p.A., CercAssicurazioni.it S.r.l., Daina Finance Ltd, Rappresentanza Generale per l’Italia, Facile.it Broker di Assicurazioni S.p.A., congiuntamente gli Aggregatori) e le principali imprese assicurative c.d. “dirette” (ossia che distribuiscono online le polizze direttamente al consumatore, senza l’intermediazione di agenti) attive in Italia.

L’istruttoria, scaturente da una segnalazione del marzo scorso, è diretta ad accertare una presunta intesa consistente in uno scambio di informazioni commercialmente sensibili tra gli Aggregatori e le imprese assicurative relativa alle condizioni di vendita diretta di polizze per la responsabilità civile auto (RCA).

Secondo la ricostruzione preliminare dell’AGCM, tale intesa si sarebbe protratta dal 2012 fino ad oggi mediante:

- la distribuzione periodica (giornaliera o settimanale) di report contenenti informazioni relative ai premi delle polizze RCA quotate sui portali di comparazione, al posizionamento delle imprese assicurative su tali portali (ossia indicando la classifica dei premi offerti a partire dal best price), nonché la condivisione dei dati dei consumatori che hanno interrogato il portale;
- riunioni periodiche organizzate dagli Aggregatori per rendere le imprese assicurative edotte sull’utilizzo dei dati sensibili oggetto di scambio e che integrerebbero le stesse.

Lo scambio frequente di tali informazioni e l’apparente granularità delle stesse potrebbe aver aumentato artificiosamente la trasparenza dal lato dell’offerta, consentendo (secondo l’impostazione accusatoria iniziale, tutta da verificare) alle imprese assicurative di praticare ai consumatori finali premi più elevati per le polizze RCA rispetto a quelli che sarebbero stati applicati in assenza della condotta in questione.

L’indagine dell’AGCM si inserisce nell’ambito di una casistica consolidata nel contesto degli scambi di informazione all’interno del settore assicurativo (si vedano, ad esempio, i casi RC Log e IAMA Consulting), sebbene tali precedenti riguardassero pratiche meno sofisticate dal punto di vista tecnologico. Resta da vedere quanto in concreto il caso di specie è assimilabile ai casi più risalenti nonché il rilievo dei guadagni di efficienza che l’utilizzo delle funzioni del comparatore nonché delle informazioni dallo stesso generate ha verosimilmente comportato.

Luigi Eduardo Bisogno
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Intese e settore cartone ondulato – Il TAR Lazio ha confermato le sanzioni imposte dall’AGCM nei confronti di 19 delle 21 società coinvolte in due intese che hanno interessato il mercato italiano del cartone ondulato

Lo scorso 24 maggio, il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (TAR) ha respinto 19 dei 21 ricorsi presentati dalle altrettante società (ed una organizzazione di settore denominata GIFCO) (congiuntamente, le Parti) destinatarie della decisione (la Decisione) adottata dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) e pubblicata nell’estate del 2019 al termine del procedimento istruttorio I805-Prezzi del cartone ondulato (il Procedimento) (già oggetto di commento su questa Newsletter). Ad esito del Procedimento l’AGCM aveva imposto alle Parti il pagamento di una sanzione complessiva pari ad oltre 287 milioni di euro, in seguito all’accertamento di due intese restrittive della concorrenza attuate a due diversi livelli del mercato nazionale del cartone ondulato.

Al fine di meglio comprendere gli aspetti principali del ragionamento giuridico espresso dal TAR è necessario riportare brevemente alcuni elementi fattuali caratterizzanti la Decisione contestata. Come detto, infatti, quest’ultima aveva accertato l’esistenza di due diverse intese: (i) un’intesa concernente il mercato della produzione dei fogli in cartone ondulato (Intesa Fogli), la quale avrebbe avuto ad oggetto la fissazione dei prezzi di vendita del prodotto in esame agli scatolifici cc.dd. ‘puri’ (ossia non verticalmente integrati), nonché il coordinamento relativo ai volumi effettivamente immessi nel mercato; e (ii) un’intesa relativa al mercato degli imballaggi in cartone ondulato (Intesa Scatole), la quale invece avrebbe avuto ad oggetto l’aumento generalizzato del prezzo del prodotto, nonché la ripartizione della clientela e della fornitura dello stesso a clienti co-forniti di grandi dimensioni (congiuntamente, le Intese).

Occorre notare – per una migliore comprensione delle doglianze avanzate – che tra le Parti vi siano: (a) società attive esclusivamente nell’Intesa Fogli (come ad esempio Ondulati Santerno S.p.A.); (b) società verticalmente integrate (come Smurfit Kappa Italia S.p.A. (Smurfit)); e (c) società attive esclusivamente nell’Intesa Scatole (come Sandra S.p.A. (Sandra) e Alliabox Italia S.p.A. (Alliabox)), uniche società di cui il TAR ha accolto le doglianze e nei cui confronti ha annullato la Decisione. Alla luce di quanto detto:

(a) per quanto concerne le società che hanno preso parte esclusivamente all’Intesa Fogli, il principale motivo di doglianza che ha accomunato i vari ricorsi concerneva “l’insufficienza delle acquisizioni probatorie” dell’AGCM volte a dimostrare la partecipazione delle stesse all’intesa (o, comunque a parti di essa). Sul punto, il TAR ha sostenuto che il quadro probatorio su cui la Decisione si basa deve considerarsi come “robustissimo”, in quanto composto da un ampio spettro di evidenze “esogene” comprovanti l’esistenza di “ripetuti contatti tra le parti” e corroborato dalle dichiarazioni rilasciate nel corso del Procedimento da “una pluralità di leniency applicants” (ossia, DS Smith Packaging Italia S.p.A., Pro-Gest S.p.A., Scatolificio Idealkart S.r.l. e Ondulati Nordest S.p.A.);

(b) relativamente alle società attive in entrambe le suddette Intese, la contestazione principale da queste avanzate concerneva la necessaria valutazione dell’Intesa Fogli e dell’Intesa Scatole come un’unica infrazione (e non invece come due condotte tra loro distinte ed indipendenti, ciascuna fondante una infrazione distinta). A tal riguardo, il TAR ha sostenuto tra le varie cose che nessun elemento probatorio è stato in grado di dimostrare che l’esistenza dell’Intesa Fogli fosse conosciuta ai cc.dd. ‘scatolifici puri’ che hanno partecipato alla sola Intesa Scatole. In altre parole, il TAR ha sostenuto che la mera esistenza di società attive in entrambe le Intese non può in alcun modo comprovare che le due fossero caratterizzate da un’intrinseca unicità di intenti; e

(c) in ultimo, relativamente alle società attive nella sola Intesa Scatole, le società coinvolte hanno argomentato che l’impianto probatorio fornito dall’AGCM era caratterizzato dall’assenza di evidenze concernenti alcuni periodi di tempo. Il TAR, tuttavia – dopo aver anche in questo caso riconosciuto la robustezza del relativo impianto probatorio – ha rigettato la lettura asseritamente “parcellizzata” offerta da dette società, tralasciando peraltro la ovvia considerazione che è difficile immaginare come sia possibile contestare una ricostruzione probatoria se non, appunto, analizzando le evidenze una per una.

Infine, le sentenze concernenti Sandra ed Alliabox meritano un ultimo cenno conclusivo, in quanto sono le uniche che hanno visto l’accoglimento delle doglianze da parte del TAR. Infatti, in relazione alle due società in esame, il TAR ha disposto l’annullamento della Decisione (e della relativa sanzione) in quanto l’AGCM avrebbe mancato di provare in maniera adeguata la partecipazione delle stesse all’Intesa Scatole. In particolare, l’AGCM non avrebbe tenuto debitamente in conto le (giustificate) ricostruzioni alternative fornite dalle due società, nonché alcuni elementi di prova a loro favorevoli.

Sarà necessario attendere la pronuncia del Consiglio di Stato a cui verosimilmente la maggior parte delle imprese coinvolte si rivolgerà per la tutela delle proprie ragioni per vedere se l’approccio del TAR sarà confermato. Come spesso accade in casi simili, sarà essenziale la valutazione caso per caso della robustezza (e soprattutto continuità temporale) delle evidenze raccolte dall’AGCM.

Luca Feltrin
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Appalti, concessioni e regolazione/Concessioni e demanio marittimo - Il Presidente del Consiglio di Stato pone all’Adunanza Plenaria il tema delle proroghe delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali

In data 24 maggio 2021, con il decreto n. 260/2021, il Presidente del Consiglio di Stato (Presidente) ha deferito all’Adunanza Plenaria la questione relativa all’obbligo di disapplicare la normativa nazionale che, in contrasto con la c.d. “Direttiva Bolkestein” (la Direttiva), consente le proroghe automatiche delle concessioni demaniali marittime, lacuali e fluviali (le Concessioni). Il deferimento si pone a valle di due appelli distinti: (i) uno proposto contro una sentenza del Tar Lecce che ha ritenuto di non disapplicare la normativa nazionale; (ii) l’altro contro una sentenza del Tar Catania che, all’opposto, ha disapplicato la medesima normativa.

Il tema del contendere riguarda la proroga automatica delle Concessioni fino al 2033, ai sensi dell’art. 1, comma 682, della legge n. 145/2018 (Legge di bilancio del 2019). Ciò, nonostante la Direttiva prescriva agli Stati membri di svolgere procedure ad evidenza pubblica per l’aggiudicazione di beni naturali scarsi (come sono, per definizione, i beni demaniali marittimi, lacuali e fluviali). Il punto giuridico controverso è se la Direttiva sia self-executing e, di conseguenza, comporti la disapplicazione della normativa nazionale contrastante (come sostenuto dal Tar Catania) oppure no (come sostenuto dal Tar Lecce).

Entrambe le sentenze sono state appellate dinanzi al Consiglio di Stato. Prima che arrivassero a decisione, tuttavia, il Presidente ha, con il decreto in esame, deferito all’Adunanza Plenaria la questione circa la doverosità o meno della disapplicazione delle proroghe per contrasto con la Direttiva. Con il deferimento, il Presidente si è avvalso di una facoltà a lui attribuita dal Codice del Processo Amministrativo in relazione a questioni di particolare importanza o per dirimere contrasti giurisprudenziali. Come detto, la questione centrale riguarda l’obbligo di disapplicazione delle proroghe. Vi sono, inoltre, questioni di carattere apparentemente corollario e consequenziale, ma che pongono all’attenzione il tema di carattere generale del rapporto tra diritto nazionale e diritto UE. In particolare, si chiede anche all’Adunanza Plenaria di chiarire se, nell’ipotesi di direttiva self-executing, sia riservato solo ai giudici accertare il carattere self-executing della direttiva e, dunque, disapplicare la normativa nazionale contrastante o se, al contrario, ciò spetti anche agli organi di amministrazione attiva.

In attesa dell’intervento dell’Adunanza Plenaria, si osserva che l’ordinamento nazionale conosce una disciplina organica in materia di procedure ad evidenza pubblica che è quella contenuta nel Codice dei contratti pubblici che appare mutuabile (se non tout court estensibile) per regolare le modalità di assegnazione delle Concessioni. Quanto alla questione sulla competenza o meno degli organi amministrativi di individuare la natura self-executing di una direttiva come presupposto per la disapplicazione della legislazione interna contrastante, si segnala che è principio consolidato nella giurisprudenza UE quello per cui la primazia del diritto UE deve essere assicurata dallo stato nazionale in tutte le sue articolazioni, ovvero sia dal giudice sia dalla pubblica amministrazione.

Alessandro Paccione
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