Skip to main content

Newsletter

Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione

Diritto della Concorrenza UE/Concentrazioni e rinvio alla Commissione –Pubblicati i nuovi orientamenti sul meccanismo di rinvio di cui all’art. 22 EUMR

Il 26 marzo 2021, la Commissione Europea (Commissione) ha pubblicato un documento di lavoro sulle risultanze di una consultazione pubblica in materia di controllo delle concentrazioni che l’hanno portata ad adottare i nuovi orientamenti sull’applicazione del meccanismo di rinvio per l’esame delle concentrazioni già previsto dall’art. 22 del Regolamento EU n. 139/2004 sulle concentrazioni (EUMR).

La Commissione ha analizzato il periodo dal 2016 ad oggi, per valutare l’effettività, l’efficienza, la rilevanza nonché la coerenza degli aspetti procedurali e giurisdizionali nell’ambito del controllo da parte dell’Unione Europea sulle concentrazioni tra imprese. Nello specifico, la Commissione ha avuto come obiettivo valutare inter alia (i) l’efficacia delle soglie previste dall’EUMR basate sul fatturato per l’individuazione delle concentrazioni soggette all’obbligo di notifica preventiva alla Commissione stessa; e (ii) l’impatto del meccanismo di rinvio ex art. 22 EUMR nell’individuazione di operazioni significative per il mercato comunitario.

I risultati di tale consultazione hanno evidenziato come le soglie di competenza EUMR basate sul fatturato siano state tendenzialmente efficaci, anche rispetto a soglie basate su parametri differenti (come la disciplina vigente in Germania ed Austria, basate sul valore dell’operazione), nell’intercettare concentrazioni potenzialmente preoccupanti, fatta eccezione per taluni settori ad alto potenziale di sviluppo, come le operazioni in ambito farmaceutico ovvero afferenti al settore digitale.

Una soluzione a tale deficit di efficacia, senza che ciò richieda emendamenti alla EUMR, era quella di incentivare il meccanismo di rinvio da parte di uno Stato Membro verso la Commissione dell’esame di concentrazioni che possano creare un pregiudizio concorrenziale a livello comunitario, ai sensi del citato art. 22 EUMR, ai sensi del quale una autorità nazionale può rinviare alla Commissione una operazione problematica anche se la stessa non ricada nella competenza originaria della medesima autorità nazionale interessata.

In tal senso, sono stati adottati gli orientamenti del 26 marzo 2021, in cui è stata ravvisata la necessità di superare la precedente policy incoraggiando ed incentivando gli Stati Membri a procedere con il rinvio previsto all’art. 22 EUMR anche a fronte di concentrazioni che non soddisfano le soglie di notifica nazionali (oltre che, naturalmente, quelle comunitarie). Ciò soprattutto in relazione a casi particolari come ad esempio per acquisizioni o altre operazioni aventi ad oggetto: (i) start-up o operatori con elevato potenziale competitivo che tuttavia non abbiano un fatturato significativo; (ii) imprese fortemente innovatrici o che stiano conducendo attività di ricerca e sviluppo importanti; (iii) imprese con forza concorrenziale effettiva o potenzialmente significativa; (iv) imprese con accesso a materie prime, dati o diritti di proprietà intellettuale rilevanti; e, infine, (v) imprese che forniscono prodotti o servizi chiave per altre industrie.

In tali casi, a seguito dell’incentivato rinvio, la Commissione valuterà (a) se e in che modo la concentrazione possa incidere sugli scambi tra Stati Membri, ovvero se l’operazione possa avere un’influenza diretta, indiretta, effettiva o potenziale sulla struttura di tali scambi; (b) se l’operazione possa incidere negativamente e significativamente sulla concorrenza in uno o più Stati Membri.

Inoltre, viene chiarito come, nonostante il rinvio ex art. 22 EUMR vada in genere effettuato entro 6 mesi dalla conclusione dell’operazione, in situazioni eccezionali, tuttavia, un rinvio tardivo potrebbe anche essere ritenuto appropriato, sulla base, per esempio, della portata delle potenziali problematiche anticoncorrenziali e del potenziale effetto pregiudizievole della concentrazione sui consumatori.

Luca Campise
-----------------------------------

Cooperazione e settore farmaceutico – La Commissione europea tenta la strada della cooperazione partenariale al fine di risolvere le problematiche di approvvigionamento di vaccini contro il Covid-19 nell’UE

Nei giorni 29 e 31 marzo, la task force della Commissione europea per lo scale-up industriale nella produzione di vaccini contro il Covid-19 (la Commissione) ha ospitato il primo evento (online) paneuropeo di matchmaking – co-organizzato da Ecorys Europe EEIG-GEIE, il principale contraente e firmatario del consorzio della European Cluster Collaboration Platform (ECCP), in collaborazione con il Council of European BioRegions (CEBR), la European Cluster Alliance (ECA) e SPI, un partner del suddetto consorzio responsabile dell'organizzazione operativa dell’evento stesso (congiuntamente, i Co-organizzatori) – a cui hanno partecipato oltre 300 società provenienti da 25 Stati Membri dell’Unione europea ed impegnate nella filiera di produzione dei vaccini. Tale evento era focalizzato sulle condizioni necessarie per garantire una più celere ed organizzata capacità di produzione dei vaccini anti-Covid all’interno dell’UE ed evitare, così, i ‘colli di bottiglia’ che stanno rallentando il processo di produzione nonché la catena di approvvigionamento dei principi attivi necessari.

L’evento, infatti, è stato ideato con l’intenzione di permettere un’intensa pluralità di incontri online tra i soggetti coinvolti (caratterizzati da totale confidenzialità) in modo così da accelerare i collegamenti tra i produttori di vaccini e le società di servizi come quelle specializzate nello sviluppo e produzione a contratto, nel c.d. fill and finish (ossia le società attive nell’infialamento del prodotto), nonché i produttori delle attrezzature mediche necessarie, al fine di migliorare la pianificazione della produzione attuale e futura di vaccini nel continente.

In particolare, il primo giorno dell’evento è stato dedicato interamente a permettere il matchmaking tra le aziende specializzate nella produzione di principi attivi, nonché nella formulazione, produzione, infialamento e distribuzione di vaccini. Il secondo giorno, invece, si è concentrato sul garantire l’ideazione di connessioni con potenziali fornitori attivi su tutta la catena di produzione vaccinale (incluse società attive nel confezionamento, stoccaggio, spedizione e distribuzione e nella produzione di supporti medici come siringhe e fiale).

Dal punto di vista antitrust, l’evento in questione si inserisce all’interno del framework temporaneo emanato dalla Commissione quasi un anno fa – in data 8 aprile 2020 – e già oggetto di commento su questa Newsletter, il quale ha riconosciuto la portata eccezionale dello shock economico causato dalla crisi pandemica in corso e così previsto l’opportunità di non ostacolare il coordinamento tra imprese utile a (i) garantire una gestione della fornitura di materie prime realmente efficace; (ii) identificare i farmaci cc.dd. ‘essenziali’ la cui fornitura potrebbe risultare insufficiente; (iii) valutare complessivamente le capacità di produzione aggregate del sistema; (iv) contribuire allo sviluppo di un modello volto a predire il livello di domanda per ogni singolo Stato membro, e così individuare le potenziali aree di problematicità nella fornitura; nonché a (v) condividere le suddette informazioni in modo da indicare gli operatori in grado di rimediare a tali insufficienze.

Alla luce di quanto sopra – e dietro richiesta congiunta dei Co-organizzatori – la Commissione, anche al fine di facilitare la buona riuscita del suddetto matchmaking, ha emanato il 25 marzo una comfort letter con cui ha indicato le condizioni ai sensi delle quali le discussioni tra i soggetti coinvolti non sono considerabili contrarie all’articolo 101 TFEU. In particolare, la Commissione ha sottolineato come: (i) qualsiasi scambio di informazioni commercialmente sensibili intervenuto tra società (“indipendentemente dal fatto che siano concorrenti o attive a diversi livelli della catena di produzione”) deve necessariamente essere limitato a ciò che è indispensabile per risolvere efficacemente le sfide che interessano l’approvvigionamento dei vaccini; e (ii) le società coinvolte devono assolutamente evitare di condividere informazioni riservate riguardanti i rispettivi prodotti concorrenti (es. prezzi, sconti, costi, volumi di vendita, strategie commerciali ecc.). In caso di dubbi relativamente alla necessità e legittimità di un potenziale scambio di tali informazioni, la Commissione ha caldamente suggerito ai soggetti coinvolti di contattarla prima della riunione, in modo così da avere un feedback effettivo sul contenuto interessato.

Si noti, in ultimo, che la suddetta comfort letter non è intesa a coprire alcuna discussione sui prezzi tra concorrenti diretti o qualsiasi altra possibile cooperazione tra di loro ultronea a quella limitatamente permessa nell’ambito dell’evento di matchmaking; e, più in generale, non trova applicazione relativamente a qualsiasi successiva cooperazione risultante dall'evento in questione.

L’evento organizzato dalla Commissione – insieme alla comfort letter da questa emanata – rivestono sicuramente una notevole importanza non solo dal punto di vista di certezza del diritto per quanto concerne le cooperazioni mirate tra società concorrenti o attive a livelli diversi della catena produttiva, ma anche dal lato della risposta che l’UE vuole dare ad una crisi di forniture che – secondo molti commentatori – sta rallentando il processo di superamento della pandemia così mettendo altresì in serio pericolo la possibilità di una ripresa rapida dell’economia.

Luca Feltrin
-----------------------------------

Geo-blocking e settore televisivo – La Commissione ritira la decisione di accettazione degli impegni di Disney, NBCUniversal, Sony Pictures, Warner Bros e Sky UK e chiude il procedimento

Con il comunicato stampa del 31 marzo scorso, la Commissione europea (Commissione) ha annunciato di aver deciso di ritirare la propria decisione del 7 marzo 2019 (la Decisione) che aveva reso vincolanti gli impegni offerti dagli gli studi cinematografici Disney, NBCUniversal, Sony Pictures e Warner Bros. e dall’emittente di pay-TV Sky UK (congiuntamente, le Parti) nel contesto del procedimento antitrust AT.40023 - Cross-border access to pay-TV.

Tale indagine era stata avviata nel 2014 per valutare se talune clausole incluse negli accordi di licenza conclusi tra le Parti costituissero delle restrizioni geografiche non giustificate (c.d. geo-blocking), in violazione dell’art. 101 TFUE. Nello specifico, secondo la Commissione, tali clausole contrattuali: (i) impedivano a Sky UK di consentire ai consumatori europei al di fuori del Regno Unito e dell’Irlanda di abbonarsi ai servizi di pay-TV e di accedere ai film via satellite o online offerti dalla stessa; nonché (ii) imponevano agli studi cinematografici di impedire l’accesso alla fornitura di servizi di pay-TV nel Regno Unito e in Irlanda ad emittenti diverse da Sky UK. Tuttavia, la Commissione aveva ritenuto che gli impegni offerti dalle Parti nel corso del procedimento fossero idonei ad eliminare i profili di criticità indagati. In particolare, le Parti si erano impegnate a non concludere, rinnovare o estendere accordi di licenza che reintroducessero clausole analoghe a quelle oggetto delle contestazioni della Commissione.

Il ritiro della Decisione fa seguito all’annullamento, da parte della Corte di Giustizia dell’Unione europea (CGUE), di una precedente decisione della Commissione del 2016 e relativa al medesimo procedimento, con la quale erano stati accettati e resi vincolanti gli impegni offerti da un altro studio cinematografico coinvolto: Paramount Pictures. Infatti, con la sentenza del 9 dicembre 2020, la CGUE aveva accolto il ricorso effettuato da Groupe Canal+, emittente pay-TV terza, la quale aveva lamentato che gli impegni offerti da Paramount avessero colpito in modo sproporzionato i propri diritti contrattuali. In particolare, sebbene la CGUE avesse confermato che clausole come quelle in oggetto potessero essere considerate “accordi aventi ad oggetto la restrizione della concorrenza ai sensi dell’articolo 101, paragrafo 1, TFUE”, aggiungendo che esse “erano idonee a far sorgere, in capo alla Commissione, preoccupazioni in materia di concorrenza nel caso di specie”, aveva tuttavia ritenuto che la Commissione, rendendo obbligatori gli impegni di Paramount, avesse svuotato di contenuto i diritti contrattuali dei terzi (in particolare, le esclusive e protezioni territoriali ad essi concessi), tra cui quelli di Groupe Canal+, nei confronti di Paramount, violando di conseguenza il principio di proporzionalità. In particolare, l’impegno generale assunto da Paramount di non agire in giudizio al fine di far rispettare l’obbligo degli emittenti televisivi di non procedere a vendite passive al di fuori del loro territorio esclusivo, comportava automaticamente la messa in discussione del diritto contrattuale di cui godevano gli emittenti televisivi contraenti di Paramount (fra cui Groupe Canal+) nei confronti di quest’ultima. Tale diritto consisteva nel fatto che Paramount garantisse a ciascun emittente un’esclusività territoriale assoluta con riferimento all’oggetto di ciascun accordo di licenza relativo alla produzione di servizi televisivi a pagamento.

A valle della pronuncia della CGUE, la Commissione, invece di avviare un procedimento per addivenire ad una conclusione nel merito della legittimità o meno delle restrizioni in questione, ovvero ad impegni alternativi, ha ritenuto opportuno ritirare la Decisione chiudendo contestualmente il procedimento.

Non resta che attendere la pubblicazione del provvedimento con cui la Commissione spiegherà nel dettaglio le ragioni che l’hanno portata a prendere tale decisione.

Luca Casiraghi
-----------------------------------

Tutela del Consumatore/Pratiche commerciali scorrette e social network – Per il Consiglio di Stato le condotte di Facebook in merito alla condivisione dei dati con soggetti terzi hanno carattere ingannevole ma non aggressivo

Con le sentenze del 29 marzo 2021, il Consiglio di Stato (CdS), respingendo i ricorsi presentati sia da Facebook Ireland Limited e Facebook Inc. (congiuntamente, Facebook o le Società), sia dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), ha chiuso la vicenda giudiziaria riguardante alcune condotte di Facebook in tema di informazioni fornite agli utenti del social network sull’uso dei loro dati.

La vicenda trae origine dal provvedimento del 2018 (il Provvedimento) con il quale l’AGCM aveva accertato, rispettivamente, l’ingannevolezza e l’aggressività di due distinte pratiche commerciali (la Pratica A e la Pratica B) poste in essere dalle Società, irrogando loro, in solido, una sanzione di 10 milioni di euro (5 milioni per ciascuna pratica) e imponendo la pubblicazione di una dichiarazione rettificativa (già oggetto di discussione in questa newsletter).

La Pratica A, ritenuta ingannevole, riguardava la fase di registrazione al social network durante la quale l’utente veniva a contatto con un claim che sottolineava la gratuità del servizio (“Iscriviti. È gratis e lo sarà sempre”) senza tuttavia venire contestualmente informato che, con l’iscrizione, Facebook acquisiva il diritto di raccogliere ed utilizzare a fini commerciali i propri dati personali.

La Pratica B, considerata come aggressiva, era invece relativa al meccanismo con cui Facebook acquisiva il consenso alla trasmissione dei dati degli utenti a siti web/app di terzi e viceversa. Tale meccanismo consisteva nella pre-selezione del consenso nel modello d’iscrizione e nella fornitura di una serie di informazioni che inducevano il consumatore a credere che l’eventuale revoca del consenso avrebbe comportato limitazioni nell’uso del social network maggiori rispetto a quelle realmente previste ed attuate.

Il Provvedimento era stato impugnato dalle Società davanti al TAR Lazio (TAR), che aveva accolto parzialmente i ricorsi. In particolare, il TAR aveva ritenuto di confermare le valutazioni dell’AGCM con riguardo alla Pratica A mentre la Pratica B veniva annullata (per ulteriori dettagli si veda qui).

Il giudice di primo grado aveva invero ritenuto che la ‘pre-selezione’ in realtà non comportasse nessuna trasmissione automatica di dati da Facebook ai terzi, poiché ad essa seguiva necessariamente una serie di passaggi in cui l’utente doveva esprimersi attivamente sui dati che intendeva condividere. Inoltre, il TAR aveva evidenziato che l’AGCM non aveva adeguatamente approfondito la natura asseritamente aggressiva della pratica in parola.

Con le sentenze qui in commento il CdS ha confermato in toto le valutazioni del TAR.

In primo luogo, il CdS ha respinto il motivo sollevato dalla società capogruppo Facebook Inc. che lamentava di essere stata ritenuta responsabile e sanzionata per le condotte poste in essere dalla sua controllata, Facebook Ireland Limited, in virtù di un’illegittima applicazione della dottrina della c.d. parental liability. In merito, il CdS ha affermato che “…il rapporto intercorrente tra le due società […] comportava un preciso dovere di vigilanza della società madre in ordine al comportamento della società figlia, con la conseguenza che la società madre non risponde per responsabilità oggettiva ma per un comportamento omissivo messo in campo nella specie e violativo della competenza di vigilare sulle condotte della figlia”. Inoltre, il CdS ha sottolineato come entrambe le società, autonomamente, traessero specifici vantaggi economici dalla profilazione degli utenti e, pertanto, ciascuna delle società coinvolte era da ritenersi responsabile di una condotta autonoma. In definitiva, il CdS ha ritenuto che l’AGCM non avesse affermato una responsabilità indiretta di posizione (ossia in virtù dell’applicazione del criterio di imputazione della parental liability) ma al contrario avesse validamente accertato che società di un medesimo gruppo, ciascuna con la propria condotta, avessero violato le norme consumeristiche e che tale conclusione fosse conforme al principio della personalità della responsabilità.

In secondo luogo, con riguardo alla Pratica A, il CdS ha respinto le eccezioni avanzate da Facebook che sosteneva l’inapplicabilità del complesso di norme sulle pratiche commerciali scorrette, in un contesto come quello in esame, in cui le loro condotte sarebbero state da valutarsi solo alla luce della disciplina sulla privacy. In proposito, il CdS ha chiarito che una siffatta impostazione determinerebbe un’inaccettabile compartimentazione dei regimi posti a tutela di interessi diversi: il rapporto tra tutela del consumatore e tutela della privacy non può intendersi come l’affermazione di un regime di tutela che escluda l’altro, bensì come un rapporto di complementarietà volto a garantire una ‘tutela multilivello’.

Inoltre, il CdS ha confermato la valutazione di ingannevolezza della Pratica A, ritenendo che la condotta di Facebook avesse effettivamente fuorviato l’utente attraverso il claim sulla gratuità del servizio, non informandolo al contempo del fatto che all’utilizzo dello stesso corrispondesse una profilazione automatica a fini commerciali. Le informazioni rese disponibili dalle Società in merito, in quanto rese in fasi successive all’iscrizione, a lettura eventuale, connotate da non adeguata evidenza grafica o eccessivamente generiche, non sono state ritenute sufficienti a superare le criticità riscontrate.

Inoltre, è stata confermata come proporzionale la sanzione inflitta dall’AGCM per la Pratica A, in particolare con riguardo alla pubblicazione della dichiarazione di rettifica, il cui contenuto e le modalità di pubblicazione erano state imposte dall’AGCM.

Anche con riguardo alla Pratica B, il CdS ha confermato le valutazioni del TAR, ritenendo che sussistessero delle contraddizioni nell’operato dell’AGCM (in particolare poiché dagli atti risultava che la “pre-selezione” non determinasse alcun automatico trasferimento di dati) e che questa non avesse adeguatamente dimostrato il presunto carattere aggressivo della condotta in parola.

Le sentenze in parola appaiono di interesse per una pluralità di ragioni. Anzitutto, esse confermano che la fornitura dei dati personali può essere considerata la contro-prestazione per l’accesso ad un servizio per la cui fruizione all’utente non è richiesto alcun esborso economico. In secondo luogo, esse ‘convalidano’ un’impostazione secondo cui il coinvolgimento ‘autonomo’ della capogruppo sembra potersi affermare sulla base di una responsabilità per omessa vigilanza sulle condotte della controllata, in qualche modo conducendo non solo ad una sorta di applicazione de facto del criterio della parental liability anche nel settore della tutela del consumatore, ma aprendo le porte ad una sua applicazione più ampia stante la apparente sufficienza del controllo (e non del possesso quasi totalitario delle azioni delle controllata) per attribuire una culpa in vigliando alla società madre.

Infine, le sentenze in parola confermano, questa volta con riferimento alla sovrapposizione con la disciplina sulla tutela dei dati personali, che l’applicazione delle norme a tutela del consumatore non può essere esclusa in ragione della sussistenza di discipline di settore (come già affermato rispetto alla regolamentazione per telecomunicazioni ed energia).

Roberta Laghi
----------------------------------