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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE/Aiuti di stato e prescrizione – La Corte di Giustizia sancisce che uno Stato membro può recuperare gli interessi relativi ad un aiuto illegale anche quando siano prescritti secondo il diritto nazionale
Con la sentenza pubblicata il 30 aprile scorso, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (CdG) si è espressa sulla domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunale amministrativo e tributario di Coimbra, Portogallo, nell’ambito di una controversia tra la società ‘Nelson Antunes da Cunha Lda’ (Nelson Antunes da Cunha) e l’Istituto per il finanziamento dell’agricoltura e della pesca, vertente sul recupero forzoso di un aiuto illegale.
La vicenda trae origine nel lontano 1993, quando la società Nelson Antunes da Cunha, in virtù di un nuovo regime attuato dal Portogallo per lo sdebitamento delle imprese nel settore dell’allevamento intensivo, venne esentata dal pagamento degli interessi su alcune linee di credito. Nel 1999, la Commissione europea (Commissione) sancì che il regime portoghese (che non era stato notificato, costituendo quindi già per questa ragione un aiuto illecito), non fosse compatibile con il mercato interno, obbligando la Repubblica portoghese a adottare tutte le misure necessarie per recuperare gli aiuti concessi, inclusi gli interessi. In seguito all’invio di una serie di lettere in cui si chiedeva a Nelson Antunes da Cunha di rimborsare l’aiuto controverso, le autorità portoghesi avviarono un procedimento di esecuzione tributaria per il recupero del credito soltanto nel 2013. La società, tuttavia, propose opposizione a detta esecuzione, sostenendo che l’obbligo di rimborsare l’aiuto, compresi gli interessi, si fosse prescritto.
Al tal proposito, il giudice di rinvio ha rilevato che il diritto portoghese non prevede alcun termine specifico di prescrizione per l’esecuzione dell’ordine di un recupero illegale e che, ai sensi del codice civile, il recupero dell’aiuto era soggetto al termine ordinario di prescrizione di 20 anni, mentre gli interessi si consideravano prescritti in cinque anni.
Il giudice di rinvio ha pertanto chiesto alla CdG se il termine di prescrizione di cinque anni fosse in contrasto con l’art. 16, paragrafo 2 del Regolamento (UE) n. 2015/1589 (regolamento di attuazione dell’art. 108 TFEU), secondo cui all’aiuto da recuperare si aggiungono gli interessi, e il principio di effettività, illustrato al paragrafo 3 dello stesso articolo. In particolare, il giudice di rinvio ha sottolineato che l’applicazione di un termine di prescrizione di cinque anni per gli interessi afferenti a un aiuto comportava che questi potessero essere prescritti prima ancora che fosse scaduto il termine decennale per l’esercizio del potere della Commissione di esigere il recupero di un aiuto illegale, previsto dall’art. 17, paragrafo 1, del Regolamento n. 2015/1589.
Con la sentenza in esame, la CdG ha affermato, innanzitutto, che è necessario operare un bilanciamento tra il principio della certezza del diritto, a cui sono orientati i termini di prescrizione, e l’interesse pubblico ad evitare che il funzionamento del mercato non sia falsato da aiuti di Stato pregiudizievoli alla concorrenza.
La CdG ha rilevato che, per quanto riguardava la prescrizione di una parte degli interessi precedentemente all’adozione della decisione della Commissione del 1999, l’intervento di una tale prescrizione rendeva impossibile il recupero integrale dell’aiuto prescritto dal diritto dell’Unione. Inoltre, la CdG ha richiamato la propria giurisprudenza, secondo cui le imprese beneficiarie di un aiuto non possono nutrire un legittimo affidamento sulla regolarità dello stesso qualora questo sia stato messo ad esecuzione senza previa notifica alla Commissione. La CdG ha sancito pertanto che un termine di prescrizione nazionale applicabile al recupero di un aiuto, che era scaduto addirittura prima ancora della decisione di recupero da parte della Commissione, debba essere disapplicato.
Per quello che riguarda la prescrizione di una parte degli interessi successivamente all’adozione della decisione della Commissione del 1999, la CdG ha riscontrato che questa fosse scaturita principalmente dal ritardo nel dare esecuzione alla decisione di recupero da parte delle autorità portoghesi. Secondo la CdG, ammettere la prescrizione degli interessi in questo caso renderebbe la normativa dell’Unione relativa agli aiuti di stato priva di ogni effetto utile; pertanto, ha stabilito che anche regole nazionali relative alla prescrizione (abbreviata) per gli interessi andasse disapplicata. La CdG ha sottolineato che ciò, nel caso concreto, non si ponesse in contrasto con il principio della certezza del diritto, dal momento che il beneficiario di un aiuto cessa di trovarsi nell’incertezza non appena la Commissione adotta una decisione che dichiara l’incompatibilità dell’aiuto.
In conclusione, con la sentenza in esame la CdG conferma la sua posizione volta a dare concreta esecuzione alle norme europee in materia di aiuti di stato, limitando l’applicazione dei termini di prescrizione nazionali nella misura in cui il principio della certezza del diritto possa considerarsi sufficientemente tutelato.
Luigi Eduardo Bisogno
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Pratiche commerciali scorrette, concorrenza e settore del trasporto aereo – Pubblicato uno studio commissionato dal Parlamento europeo sull’impatto delle pratiche commerciali scorrette sulla concorrenza in questo settore
È stato pubblicato lo studio realizzato per conto della Commissione Affari Economici e Monetari (ECON) del Parlamento Europeo volto a verificare l’impatto delle pratiche commerciali scorrette sul settore del trasporto europeo di passeggeri, e in particolare di trasporto aereo (lo Studio). In particolare, lo Studio si propone di identificare le pratiche commerciali che, oltre a danneggiare i consumatori, sono idonee a creare distorsioni della concorrenza nel mercato, analizzando i principali modelli di business e strategie di prezzo delle compagnie aeree.
Lo Studio è articolato in tre parti. Nella prima parte sono analizzati gli effetti dell’ingresso sul mercato dei c.d. operatori a basso costo (LCC), ossia delle compagnie aeree che hanno fatto della competitività sul prezzo la caratteristica identitaria della propria strategia commerciale, attraverso una semplificazione nella gestione dei ricavi (c.d. yield management), la disaggregazione (unbundling) dei servizi (e.g. l’applicazione di un sovrapprezzo per il trasporto dei bagagli), l’incremento di efficienza nell’utilizzo dell’aeromobile e l’utilizzo di aeroporti secondari. Queste strategie si contrappongono a quelle adottate tradizionalmente dagli operatori c.d. Full Service (FSC), che impiegano una gestione dei ricavi più strutturata attraverso diversi classi di servizio e l’offerta di un prodotto integrato (bundled) che include ogni servizio nel prezzo del biglietto. Lo Studio rileva al riguardo che, assoggettati alla pressione concorrenziale degli LCC, gli FSC hanno adottato progressivamente tattiche commerciali in origine proprie degli LCC, con ciò sfumando la linea di distinzione tra le due categorie.
La seconda parte dello Studio si occupa di analizzare le strategie di prezzo attuate dalle linee aeree e la misura in cui esse integrino delle pratiche commerciali scorrette. Varie strategie sono adottate per la massimizzazione dei ricavi quali le offerte personalizzate e la discriminazione di prezzo; tali pratiche commerciali vengono considerate compatibili con la tutela dei consumatori fintanto che risulti assicurata la trasparenza e non venga attuata una discriminazione basata sul luogo di residenza all’interno dell’UE. Tuttavia, soprattutto nel caso degli LCC la strategia di prezzo può risultare opaca e complessa soprattutto quando il prezzo finale risulta scomposto in diverse tariffe supplementari, che possono arrivare a rappresentare fino al 45% del costo finale del biglietto.
Nelle parti finali dello Studio sono analizzate le decisioni delle autorità europee deputate alla tutela della concorrenza in tema di trasporto aereo. Lo Studio ripercorre in primo luogo l’approccio della Commissione europea (Commissione) alla definizione dei mercati nei quali operare valutazioni concorrenziali, essenzialmente consistente nella identificazione di mercati corrispondenti a tratte che uniscono coppie di città (o di aeroporti) (origin and destination approach, o O&D); nella suddivisione di tali mercati in segmenti che riflettano le esigenze dei viaggiatori, ossia di viaggio ricreativo o per ragioni di lavoro; infine distinguendo i mercati a seconda che i viaggiatori debbano raggiungere un aeroporto di scalo (per i quali la puntualità e il trasporto corretto e immediato dei bagagli sono essenziali) e ovvero si avvalgano di un volo diretto. Lo Studio analizza, da ultimo, come alcune strategie di prezzo adottate dalle compagnie aeree, in particolare applicando prezzi inferiori a determinati benchmark di costo, possano costituire un abuso di posizione dominante nella forma di prezzi predatori, con effetto escludente. Lo Studio rileva che allegazioni di prezzi predatori sono state avanzate frequentemente ma raramente confermate dalle autorità nazionali, e mai dalla Commissione Europea.
Sebbene non esaustivo e senza mai approfondire gli aspetti più problematici, lo Studio offre comunque una panoramica interessante del settore e si presenta come un contributo per la comprensione delle sue dinamiche concorrenziali. Non è peraltro chiaro se (e non lo si può escludere) lo Studio possa essere stato in una qualche misura ispirato dalla volontà politica di un futuro potenziale incremento dei poteri della Commissione nel settore in relazione alle pratiche commerciali scorrette (accanto alle competenze di enforcement antitrust).
Riccardo Fadiga
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Lo Studio è articolato in tre parti. Nella prima parte sono analizzati gli effetti dell’ingresso sul mercato dei c.d. operatori a basso costo (LCC), ossia delle compagnie aeree che hanno fatto della competitività sul prezzo la caratteristica identitaria della propria strategia commerciale, attraverso una semplificazione nella gestione dei ricavi (c.d. yield management), la disaggregazione (unbundling) dei servizi (e.g. l’applicazione di un sovrapprezzo per il trasporto dei bagagli), l’incremento di efficienza nell’utilizzo dell’aeromobile e l’utilizzo di aeroporti secondari. Queste strategie si contrappongono a quelle adottate tradizionalmente dagli operatori c.d. Full Service (FSC), che impiegano una gestione dei ricavi più strutturata attraverso diversi classi di servizio e l’offerta di un prodotto integrato (bundled) che include ogni servizio nel prezzo del biglietto. Lo Studio rileva al riguardo che, assoggettati alla pressione concorrenziale degli LCC, gli FSC hanno adottato progressivamente tattiche commerciali in origine proprie degli LCC, con ciò sfumando la linea di distinzione tra le due categorie.
La seconda parte dello Studio si occupa di analizzare le strategie di prezzo attuate dalle linee aeree e la misura in cui esse integrino delle pratiche commerciali scorrette. Varie strategie sono adottate per la massimizzazione dei ricavi quali le offerte personalizzate e la discriminazione di prezzo; tali pratiche commerciali vengono considerate compatibili con la tutela dei consumatori fintanto che risulti assicurata la trasparenza e non venga attuata una discriminazione basata sul luogo di residenza all’interno dell’UE. Tuttavia, soprattutto nel caso degli LCC la strategia di prezzo può risultare opaca e complessa soprattutto quando il prezzo finale risulta scomposto in diverse tariffe supplementari, che possono arrivare a rappresentare fino al 45% del costo finale del biglietto.
Nelle parti finali dello Studio sono analizzate le decisioni delle autorità europee deputate alla tutela della concorrenza in tema di trasporto aereo. Lo Studio ripercorre in primo luogo l’approccio della Commissione europea (Commissione) alla definizione dei mercati nei quali operare valutazioni concorrenziali, essenzialmente consistente nella identificazione di mercati corrispondenti a tratte che uniscono coppie di città (o di aeroporti) (origin and destination approach, o O&D); nella suddivisione di tali mercati in segmenti che riflettano le esigenze dei viaggiatori, ossia di viaggio ricreativo o per ragioni di lavoro; infine distinguendo i mercati a seconda che i viaggiatori debbano raggiungere un aeroporto di scalo (per i quali la puntualità e il trasporto corretto e immediato dei bagagli sono essenziali) e ovvero si avvalgano di un volo diretto. Lo Studio analizza, da ultimo, come alcune strategie di prezzo adottate dalle compagnie aeree, in particolare applicando prezzi inferiori a determinati benchmark di costo, possano costituire un abuso di posizione dominante nella forma di prezzi predatori, con effetto escludente. Lo Studio rileva che allegazioni di prezzi predatori sono state avanzate frequentemente ma raramente confermate dalle autorità nazionali, e mai dalla Commissione Europea.
Sebbene non esaustivo e senza mai approfondire gli aspetti più problematici, lo Studio offre comunque una panoramica interessante del settore e si presenta come un contributo per la comprensione delle sue dinamiche concorrenziali. Non è peraltro chiaro se (e non lo si può escludere) lo Studio possa essere stato in una qualche misura ispirato dalla volontà politica di un futuro potenziale incremento dei poteri della Commissione nel settore in relazione alle pratiche commerciali scorrette (accanto alle competenze di enforcement antitrust).
Riccardo Fadiga
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Diritto della concorrenza Italia/Bid rigging e settore della ristorazione – Il Consiglio di Stato ha respinto l’appello dell’AGCM e ha confermato l’annullamento delle sanzioni a carico di My Chef e Chef Express
Con due decisioni ‘gemelle’ dello scorso 27 aprile, il Consiglio di Stato (CdS) ha respinto l’appello presentato dall’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) avverso le sentenze del Tribunale Amministrativo Regionale del Lazio (TAR Lazio) (già oggetto di commento su questa Newsletter), tramite cui quest’ultimo aveva accolto i motivi di doglianza proposti nei due ricorsi avanzati dalle società My Chef Ristorazione Commerciale S.p.A.(My Chef) e Chef Express S.p.A. (Chef Express) (congiuntamente, le Parti) avverso il provvedimento adottato nell’ aprile 2015 (e già oggetto di commento su questa Newsletter) dall’AGCM.
Mediante tale decisione, l’AGCM aveva concluso il procedimento istruttorio I775 - Procedure di affidamento dei servizi ristoro su rete autostradale Aspi (il Provvedimento), infliggendo una sanzione in capo a My Chef di importo pari a €4.968.600 e a Chef Express pari a €8.420.439. In particolare, con il Provvedimento l’AGCM aveva accertato la sussistenza tra le Parti coinvolte di un’intesa orizzontale finalizzata ad assicurare il coordinamento delle proprie strategie d’offerta, in modo da garantirsi una spartizione simmetrica di 16 (8 a testa) delle 43 gare indette dalla società Autostrade per l’Italia S.p.A. (Autostrade) – e gestite dalla società Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. (RB) – per l’affidamento del servizio di ristorazione sulla propria rete.
Le Parti avevano presentato ricorso dinnanzi al TAR Lazio incardinando le proprie doglianze essenzialmente su due ‘macro-motivi’: i) il procedimento sanzionatorio sarebbe stato caratterizzato da un grave ed evidente deficit istruttorio, il quale avrebbe de facto comportato la violazione dei diritti di difesa e del principio del contraddittorio ai danni delle Parti. L’AGCM avrebbe basato le proprie accuse su un insieme di documenti “contraddittori e lacunosi” (ai quali, inoltre, sarebbe stato negato l’accesso in sede istruttoria), ignorando completamente i report tecnici prodotti dalle Parti, in grado di dimostrare l’assenza di qualsiasi disegno collusivo alla base della loro strategia d’offerta; e ii) le sanzioni inflitte dall’AGCM sarebbero state caratterizzate da significativi elementi di illogicità ed indeterminatezza, ponendosi in aperto contrasto con i criteri di cui alla legge n. 689 del 24 novembre 1981.
Come anticipato, il TAR Lazio aveva accolto i summenzionati ricorsi, accertando una grave carenza probatoria. In particolare, il TAR Lazio aveva rilevato che l’AGCM – mancando di fondare l’intero iter istruttorio su elementi oggettivi e basandosi esclusivamente su medie forniti da RB, privi di qualsivoglia natura probatoria circa il reale impatto economico (o regolarità) delle offerte presentate dalle Parti – non ha fornito alcun elemento di prova (né diretta, né indiretta) circa l’esistenza di un accordo collusivo tra le Parti.
L’AGCM ha quindi contestato in appello la sentenza del TAR Lazio sostenendo, inter alia: i) la completezza della propria attività istruttoria, volta a dimostrare la sussistenza di una intesa ‘parziale’ e non coinvolgente tutti i partecipanti alle gare di cui sopra; ii) l’erronea valutazione operata dal TAR Lazio nel non scorgere l’evidente parallelismo tra le strategie d’offerta delle Parti sanzionate; e, infine, iii) l’adeguatezza dei documenti su cui l’AGCM aveva fondato il proprio processo decisionale.
Con le sentenze in commento il CdS ha respinto in toto i suddetti motivi d’appello, riconoscendo – al pari del TAR Lazio – l’inconsistenza probatoria dell’impianto accusatorio dell’AGCM e sostenendo che l’attività istruttoria difetti degli “indizi seri, precisi e concordanti”, indispensabili al fine di comprovare l’esistenza di una concertazione tra le Parti. Come sostenuto dal CdS, l’alternanza delle offerte presentate da Chef Express e da My Chef avrebbe potenzialmente potuto – in thesi – rappresentare l’esito di una spartizione anticoncorrenziale dei lotti di gara e, quindi, di una strategia collusiva. Tuttavia, l’AGCM, fondando la sua ricostruzione probatoria su un mosaico di documenti imprecisi e lacunosi e mancando di meglio qualificare e caratterizzare l’asserito ‘patto collusivo’ tra le Parti, ha costretto tale teoria “nell’alveo della ‘congettura”, non fornendole una solida base probatoria su cui ergersi. Inoltre, non prendendo in nessuna considerazione gli apporti tecnici prodotti dalle Parti, volti ad offrire una diversa ricostruzione del rapporto esistente tra le offerte da queste presentate ed il risultato delle relative gare, l’AGCM ha impedito a My Chef e Chef Express di partecipare pienamente ed effettivamente alla fase istruttoria, così violando il loro diritto di difesa ed il principio del contraddittorio. Sul punto, il CdS ha notato come l’AGCM non abbia minimamente considerato neanche l’affermazione avanzata da RB, secondo cui le condotte di gara adottate delle Parti “…non hanno determinato l’individuazione degli operatori primi in graduatoria nei lotti…” interessati. Infatti, anche in assenza dei rilanci oggetto di analisi, i servizi sarebbero stati assegnati ai medesimi soggetti. Ignorando completamente tali elementi, l’AGCM si è limitata a costruire il proprio impianto sanzionatorio esclusivamente sul mero “dato medio” fornito da RB, senza ulteriormente contestualizzarlo e cadendo, così, in errore.
Com’è evidente, la sentenza oggetto del presente commento riveste una notevole importanza specialmente dal punto di vista del richiamo degli inderogabili oneri probatori sussistenti in capo all’AGCM, nonché dei diritti di difesa riconosciuti alle società. Sottolineando, in particolare, come sia essenziale prendere in considerazione qualsiasi elemento di prova – compresi, soprattutto, i report tecnici prodotti dalle parti convenute – il CdS ha voluto ricordare all’AGCM l’obbligo di osservanza, non solo degli elevati standard probatori a questa imposti, ma anche dei fondamentali principi del contraddittorio e del rispetto del diritto di difesa.
Luca Feltrin
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Mediante tale decisione, l’AGCM aveva concluso il procedimento istruttorio I775 - Procedure di affidamento dei servizi ristoro su rete autostradale Aspi (il Provvedimento), infliggendo una sanzione in capo a My Chef di importo pari a €4.968.600 e a Chef Express pari a €8.420.439. In particolare, con il Provvedimento l’AGCM aveva accertato la sussistenza tra le Parti coinvolte di un’intesa orizzontale finalizzata ad assicurare il coordinamento delle proprie strategie d’offerta, in modo da garantirsi una spartizione simmetrica di 16 (8 a testa) delle 43 gare indette dalla società Autostrade per l’Italia S.p.A. (Autostrade) – e gestite dalla società Roland Berger Strategy Consultants S.r.l. (RB) – per l’affidamento del servizio di ristorazione sulla propria rete.
Le Parti avevano presentato ricorso dinnanzi al TAR Lazio incardinando le proprie doglianze essenzialmente su due ‘macro-motivi’: i) il procedimento sanzionatorio sarebbe stato caratterizzato da un grave ed evidente deficit istruttorio, il quale avrebbe de facto comportato la violazione dei diritti di difesa e del principio del contraddittorio ai danni delle Parti. L’AGCM avrebbe basato le proprie accuse su un insieme di documenti “contraddittori e lacunosi” (ai quali, inoltre, sarebbe stato negato l’accesso in sede istruttoria), ignorando completamente i report tecnici prodotti dalle Parti, in grado di dimostrare l’assenza di qualsiasi disegno collusivo alla base della loro strategia d’offerta; e ii) le sanzioni inflitte dall’AGCM sarebbero state caratterizzate da significativi elementi di illogicità ed indeterminatezza, ponendosi in aperto contrasto con i criteri di cui alla legge n. 689 del 24 novembre 1981.
Come anticipato, il TAR Lazio aveva accolto i summenzionati ricorsi, accertando una grave carenza probatoria. In particolare, il TAR Lazio aveva rilevato che l’AGCM – mancando di fondare l’intero iter istruttorio su elementi oggettivi e basandosi esclusivamente su medie forniti da RB, privi di qualsivoglia natura probatoria circa il reale impatto economico (o regolarità) delle offerte presentate dalle Parti – non ha fornito alcun elemento di prova (né diretta, né indiretta) circa l’esistenza di un accordo collusivo tra le Parti.
L’AGCM ha quindi contestato in appello la sentenza del TAR Lazio sostenendo, inter alia: i) la completezza della propria attività istruttoria, volta a dimostrare la sussistenza di una intesa ‘parziale’ e non coinvolgente tutti i partecipanti alle gare di cui sopra; ii) l’erronea valutazione operata dal TAR Lazio nel non scorgere l’evidente parallelismo tra le strategie d’offerta delle Parti sanzionate; e, infine, iii) l’adeguatezza dei documenti su cui l’AGCM aveva fondato il proprio processo decisionale.
Con le sentenze in commento il CdS ha respinto in toto i suddetti motivi d’appello, riconoscendo – al pari del TAR Lazio – l’inconsistenza probatoria dell’impianto accusatorio dell’AGCM e sostenendo che l’attività istruttoria difetti degli “indizi seri, precisi e concordanti”, indispensabili al fine di comprovare l’esistenza di una concertazione tra le Parti. Come sostenuto dal CdS, l’alternanza delle offerte presentate da Chef Express e da My Chef avrebbe potenzialmente potuto – in thesi – rappresentare l’esito di una spartizione anticoncorrenziale dei lotti di gara e, quindi, di una strategia collusiva. Tuttavia, l’AGCM, fondando la sua ricostruzione probatoria su un mosaico di documenti imprecisi e lacunosi e mancando di meglio qualificare e caratterizzare l’asserito ‘patto collusivo’ tra le Parti, ha costretto tale teoria “nell’alveo della ‘congettura”, non fornendole una solida base probatoria su cui ergersi. Inoltre, non prendendo in nessuna considerazione gli apporti tecnici prodotti dalle Parti, volti ad offrire una diversa ricostruzione del rapporto esistente tra le offerte da queste presentate ed il risultato delle relative gare, l’AGCM ha impedito a My Chef e Chef Express di partecipare pienamente ed effettivamente alla fase istruttoria, così violando il loro diritto di difesa ed il principio del contraddittorio. Sul punto, il CdS ha notato come l’AGCM non abbia minimamente considerato neanche l’affermazione avanzata da RB, secondo cui le condotte di gara adottate delle Parti “…non hanno determinato l’individuazione degli operatori primi in graduatoria nei lotti…” interessati. Infatti, anche in assenza dei rilanci oggetto di analisi, i servizi sarebbero stati assegnati ai medesimi soggetti. Ignorando completamente tali elementi, l’AGCM si è limitata a costruire il proprio impianto sanzionatorio esclusivamente sul mero “dato medio” fornito da RB, senza ulteriormente contestualizzarlo e cadendo, così, in errore.
Com’è evidente, la sentenza oggetto del presente commento riveste una notevole importanza specialmente dal punto di vista del richiamo degli inderogabili oneri probatori sussistenti in capo all’AGCM, nonché dei diritti di difesa riconosciuti alle società. Sottolineando, in particolare, come sia essenziale prendere in considerazione qualsiasi elemento di prova – compresi, soprattutto, i report tecnici prodotti dalle parti convenute – il CdS ha voluto ricordare all’AGCM l’obbligo di osservanza, non solo degli elevati standard probatori a questa imposti, ma anche dei fondamentali principi del contraddittorio e del rispetto del diritto di difesa.
Luca Feltrin
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Tutela del consumatore/Pratiche commerciali scorrette e COVID-19 – La CMA pubblica un report sull’attività della Covid-19 Taskforce nel campo della tutela del consumatore
In data 24 aprile 2020, la Competition&Market Authority (CMA) ha pubblicato un breve report sul lavoro svolto fino ad ora, nell’ambito della tutela del consumatore, dalla taskforce che la CMA ha istituto per individuare, monitorare e affrontare i vari fenomeni speculativi connessi al COVID-19 (COVID-19 Taskforce).
Basandosi sulle segnalazioni dei consumatori e le informazioni ricevute dalle associazioni a tutela del consumatore dal 10 marzo al 19 aprile 2020, la CMA ha concluso che le pratiche commerciali scorrette più diffuse in tale periodo riguardano principalmente: (i) i rimborsi relativi a eventi o viaggi, e (ii) l’aumento ingiustificato dei prezzi dei beni essenziali.
In relazione al primo punto, le principali preoccupazioni della CMA derivano dalla circostanza per cui varie imprese (in particolar modo, quelle di grandi dimensioni) stanno a tutti gli effetti rifiutando ai consumatori i rimborsi, introducendo un’inutile complessità nel processo per il loro ottenimento, addebitando elevate spese amministrative per la cancellazione, nonché facendo pressione sui consumatori affinché accettino voucher anziché la somma pagata in precedenza. A tal proposito, il 30 aprile scorso, la CMA ha pubblicato una breve guida in cui illustra come la legge opera in questo settore, per aiutare i consumatori a comprendere i loro diritti e per aiutare le imprese a trattare i loro clienti in modo equo.
In relazione al secondo punto, benché le segnalazioni pervenute alla COVID-19 Taskforce a questo riguardo siano sensibilmente diminuite nelle ultime settimane, la CMA ha ritenuto opportuno adottare una serie di misure. A tal proposito (a) sono state inviate richieste di informazioni a 187 imprese; (b) è stata rafforzata la collaborazione con piattaforme di vendita online, tra cui Amazon e eBay, al fine di bloccare le vendite di prodotti essenziali a prezzi ingiustificatamente alti; e (c) sono state inviate comunicazioni a varie associazioni di categoria, nonché a imprese operanti in settori attualmente critici (i.e. quello sanitario e alimentare) in cui la CMA ha espresso non solo le sue preoccupazioni, ma ha anche dato indicazioni circa le pratiche commerciali che tali imprese dovrebbero adottare.
La particolare attenzione ai fenomeni speculativi legati al Covid-19 della CMA è condivisa non soltanto dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato italiana (si vedano a tal proposito le Newsletter del 23 marzo 2020, del 30 marzo 2020 e del 27 aprile 2020), ma più in generale dal Consumer Protection Cooperation Network che il 20 marzo scorso ha pubblicato un comunicato intitolato “CPC Common Position COVID-19” circa le pratiche sleali più segnalate nel contesto dovuto alla crisi sanitaria in atto. L’obiettivo di tale comunicazione è quello di aiutare i gestori delle piattaforme online a individuare più facilmente e a ridurre queste pratiche illegali, nonché a evitare che casi analoghi si ripetano.
L’insieme delle attività sopra descritte sottolinea l’importanza per gli operatori commerciali di agire in modo responsabile, evitando le pratiche illegali di cui sopra, e tenendo conto di tutte le istruzioni e di tutti i suggerimenti delle autorità nazionali in merito alle misure di protezione contro il COVID-19.
Mila Filomena Crispino
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Basandosi sulle segnalazioni dei consumatori e le informazioni ricevute dalle associazioni a tutela del consumatore dal 10 marzo al 19 aprile 2020, la CMA ha concluso che le pratiche commerciali scorrette più diffuse in tale periodo riguardano principalmente: (i) i rimborsi relativi a eventi o viaggi, e (ii) l’aumento ingiustificato dei prezzi dei beni essenziali.
In relazione al primo punto, le principali preoccupazioni della CMA derivano dalla circostanza per cui varie imprese (in particolar modo, quelle di grandi dimensioni) stanno a tutti gli effetti rifiutando ai consumatori i rimborsi, introducendo un’inutile complessità nel processo per il loro ottenimento, addebitando elevate spese amministrative per la cancellazione, nonché facendo pressione sui consumatori affinché accettino voucher anziché la somma pagata in precedenza. A tal proposito, il 30 aprile scorso, la CMA ha pubblicato una breve guida in cui illustra come la legge opera in questo settore, per aiutare i consumatori a comprendere i loro diritti e per aiutare le imprese a trattare i loro clienti in modo equo.
In relazione al secondo punto, benché le segnalazioni pervenute alla COVID-19 Taskforce a questo riguardo siano sensibilmente diminuite nelle ultime settimane, la CMA ha ritenuto opportuno adottare una serie di misure. A tal proposito (a) sono state inviate richieste di informazioni a 187 imprese; (b) è stata rafforzata la collaborazione con piattaforme di vendita online, tra cui Amazon e eBay, al fine di bloccare le vendite di prodotti essenziali a prezzi ingiustificatamente alti; e (c) sono state inviate comunicazioni a varie associazioni di categoria, nonché a imprese operanti in settori attualmente critici (i.e. quello sanitario e alimentare) in cui la CMA ha espresso non solo le sue preoccupazioni, ma ha anche dato indicazioni circa le pratiche commerciali che tali imprese dovrebbero adottare.
La particolare attenzione ai fenomeni speculativi legati al Covid-19 della CMA è condivisa non soltanto dalla Autorità garante della concorrenza e del mercato italiana (si vedano a tal proposito le Newsletter del 23 marzo 2020, del 30 marzo 2020 e del 27 aprile 2020), ma più in generale dal Consumer Protection Cooperation Network che il 20 marzo scorso ha pubblicato un comunicato intitolato “CPC Common Position COVID-19” circa le pratiche sleali più segnalate nel contesto dovuto alla crisi sanitaria in atto. L’obiettivo di tale comunicazione è quello di aiutare i gestori delle piattaforme online a individuare più facilmente e a ridurre queste pratiche illegali, nonché a evitare che casi analoghi si ripetano.
L’insieme delle attività sopra descritte sottolinea l’importanza per gli operatori commerciali di agire in modo responsabile, evitando le pratiche illegali di cui sopra, e tenendo conto di tutte le istruzioni e di tutti i suggerimenti delle autorità nazionali in merito alle misure di protezione contro il COVID-19.
Mila Filomena Crispino
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