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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE/Aiuti di Stato e industria alberghiera – La Corte di Giustizia rigetta le cause di giustificazione addotte dall’Italia per non avere recuperato aiuti di Stato concessi dalla regione Sardegna e ordina il pagamento di 7,5 milioni di euro a titolo di penalità
Lo scorso 12 marzo è stata pubblicata la sentenza con cui la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE) si è pronunciata sul ricorso della Commissione europea (Commissione) contro la Repubblica italiana con cui si richiedeva di condannare l’Italia al pagamento di una penale per non avere tempestivamente recuperato le sovvenzioni – pari a circa 13,7 milioni – previste in favore di alcuni investimenti nell’industria alberghiera in Sardegna (gli Aiuti controversi), già dichiarati aiuti di Stato incompatibili con il mercato comune con una precedente decisione e di cui la CGUE aveva già ordinato il recupero (sentenza 29 marzo 2012, causa C 243/10).In seguito alla summenzionata sentenza della CGUE, solo l’8 per cento degli Aiuti controversi è stato recuperato. Nella sentenza in esame la CGUE rileva che l’Italia non ha dimostrato che il recupero integrale degli importi concessi sarebbe impossibile a causa del fallimento dei beneficiari. In particolare, la CGUE rileva che, secondo la giurisprudenza applicabile, l’unico mezzo difensivo che uno Stato membro può opporre a un ricorso per inadempimento avente ad oggetto l’esecuzione di una decisione della Commissione che dispone il recupero di un aiuto illegittimamente concesso, è quello dell’impossibilità assoluta di dare corretta esecuzione a tale decisione. A tale proposito, la CGUE rileva che, avendo il Tribunale dell’Unione europea (Tribunale) respinto i ricorsi volti all’annullamento della Decisione originale, i giudici italiani non possano concedere alcuna sospensione degli ordini nazionali di recupero degli aiuti controversi. Né, tantomeno, può essere addotta a giustificazione la difficoltà incontrata dall’Italia all’esecuzione degli ordini di recupero a causa dei procedimenti pendenti relativamente a tali ordini di recupero, poiché uno Stato membro non può eccepire disposizioni, prassi, o situazioni del proprio ordinamento giuridico interno per giustificare l’inosservanza degli obblighi derivanti dal diritto dell’Unione. Da ultimo, la CGUE si è pronunciata sull’asserito legittimo affidamento, in capo ai beneficiari degli Aiuti controversi, sulla compatibilità di questi ultimi con il diritto dell’Unione, affermando che un siffatto argomento non può essere validamente addotto dallo Stato membro interessato nell’ambito di un ricorso per inadempimento avente ad oggetto l’attuazione di una decisione della Commissione che ordina il recupero di aiuti illegittimi.
Conseguentemente, la CGUE ha stabilito che l’Italia non possa validamente sostenere di avere adottato tutte le misure necessarie al fine di eseguire la procedura di recupero degli Aiuti controversi e che, pertanto, si debba dichiarare che l’Italia sia venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in virtù del diritto eurounitario. La CGUE ha pertanto condannato l’Italia al pagamento di una somma pari a 7,5 milioni di euro a titolo di penalità forfettaria, nonché una penalità di importo pari a EUR 80.000 per ogni giorno a decorrere dalla pronuncia della sentenza in discorso fino alla data di completa esecuzione della summenzionata sentenza del 29 marzo 2012.
La sentenza in commento si pone in linea di continuità con la giurisprudenza consolidata, riaffermando un approccio estremamente restrittivo circa la possibilità per gli Stati membri di addurre cause di giustificazione al mancato recupero degli aiuti di Stato giudicati incompatibili con il mercato comune. Ciò in quanto un ampliamento delle ragioni per non dare esecuzione ad ordini di recupero priverebbe il divieto di Aiuti di Stato di qualsiasi rilievo sostanziale.
Riccardo Fadiga
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Dawn raids e diritti di difesa – L’Avvocato Generale Kokott si pronuncia sulla facoltà della Commissione di copiare i dati presso un’impresa nell’ambito di un accertamento antitrust al fine di esaminarli successivamente a Bruxelles
Con le conclusioni presentate il 12 marzo scorso, l’Avvocato Generale Kokott (AG) si è pronunciata sul potere della Commissione europea (Commissione) di copiare i dati presso un’impresa, nell’ambito di un accertamento ispettivo in materia antitrust, senza prima averne verificato la rilevanza ai fini dell’accertamento in questione e, successivamente, di analizzare tali dati nei propri locali a Bruxelles.La questione è sorta nell’ambito del procedimento relativo al cartello dei cavi elettrici sottomarini e sotterranei, sanzionato dalla Commissione nel 2014 per un totale di 300 milioni di euro. Nel contesto dell’indagine antitrust, la Commissione aveva effettuato accertamenti ispettivi nei locali di Nexans France SAS, la ricorrente nel procedimento in esame insieme alla controllante Nexans SA (congiuntamente, Nexans o le Ricorrenti), effettuando le copie del disco rigido del computer di un dipendente e portandole con sé a Bruxelles in buste sigillate. Successivamente, secondo un protocollo ormai in vigore da anni, la Commissione aveva aperto nella propria sede le buste sigillate in presenza degli avvocati di Nexans, selezionando e stampando solo i documenti ritenuti rilevanti per l’indagine. Alla fine di tali operazioni, il contenuto dei dischi rigidi dei computer sui quali gli ispettori avevano lavorato è stato cancellato.
Il caso in esame è di particolare interesse in quanto per la prima volta viene analizzata innanzi alla Corte di Giustizia la questione se l’art. 20 del regolamento n. 1/2003 conferisca alla Commissione il potere non solo di esaminare i dati potenzialmente rilevanti ai fini dell’indagine nei locali dell’impresa soggetta a ispezione ma anche di copiarli ed esaminarli nei propri locali a Bruxelles. In particolare, Nexans censura il fatto che (i) la Commissione abbia copiato i dati senza averne controllato la rilevanza ai fini del procedimento; (ii) non vi sia nessun fondamento legale che autorizzi la Commissione a proseguire l’esame dei dati a Bruxelles; e che (iii) tale attività non fosse contemplata nella decisione di ispezione. Nexans, inoltre, ha contestato che (iv) il Tribunale dell’UE (Tribunale) avrebbe esercitato in modo errato e insufficiente la propria competenza estesa al merito con riguardo all’ammenda irrogata.
Sul motivo sub (i), l’AG ha ribadito che la Commissione può ricercare solo i documenti rilevanti per l’oggetto e lo scopo dell’accertamento precisati nella decisione che autorizza l’ispezione e può inserire nel fascicolo solo documenti che soddisfino detti requisiti. Tuttavia, secondo l’AG l’art. 20 del regolamento n.1/2003 non fissa una sequenza cronologica in base alla quale la rilevanza dei documenti debba sempre essere sempre controllata prima di estrarre copia di detti documenti. In particolare, l’AG ha affermato che “…i diritti di difesa e la tutela di diritti quali il segreto professionale […] o il diritto al rispetto della vita privata […] sono assicurati quando, come nella presente fattispecie, la Commissione copia i dati senza previo controllo, ma li esamina nella rigorosa osservanza delle pertinenti garanzie di difesa delle imprese interessate, vale a dire esclusivamente in presenza dei loro avvocati, quanto alla loro rilevanza per l’oggetto dell’accertamento, prima di inserire nel fascicolo del procedimento i documenti ritenuti rilevanti e di cancellare i restanti dati copiati…”. Peraltro, nel caso in esame, la Commissione non aveva estratto copia dei dati della società oggetto di ispezione in maniera indiscriminata, ma avrebbe copiato i dati già individuati come potenzialmente rilevanti in quanto presenti nel computer di una persona che si aveva motivo di ritenere avesse un ruolo determinante nell’infrazione.
Sul motivo sub (ii), l’AG ha affermato che l’art. 20, comma 1, del regolamento n.1/2003 prevede che la Commissione possa procedere agli accertamenti necessari “presso le imprese” perché una ispezione inizia necessariamente nei locali di un’impresa. Ciò non esclude, tuttavia, che esso prosegua nei locali della Commissione, purché ciò appaia adeguato e le imprese interessate dispongano delle stesse garanzie di difesa di cui avrebbero beneficiato nei propri locali. In particolare, la necessaria presenza a Bruxelles degli avvocati per tutta la durata dell’accertamento e i costi che ne derivano non possono costituire per le imprese un onere sproporzionato rispetto ad un esame svolto nei propri locali. L’AG ha ritenuto che tale criterio di proporzionalità fosse soddisfatto nel caso in esame.
Sul motivo sub (iii), l’AG ha affermato che, sebbene la decisione che autorizza l’ispezione stabilisca che “…l’accertamento può essere svolto in qualsiasi locale controllato dall’impresa…”, ciò non esclude che la Commissione esamini nei propri locali documentazione estratta presso l’impresa. L’unico scopo dell’espressione utilizzata dal legislatore europeo sarebbe, infatti, sarebbe quello di impedire alla Commissione di accedere ai locali di una persona giuridica diversa da quella menzionato nella decisione.
Con i motivi sub (iv), le Ricorrenti hanno censurato l’esercizio da parte del Tribunale della sua competenza estesa al merito con riguardo alla sanzione. L’AG, tuttavia, ha respinto le argomentazioni delle Ricorrenti, sostenendo che il Tribunale avesse adeguatamente esaminato gli elementi idonei ad incidere sulla determinazione delle gravità della.
Sarà interessante vedere se la Corte di Giustizia si conformerà alle indicazioni dell’AG, che privilegiano un’interpretazione sistematica e non meramente letterale del dettato normativo in una sentenza che, come ricordato dallo stesso AG, "…acquisirà un significato da non sottovalutare…” per la futura prassi della Commissione in materia di accertamenti antitrust.
Luigi Eduardo Bisogno
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Concentrazioni e settore delle telecomunicazioni – La Commissione approva con impegni l’acquisizione del controllo congiunto da parte di Telecom e Vodafone della più grande ‘tower company’ italiana: INWIT
Lo scorso 6 marzo, la Commission europea (la Commissione) ha reso nota tramite un comunicato stampa la propria decisione (non ancora pubblicata) di autorizzare – subordinandone l’efficacia al rispetto del pacchetto di impegni proposti dalle società coinvolte – l’operazione di acquisizione del controllo congiunto sulla joint venture INWIT da parte di Telecom Italia S.p.A. (Telecom) e Vodafone Italia S.p.A. (Vodafone) (congiuntamente, le Parti e, complessivamente, l’Operazione).INWIT, in particolare, è una società che gestisce le cc.dd. componenti ‘passive’ delle infrastrutture telefoniche presenti in Italia, ossia i piloni, le torri etc. su cui materialmente installare le tecnologie necessarie a garantire la diffusione e l’elaborazione del segnale mobile e wireless (che costituiscono le cc.dd. componenti ‘attive’). Come risultato dell’Operazione in esame, INWIT aggregherà e gestirà il corretto funzionamento delle oltre 22.000 torri che formano la maggioranza del patrimonio ‘passivo’ di Telecom e Vodafone nel nostro Paese.
Il percorso che ha portato le Parti a concludere la presente Operazione trova il proprio step iniziale nel comunicato congiunto delle Parti dello scorso 26 luglio 2019, tramite cui veniva annunciata la conclusione di: (i) un accordo di condivisione delle loro infrastrutture ‘passive’; e (ii) un separato accordo per la condivisione delle componenti ‘attive’ per la rete mobile diretto ad accelerare il lancio della tecnologia 5G in Italia.
La condivisione delle reti (nelle componenti sia attive che passive) tra operatori concorrenti – come avvenuto nell’Operazione in questione – è una pratica diffusa nel settore delle telecomunicazioni in quanto in grado di facilitare lo sviluppo delle reti riducendone i costi relativi. Tuttavia, tale prassi è vista con preoccupazione dalle autorità competenti – Commissione in primis – poiché comporta una stretta cooperazione tra concorrenti e determina uno scambio capillare di informazioni sensibili tra gli stessi.
Nell’esaminare l’Operazione, la Commissione si è concentrata in particolare sull’elevato numero di torri oggetto di controllo congiunto delle Parti, potenzialmente in grado di: (i) ridurre la concorrenza sul mercato dello spazio di locazione delle torri agli operatori concorrenti alle Parti nei comuni italiani con più di 35.000 abitanti; e (ii) escludere dal mercato alcuni operatori (già presenti in Italia o intenzionati a entrare nel mercato italiano a breve), limitando il loro accesso ad un numero rilevante di torri poste a copertura dei comuni italiani con più di 35.000 abitanti.
Per ovviare alle suddette preoccupazioni concorrenziali, le Parti hanno proposto inter alia i seguenti impegni: (i) la messa a disposizione da parte di INWIT – a condizioni ragionevoli e non discriminatorie – dello spazio presente su 4.000 torri poste a copertura dei comuni italiani con più di 35.000 abitanti (dandone adeguata pubblicità); e (ii) l’adozione di un procedura da parte di INWIT atta a garantire una risposta tempestiva alle richieste di accesso alle suddette torri, le quali non potranno essere rifiutate se non per motivi tecnici ed adeguatamente giustificati.
Inoltre, da quanto si apprende dallo stesso comunicato stampa della Commissione, le Parti hanno comunicato la propria volontà di ridurre la portata del summenzionato accordo di condivisione delle componenti ‘attive’ – anche al fine di non ridurre l’effettività degli impegni sopra descritti – escludendo dal suo ambito d’applicazione le città più densamente popolate, nonché i grandi centri di rilevante importanza economica (i quali rappresentano il 30% della popolazione italiana ed oltre il 33% del traffico di dati nazionale).
In ragione di quanto detto, la Commissione – anche tenendo in considerazione il minor grado di concentrazione che caratterizza il mercato delle telecomunicazioni in Italia (soprattutto se paragonato ad altri Stati membri dell’Unione europea) – ha approvato l’Operazione.
Una volta che sarà reso pubblico il testo completo della decisione in parola sarà interessante analizzare in che misura la Commissione abbia tenuto in considerazione, ai fini della propria valutazione dell’Operazione, il più ampio insieme di accordi di cooperazione in essere tra le Parti e la rilevanza in concreto della necessità di favorire lo sviluppo delle reti in 5G (cui il comunicato stampa in commento fa riferimento). In ogni caso, al di là dello specifico caso in esame, da più parti si auspica una pronuncia della Commissione di portata più ampia circa la cooperazione tra concorrenti nello sviluppo delle reti con tecnologia in 5G, ad es. tramite una comunicazione in tal senso, ovvero la disponibilità a pronunciarsi tramite le c.d. lettere di orientamento con riferimento a casi specifici che non costituiscano operazioni notificabili ai sensi della normativa in materia di controllo delle concentrazioni.
Luca Feltrin
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Diritto della concorrenza Italia/Concentrazioni e settore della GDO – L’AGCM autorizza con condizioni l’acquisizione di Auchan da parte di Conad che diventa il primo operatore nella GDO in Italia
Con la decisione del 25 febbraio 2020 (Decisione) l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o Autorità) ha autorizzato con condizioni, l’acquisizione da parte di CONAD Consorzio Nazionale Dettaglianti Soc. Coop. (Conad), per il tramite della società veicolo BDC Italia S.p.A. da essa controllata, dell’intero capitale sociale di Margherita Distribuzione S.p.A. (già Auchan S.p.A., di seguito Auchan) e, pertanto, dei relativi punti vendita (pv) (l’Operazione).In particolare, l’Operazione prevede che siano trasferiti a Conad 241 pv gestiti da Auchan direttamente o tramite sue controllate e 50 pv in affitto a terzi. Di questi pv, 6 verranno successivamente trasferiti da Conad ad Esselunga. Altri 976 pv attualmente affiliati ad Auchan tramite contratti di franchising e di master franchising verranno gestiti da Conad solo fino alla naturale scadenza del contratto, continuando ad operare con le insegne riferibili ad Auchan. In proposito, è interessante notare come l’AGCM abbia precisato che detti pv in franchising non possano ritenersi ricompresi nel perimetro dell’Operazione in quanto il relativo vincolo contrattuale di fornitura che li legava ad Auchan, e che li legherà a Conad, nel caso di specie “…non configura una situazione di controllo ai sensi del diritto antitrust…”.
Definito il perimetro dell’Operazione, l’Autorità ha analizzato le potenziali criticità concorrenziali da essa derivanti. Come da prassi consolidata dell’Autorità, i mercati rilevanti interessati si dividono in due macrocategorie: quelli a monte dell’approvvigionamento, di dimensione nazionale, sui quali le parti operano dal lato della domanda; e quelli a valle della vendita al dettaglio, aventi dimensione locale, sui quali le parti operano dal lato dell’offerta.
Con riguardo ai mercati a monte dell’approvvigionamento, l’AGCM ha escluso la presenza di criticità concorrenziali alla luce di una quota di mercato post-Operazione pari a circa il 18% su base nazionale, inferiore a quanto ipotizzato nel provvedimento di avvio (pari al 24%). Ciò in ragione dell’uscita di Auchan dalla centrale d’acquisto Levante a cui attualmente aderisce e della conseguente possibilità di escludere dal computo della quota di mercato le quote riferibili agli altri operatori aderenti alla stessa. In assenza di criticità concorrenziali, l’AGCM non ha quindi ritenuto necessaria un’analisi approfondita di questi mercati, lasciando ancora una volta aperta la questione circa la possibilità di identificare distinti mercati dell’approvvigionamento in funzione delle diverse categorie di prodotti acquistati da parte delle catene di GDO.
Con riguardo ai mercati a valle della vendita al dettaglio, invece, l’Autorità procede a verificarne i confini merceologici anche alla luce dei dati ottenuti attraverso interviste ad un campione significativo di consumatori. Tale analisi ha riscontrato una maggiore sostituibilità rispetto al passato tra pv di dimensioni diverse (superette, supermercati e ipermercati) nonché tra quelli appartenenti a categorie diverse (GDO tradizionale e discount). Con riguardo alla dimensione geografica, invece, è stata riscontrata una minore sostituibilità, rispetto al passato, tra pv distanti tra loro. Di conseguenza, l’Autorità ha confermato la nuova definizione dei mercati dei supermercati e degli ipermercati adottata per la prima volta dall’AGCM in tempi recentissimi nel caso C12246 e ha, al contempo, introdotto una nuova e coerente definizione del mercato delle superette. Sono stati definiti, pertanto i seguenti mercati rilevanti:
- mercato delle superette: comprendente tutti i pv (inclusi i discount) con superficie di vendita compresa tra i 100 e i 2499 mq, compresi nell’area delimitata da una distanza percorribile in auto (isocrona) di 10 minuti;
- mercato degli ipermercati: comprendente tutti i pv (inclusi i discount) con superficie di vendita oltre i 400 mq inclusi in un’isocrona di 15 minuti;
- mercato dei supermercati: comprendente tutti i pv (inclusi i discount) con superficie di vendita oltre i 100 mq inclusi un’isocrona di 15 minuti.
Individuati i suddetti mercati rilevanti, l’AGCM ha valutato i possibili effetti dell’Operazione. Tale analisi è stata condotta sulla base di indici quantitativi (in merito l’AGCM ha chiarito che le quote di mercato, sebbene costituiscano il punto di partenza dell’analisi, non possano costituire l’unico criterio quantitativo di cui tenere conto), e, in subordine, di indici qualitativi.
Per quanto riguarda gli indici quantitativi, l’AGCM ha individuato una “soglia di attenzione” corrispondente ad una quota di mercato post-Operazione pari al 25%. Sui mercati locali nei quali la quota di mercato delle parti superava tale soglia, si è avvalsa di indici ulteriori quali:
- la c.d. diversion ratio, in grado di cogliere i rapporti di sostituibilità tra pv del medesimo mercato rilevante, per il quale ha fissato una “soglia di attenzione” del 20%; e
- il GUPPI (“Gross Upward Pricing Pressure Indicator”), indicatore che, sulla base delle stime della diversion ratio, misura l’incentivo dell’acquirente - Conad in questo caso - ad incrementare i prezzi o, più in generale, a rendere meno appetibile la propria offerta in un dato pv. Per il GUPPI l’Autorità ha fissato una “soglia di attenzione” del 5%.
Ove i suddetti indici quantitativi non abbiano consentito di fugare le preoccupazioni concorrenziali dell’AGCM, quest’ultima ha preso in esame anche più tradizionali indici qualitativi, quali:
- l’entità dell’incremento della quota di mercato derivante dall’Operazione;
- la distribuzione delle quote di mercato dei concorrenti; e
- la numerosità (anche in termini di densità) dei pv presenti nell’isocrona.
Sulla scorta dell’analisi degli effetti condotta secondo le modalità di cui sopra, l’AGCM ha ritenuto che persistessero criticità concorrenziali in 33 mercati locali. Tali criticità sono state ritenute superabili dai rimedi di natura squisitamente strutturale proposti da Conad, che dunque si è impegnata a cedere una pluralità di pv a soggetti terzi che dispongano di determinate caratteristiche, entro i tempi definiti dall’AGCM e sotto la vigilanza di un monitoring trustee. Pertanto, sebbene condizionata all’attuazione dei rimedi anzidetti, l’Autorità ha autorizzato l’Operazione.
La Decisione in esame è senza dubbio di notevole importanza non solo per le dimensioni degli operatori coinvolti. Essa infatti, consolida in maniera chiara e facilmente fruibile lo stato dell’arte circa i criteri da utilizzare per la valutazione di future operazioni nel settore della GDO (ma anche più in generale per la distribuzione al dettaglio) in Italia. In questo senso, si riveleranno certamente utili le indicazioni dell’AGCM sulla definizione merceologica (in particolare con riguardo al ruolo dei discount) e geografica dei mercati rilevanti che consentono di superare alcune incertezze del passato, ma soprattutto le indicazioni riguardanti l’analisi degli effetti, svolta nel caso in esame in maniera organica , con l’ausilio anche di alcuni indici (come il GUPPI) che sebbene già in uso nella prassi di altre autorità della concorrenza nazionali (e non) risultavano sino ad oggi pressoché inediti per l’AGCM.
Roberta Laghi
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Abuso di posizione dominante e fibra ottica – L’AGCM ha irrogato una sanzione pari a 116 milioni di euro per aver ostacolato lo sviluppo della fibra
Nella sua adunanza del 25 febbraio 2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha concluso, dopo circa tre anni, il procedimento A514 nei confronti di Telecom Italia S.p.A. (TIM) per aver posto in essere, a partire dalla fine del 2016, una complessa e unica strategia anticoncorrenziale (i) nel mercato dei servizi di accesso all’ingrosso alla rete fissa a banda larga e ultralarga (Mercato Wholesale); e (ii) nel mercato dei servizi di telecomunicazioni al dettaglio su rete fissa a banda larga e ultralarga (Mercato Retail).La documentazione acquisita nel corso dell’istruttoria ha portato l’AGCM ad accertare una strategia abusiva di TIM che si è articolata lungo due direttrici, essendo diretta a :
(i) ritardare e, alla fine, impedire l’ingresso sul mercato di un nuovo concorrente nelle aree bianche (ossia, le aree dove, in assenza di sussidi, il mercato non giustificherebbe lo sviluppo della fibra nella sua forma più innovativa, ovvero l’FTTH); nonché a
(ii) conservare indebitamente la posizione dominante nei Mercati Wholesale e Retail, anche nell’attuale fase competitiva caratterizzata dal processo di graduale migrazione della clientela alle offerte di servizi a banda ultralarga.
Più nello specifico, secondo la ricostruzione dell’AGCM, tale strategia sarebbe stata la diretta reazione di TIM all’ingresso nel mercato, alla fine del 2015, di Open Fiber S.p.A. (OF). OF è una società, attualmente sottoposta al controllo congiunto di Enel S.p.A. e Cassa Depositi e Prestiti Equity S.p.A., costituta per l’ingresso nel mercato delle comunicazioni elettroniche. Essa è attiva nell’installazione, fornitura ed esercizio di reti di comunicazione elettronica ad alta velocità in fibra ottica e a banda ultralarga (quindi, solo nel Mercato Wholesale).
OF nasce nel contesto della strategia nazionale per la banda ultra-larga del Governo che aveva con l’obiettivo di colmare il ritardo digitale del Paese sul piano infrastrutturale e dei servizi nelle aree a fallimento di mercato (le c.d. aree bianche, appunto).
Più nello specifico, la realizzazione dell’intervento pubblico per attuare i piani predisposti dal Governo viene affidata a Infratel S.p.A. (Infratel), costituita su iniziativa del Ministero per lo Sviluppo Economico e da Invitalia. In primo luogo, Infratel avvia nel 2015 una consultazione pubblica (conclusasi nel 2016) per accertare quali aree dell’Italia fossero le aree del Paese caratterizzate da “fallimento del mercato”, sia attuale, sia prospettico. Sulla base delle dichiarazioni ricevute dagli operatori (TIM compresa) di non avere interesse a investire (senza incentivi pubblici) nei successivi tre anni, Infratel delinea il perimetro delle aree bianche e indice le prime due gare per selezionare l’operatore che, una volta aggiudicatesi la concessione, avrebbe realizzato e gestito per 20 anni le reti di proprietà pubblica.
TIM partecipa ad entrambe le gare, almeno in una prima fase. Per la prima gara, oltre ad essersi qualificata, ha altresì presentato un’offerta, arrivando seconda rispetto all’offerta di OF. Per la seconda gara, non essendosi qualificata a partecipare, non presenta più l’offerta. TIM sceglie tuttavia di modificare il proprio approccio complessivo nelle aree bianche e annuncia a sorperesa un piano di copertura autonomo con reti FTTC e mobili, che l’AGCM ritiene avere lo scopo precipuo di ostacolare l’ingresso sul mercato di OF (c.d. Progetto Cassiopea).
Contestualmente al Progetto Cassiopea, TIM predispone altresì una manovra di rideterminazione delle condizioni tecniche ed economiche delle principali offerte di servizi wholesale a banda ultralarga, valide per l’intero territorio nazionale, avente la finalità di occupare preventivamente il mercato contendibile da parte di OF, tramite la nuova offerta Easy Fiber e la rimodulazione dei profili di offerta del FTTH.
A completamento di tali condotte, con riferimento al Mercato Wholesale TIM pone in essere anche una serie di azioni legali, secondo l’AGCM ingiustificate e strumentali, innanzi a varie autorità giudiziarie e amministrative, nazionali ed europee, per contestare strumentalmente la struttura dei bandi di gara e ritardare le procedure di aggiudicazione in favore di OF.
Oltre alle suddette condotte nel Mercato Wholesale, nel Mercato Retail TIM adotta una serie di offerte promozionali che presentavano una struttura di condizioni contrattuali e tariffarie idonee a generare un lock-in del cliente, inducendolo a rimanere più a lungo nel contratto. Tali offerte prevedevano in particolare l’inclusione obbligatoria del modem, prima, e del servizio TIM Expert (un servizio che prevede l’intervento di un tecnico TIM a casa per verificare le prestazioni della connessione internet), successivamente, quale principale elemento contrattuale legante.
Ritenuto il carattere abusivo di tali condotte, l’AGCM ha imposto una sanzione pecuniaria di circa 116 milioni di euro a TIM. A quest’ultimo proposito, si è tenuto conto, tra l’altro, del comportamento tenuto da TIM nella fase finale dell’istruttoria, atteso che la medesima si è mostrata attenta ad assicurare che le offerte promozionali presentassero delle condizioni economiche complessive replicabili da altri operatori concorrenti. Inoltre, le evidenze agli atti non hanno consentito di confermare l’ipotesi istruttoria, in ordine al profilo per il quale la strategia abusiva sarebbe stata realizzata anche mediante l’utilizzo delle informazioni privilegiate riguardanti la clientela degli operatori alternativi nel mercato retail.
Il procedimento in commento è la conferma che, in alcuni settori come quello delle telecomunicazioni, la concorrenza non si manifesta solo in termini di prezzi ma anche sotto altri aspetti come la qualità dei servizi, gli investimenti e l’innovazione. Soprattutto, dalla pronuncia in commento emerge come l’AGCM sia pronta a investigare (e sanzionare) pratiche escludenti anche di natura composita e complessa. Resta da vedere quale sarà l’esito del probabile contenzioso amministrativo diretto all’annullamento di detta decisione.
Mila Filomena Crispino
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Pratiche commerciali scorrette e Covid-19 – L’AGCM ha avviato due distinte istruttorie nei confronti di Amazon ed Ebay in relazione alla vendita di prodotti igienizzati e mascherine
A seguito di diverse segnalazioni da parte dei consumatori e delle associazioni di categoria, in data 12 marzo 2020, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato due distinte istruttorie (di cui ha dato notizia con un comunicato stampa per accertare la possibile violazione delle norme del D.Lgs. del 6 settembre 2005, n. 206 (Codice del Consumo) da parte delle piattaforme di vendita online Amazon (Amazon Italia Customer Service, Amazon Eu, Amazon Service Europe) ed Ebay (Ebay Italia e Ebay Gmbh) in relazione alla commercializzazione di prodotti igienico-sanitari quali (i) igienizzanti/disinfettanti per le mani, e (ii) mascherine di protezione delle vie respiratorie in occasione dell’emergenza sanitaria derivante dal Covid-19 (c.d. Corona Virus).Oggetto dei due procedimenti in parola sono, da un lato, l’utilizzo di claim non dimostrati in ordine all’asserita efficacia dei prodotti in parola in termini di protezione e/o di contrasto nei confronti del Corona Virus (quindi una condotta potenzialmente configurabile come una pratica ingannevole); dall’altro lato, l’ingiustificato e consistente aumento dei prezzi che ha accompagnato l’incremento dei casi di contagio (quindi una condotta potenzialmente configurabile come una pratica aggressiva).
L’avvio dei procedimenti ha fatto seguito ad una richiesta di informazioni di cui era stata data notizia con un precedente comunicato stampa trasmessa dall’AGCM, in data 27 febbraio 2020, alle principali piattaforme di vendita e di altri siti di vendita on line in riferimento alle modalità di commercializzazione dei prodotti suddetti. Le istruttorie avviate nei confronti di Amazon ed Ebay, potrebbero quindi essere le prime di una lunga serie. Come riportato nel comunicato stampa relativo all’avvio dei procedimenti, infatti, l’AGCM, in considerazione del particolare momento in cui le tradizionali forme di commercio sono limitate, ha contestualmente deciso di focalizzare la propria attenzione su analoghi fenomeni operati anche su altre piattaforme dell’e-commerce. Resta da vedere se tali istruttorie siano lo strumento più adeguato a reprimere condotte che, sotto certi aspetti, quali ad esempio il livello dei prezzi, sembrano sfuggire all’ambito di applicazione delle norme contenute nel Codice del Consumo nonché, sotto altri e in una certa misura, sono potenzialmente inquadrabili come illecite anche dal punto di vista civilistico e/o penale.
Carla Maria Vidone
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