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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Antitrust e settore farmaceutico – Secondo la Commissione la corretta applicazione del diritto antitrust garantisce una maggior affidabilità, qualità e scelta di medicinali nonché una maggiore innovazione
La Commissione europea (Commissione) ha pubblicato una relazione sulla “Applicazione delle norme sulla concorrenza nel settore farmaceutico”. A seguito dell’esito dell’indagine conoscitiva condotta nel 2009 sul settore farmaceutico la Commissione e le Autorità Nazionali garanti della Concorrenza (ANC) hanno già da tempo reso prioritaria l’applicazione delle norme sulla concorrenza in tale settore e il documento in parola riassume i risultati conseguiti in proposito.
La Commissione in primo luogo nel documento in parola ricapitola i benefici principali apportati al settore farmaceutico dall’applicazione delle norme sulla concorrenza, ricordando l’effetto positivo della moderazione dell’aumento dei prezzi dei medicinali, in ragione tra l’altro della loro pesante incidenza sui bilanci della sanità nazionale. In merito, la Commissione ha rimarcato l’utilità del ruolo svolto dai medicinali generici, che rappresentano una fonte essenziale di concorrenza di prezzo sui mercati farmaceutici. Da ultimo, la Commissione ha ricordato che il risparmio sui medicinali può essere reindirizzato verso farmaci innovativi, stimolando al contempo l’innovazione nel mercato.
Per quanto riguarda le pratiche sanzionate dalla Commissione e dalle ANC, la Commissione menziona in primo luogo le condotte che frenano l’ingresso o l’espansione dei medicinali generici, c.d. pratiche di “pay-for-delay”, che si realizzano quando l’impresa titolare dei farmaci originali procede a condividere i (più elevati) profitti derivanti dal prolungato monopolio su una particolare molecola, a causa del ritardato ingresso dei farmaci generici sul mercato, con i produttori stessi di detti farmaci generici: ciò a fronte della loro rinuncia o comunque ritardo al proprio ingresso sul mercato. Un secondo gruppo di pratiche che sono state oggetto di attenzione delle ANC sono quelle che, sempre nell’ottica di ritardare la diffusione di tali farmaci generici, contemplano azioni a carattere denigratorio nei confronti di questi ultimi ovvero azioni abusive delle procedure di regolamentazione perpetrate dai titolari dei brevetti in fase di scadenza al fine di mantenere i medicinali generici all’esterno del mercato. Le ANC hanno altresì condannato numerose pratiche sleali ed abusive relative all’aumento sproporzionato dei prezzi di certi farmaci senza più copertura brevettuale, nonché alcune condotte più “classiche” riconducibili ai cartelli per la manipolazione delle procedure di gara ovvero azioni finalizzate a comportamenti strategici volti all’esclusione di rivali dall’accesso a fattori produttivi essenziali o alla clientela.
Per quanto riguarda le concentrazioni tra società farmaceutiche, nella relazione in commento la Commissione dà atto di essere intervenuta in diverse operazioni imponendo rimedi strutturali per scongiurare il rischio che (i) queste favorissero un aumento dei prezzi, in modo particolare con riguardo a prodotti generici o biosimilari; oppure che (ii) limitassero l’innovazione nel settore compromettendo gli sforzi di ricerca e sviluppo volti all’introduzione di nuovi farmaci o all’ampliamento dell’uso terapeutico dei farmaci esistenti.
In conclusione, la Commissione ribadisce la disponibilità propria e delle ANC ad effettuare indagini e garantire il rispetto delle norme nel settore farmaceutico, ritenendo dimostrato il contributo significativo apportato dall’applicazione sistematica del diritto della concorrenza per assicurare che i pazienti e i sistemi sanitari abbiano accesso a medicinali di maggiore qualità, varietà nonché ad un maggiore grado di innovazione, il tutto a prezzi più contenuti.
Riccardo Fadiga
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La Commissione in primo luogo nel documento in parola ricapitola i benefici principali apportati al settore farmaceutico dall’applicazione delle norme sulla concorrenza, ricordando l’effetto positivo della moderazione dell’aumento dei prezzi dei medicinali, in ragione tra l’altro della loro pesante incidenza sui bilanci della sanità nazionale. In merito, la Commissione ha rimarcato l’utilità del ruolo svolto dai medicinali generici, che rappresentano una fonte essenziale di concorrenza di prezzo sui mercati farmaceutici. Da ultimo, la Commissione ha ricordato che il risparmio sui medicinali può essere reindirizzato verso farmaci innovativi, stimolando al contempo l’innovazione nel mercato.
Per quanto riguarda le pratiche sanzionate dalla Commissione e dalle ANC, la Commissione menziona in primo luogo le condotte che frenano l’ingresso o l’espansione dei medicinali generici, c.d. pratiche di “pay-for-delay”, che si realizzano quando l’impresa titolare dei farmaci originali procede a condividere i (più elevati) profitti derivanti dal prolungato monopolio su una particolare molecola, a causa del ritardato ingresso dei farmaci generici sul mercato, con i produttori stessi di detti farmaci generici: ciò a fronte della loro rinuncia o comunque ritardo al proprio ingresso sul mercato. Un secondo gruppo di pratiche che sono state oggetto di attenzione delle ANC sono quelle che, sempre nell’ottica di ritardare la diffusione di tali farmaci generici, contemplano azioni a carattere denigratorio nei confronti di questi ultimi ovvero azioni abusive delle procedure di regolamentazione perpetrate dai titolari dei brevetti in fase di scadenza al fine di mantenere i medicinali generici all’esterno del mercato. Le ANC hanno altresì condannato numerose pratiche sleali ed abusive relative all’aumento sproporzionato dei prezzi di certi farmaci senza più copertura brevettuale, nonché alcune condotte più “classiche” riconducibili ai cartelli per la manipolazione delle procedure di gara ovvero azioni finalizzate a comportamenti strategici volti all’esclusione di rivali dall’accesso a fattori produttivi essenziali o alla clientela.
Per quanto riguarda le concentrazioni tra società farmaceutiche, nella relazione in commento la Commissione dà atto di essere intervenuta in diverse operazioni imponendo rimedi strutturali per scongiurare il rischio che (i) queste favorissero un aumento dei prezzi, in modo particolare con riguardo a prodotti generici o biosimilari; oppure che (ii) limitassero l’innovazione nel settore compromettendo gli sforzi di ricerca e sviluppo volti all’introduzione di nuovi farmaci o all’ampliamento dell’uso terapeutico dei farmaci esistenti.
In conclusione, la Commissione ribadisce la disponibilità propria e delle ANC ad effettuare indagini e garantire il rispetto delle norme nel settore farmaceutico, ritenendo dimostrato il contributo significativo apportato dall’applicazione sistematica del diritto della concorrenza per assicurare che i pazienti e i sistemi sanitari abbiano accesso a medicinali di maggiore qualità, varietà nonché ad un maggiore grado di innovazione, il tutto a prezzi più contenuti.
Riccardo Fadiga
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Legal News / Antitrust e Costituzione – La Corte Costituzionale stabilisce che l’AGCM non è dotata della terzietà super partes necessaria per poter rimettere una questione di costituzionalità come “giudice”
La Corte Costituzionale (la Corte) si è pronunciata sull’inedita proposizione, da parte dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM), di una questione di legittimità costituzionale in via incidentale, in relazione alla quale l’AGCM stessa aveva ritenuto di svolgere un ruolo analogo a quello di un giudice. La Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso per mancanza di legittimazione attiva dell’AGCM, in capo alla quale non sarebbero ravvisabili i requisiti per poter sollevare questione di costituzionalità, ossia la qualità di giudice nel contesto di un giudizio.
Giova ripercorrere brevemente i tratti rilevanti della controversia. L’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, come riportato nella Newsletter del 14 maggio 2018, era stata proposta dall’AGCM nel contesto del procedimento istruttorio avviato contro il Consiglio Notarile di Milano (CNM), per un’asserita intesa messa in atto dallo stesso attraverso la richiesta ai notai del distretto di dati concorrenzialmente sensibili, a cui sarebbero seguite iniziative disciplinari nei confronti di coloro che risultavano eccessivamente “performanti”. Tuttavia, a ridosso della fine della fase istruttoria e della formalizzazione delle contestazioni al CNM, era entrato in vigore il nuovo articolo 93-ter della legge Notarile, ai sensi del quale “…agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’art. 8, comma 2 della legge 287/1990…”. Quest’ultimo, come noto, prevede che le disposizioni in materia di, tra gli altri, divieto di intese tra concorrenti “…non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse generale […], per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati…”. Secondo l’AGCM tale articolo sarebbe in contrasto con le norme del diritto UE (art. 101 e 106 TFUE) poichè suscettibile di “…sottrarre in via generale e astratta un intero segmento di attività dall’ambito di applicazione delle norme antitrust…” e, in quanto tale, dovrebbe essere disapplicato. Inoltre lo stesso presenterebbe profili di illegittimità costituzionale con riferimento al parametro interposto dell’art. 117 Cost, il quale impone il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati comunitari e internazionali.
La sentenza della Corte si concentra sulle ragioni dell’asserita legittimazione dell’AGCM, pur nella sua natura di autorità amministrativa indipendente, a sollevare questione di legittimità in via incidentale. Come noto, tale questione può essere formulata esclusivamente da un “giudice” nell’ambito di un “giudizio”. L’AGCM aveva ritenuto che tali requisiti dovessero intendersi in maniera estensiva e che, pertanto, la stessa debba essere considerata un “giudice” in base alla presenza di determinati requisiti sostanziali, quali, tra gli altri,
Giova ripercorrere brevemente i tratti rilevanti della controversia. L’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale, come riportato nella Newsletter del 14 maggio 2018, era stata proposta dall’AGCM nel contesto del procedimento istruttorio avviato contro il Consiglio Notarile di Milano (CNM), per un’asserita intesa messa in atto dallo stesso attraverso la richiesta ai notai del distretto di dati concorrenzialmente sensibili, a cui sarebbero seguite iniziative disciplinari nei confronti di coloro che risultavano eccessivamente “performanti”. Tuttavia, a ridosso della fine della fase istruttoria e della formalizzazione delle contestazioni al CNM, era entrato in vigore il nuovo articolo 93-ter della legge Notarile, ai sensi del quale “…agli atti funzionali al promovimento del procedimento disciplinare si applica l’art. 8, comma 2 della legge 287/1990…”. Quest’ultimo, come noto, prevede che le disposizioni in materia di, tra gli altri, divieto di intese tra concorrenti “…non si applicano alle imprese che, per disposizioni di legge, esercitano la gestione di servizi di interesse generale […], per tutto quanto strettamente connesso all’adempimento degli specifici compiti loro affidati…”. Secondo l’AGCM tale articolo sarebbe in contrasto con le norme del diritto UE (art. 101 e 106 TFUE) poichè suscettibile di “…sottrarre in via generale e astratta un intero segmento di attività dall’ambito di applicazione delle norme antitrust…” e, in quanto tale, dovrebbe essere disapplicato. Inoltre lo stesso presenterebbe profili di illegittimità costituzionale con riferimento al parametro interposto dell’art. 117 Cost, il quale impone il rispetto degli obblighi derivanti dai trattati comunitari e internazionali.
La sentenza della Corte si concentra sulle ragioni dell’asserita legittimazione dell’AGCM, pur nella sua natura di autorità amministrativa indipendente, a sollevare questione di legittimità in via incidentale. Come noto, tale questione può essere formulata esclusivamente da un “giudice” nell’ambito di un “giudizio”. L’AGCM aveva ritenuto che tali requisiti dovessero intendersi in maniera estensiva e che, pertanto, la stessa debba essere considerata un “giudice” in base alla presenza di determinati requisiti sostanziali, quali, tra gli altri,
lo svolgimento di “…funzioni analoghe a quelle giurisdizionali…” nell’enforcement del diritto antitrust, come confermato dall’applicazione nei relativi procedimenti dei principi del contraddittorio e della parità delle armi, nonchè dall’adeguata separazione tra gli uffici inquirenti e il Collegio giudicante.
La Corte Costituzionale, nel disconoscere validità alle argomentzioni dell’AGCM, ha dapprima rappresentato come le nozioni di “giudice” e di “giudizio” vengano effettivamente adoperate in maniera estensiva ed elastica, in particolare nei casi in cui il rimettente si collochi, istituzionalmente, nella “zona grigia” tra amministrazione e giurisdizione, con l’obiettivo di dare il più ampio accesso possibile alla giustizia costituzionale e di ammettere al sindacato della Corte leggi che, altrimenti, difficilmente verrebbero sottoposte ad essa. In base all’applicazione di tali principi, pertanto, si è ammesso che per aversi “giudice a quo” è sufficiente che sussista l’esercizio di funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge da parte di soggetti posti in posizione super partes, anche se estranei dall’ambito degli organi giurisdizionali.
Tuttavia, ad avviso della Corte, tale requisito della terzietà manca in capo all’AGCM. A conclusione dell’analisi svolta, con approccio a dire il vero preminentemente formalistico (e che non raggiunge quelle che sarebbero, ad avviso di chi scrive, le vere ragioni per negare tale qualifica all’AGCM), la Corte ha affermato che l’AGCM “…è portatrice di un interesse specifico, che è quello della tutela della concorrenza e del mercato, quindi non è in posizione di indifferenza e neutralità rispetto agli interessi e alle posizioni soggettive che vengono in rilievo nello svolgimento della sua attività istituzionale…”. A sostegno di ciò, la Corte ha svolto una serie di considerazioni: in primis, ha sottolineato che l’AGCM è parte resistente nel processo amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione dei suoi stessi provvedimenti, nonché possibile ricorrente, avanti il giudice amministrativo, contro atti di qualsiasi amministrazione che violino le norme a tutela della concorrenza. Inoltre la Corte ha rilevato che in questi casi, la legittimazione a stare in giudizio spetta all’AGCM in sé, e non ai suoi uffici inquirenti, e pertanto non potrebbe ravvisarsi la separazione netta tra tali uffici e il Collegio giudicante, attesa, peraltro, l’esistenza di un nesso funzionale tra la figura del Segretario e quella del Presidente, cui il primo risponde anche dell’adamento degli uffici medesimi. Pertanto, non si potrebbe ravvisare l’estraneità alla situazione sostanziale tipica degli organi giurisdizionali, poiché la posizione del “giudice” esclude qualsiasi interesse nella causa, anche indiretto. L’assenza di terzietà emerge, secondo la Corte, anche dai poteri pararegolatori e consultivi attribuiti all’AGCM, specialmente nella possibilità di inviare segnalazioni agli organi legislativi ed esecutivi, nonché dalla natura del contraddittorio che si instaura nel procedimenti antitrust, dove il privato si confronta con un soggetto che, “…nell’irrogazione della sanzione, in quanto titolare di un ben definito interesse pubblico, non è in posizione di parità…”.
Da ultimo, la Corte ha considerato che la necessità di evitare una “zona franca” esclusa dal controllo di costituzionalità non è ravvisabile in questi casi, poiché esiste una sede giurisdizionale (il processo amministrativo) agevolmente accessibile in cui può essere promossa la questione. E’ infatti rispondente alla stessa struttura del giudizio incidentale il fatto che la sottoposizione sia rimessa alla eventuale (e discrezionale) iniziativa del privato segnalante (che potrà impugnare l’archiviazione dell’istruttoria da parte dell’AGCM, come nel caso da cui ha avuto origine la vicenda in oggetto) e del giudice dell’impugnativa, di fronte al quale viene recuperata la “lacuna” che, secondo l’AGCM, si creerebbe se fosse negata a quest’ultima la possibilità di sollevare questione di costituzionalità.
E’ utile sottolineare, in conclusione, che l’analisi della Corte non si è occupata di studiare quale sia il rapporto concreto tra uffici inquirenti e Collegio nelle specifiche fasi e dinamiche di un procedimento antitrust, ponendosi piuttosto su un livello formale riguardante, più in generale, la natura dei poteri attribuiti all’AGCM. La pronuncia, in ogni caso, ha chiarito in modo piuttosto granitico che l’AGCM, così come le altre autorità indipendenti che svolgono simili funzioni, non è legittimata a sollevare questioni di legittimità costituzionale poiché non sarebbe sufficientemente estranea, nei procedimenti di fronte ad essa, agli interessi in gioco.
Leonardo Stiz
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La Corte Costituzionale, nel disconoscere validità alle argomentzioni dell’AGCM, ha dapprima rappresentato come le nozioni di “giudice” e di “giudizio” vengano effettivamente adoperate in maniera estensiva ed elastica, in particolare nei casi in cui il rimettente si collochi, istituzionalmente, nella “zona grigia” tra amministrazione e giurisdizione, con l’obiettivo di dare il più ampio accesso possibile alla giustizia costituzionale e di ammettere al sindacato della Corte leggi che, altrimenti, difficilmente verrebbero sottoposte ad essa. In base all’applicazione di tali principi, pertanto, si è ammesso che per aversi “giudice a quo” è sufficiente che sussista l’esercizio di funzioni giudicanti per l’obiettiva applicazione della legge da parte di soggetti posti in posizione super partes, anche se estranei dall’ambito degli organi giurisdizionali.
Tuttavia, ad avviso della Corte, tale requisito della terzietà manca in capo all’AGCM. A conclusione dell’analisi svolta, con approccio a dire il vero preminentemente formalistico (e che non raggiunge quelle che sarebbero, ad avviso di chi scrive, le vere ragioni per negare tale qualifica all’AGCM), la Corte ha affermato che l’AGCM “…è portatrice di un interesse specifico, che è quello della tutela della concorrenza e del mercato, quindi non è in posizione di indifferenza e neutralità rispetto agli interessi e alle posizioni soggettive che vengono in rilievo nello svolgimento della sua attività istituzionale…”. A sostegno di ciò, la Corte ha svolto una serie di considerazioni: in primis, ha sottolineato che l’AGCM è parte resistente nel processo amministrativo avente ad oggetto l’impugnazione dei suoi stessi provvedimenti, nonché possibile ricorrente, avanti il giudice amministrativo, contro atti di qualsiasi amministrazione che violino le norme a tutela della concorrenza. Inoltre la Corte ha rilevato che in questi casi, la legittimazione a stare in giudizio spetta all’AGCM in sé, e non ai suoi uffici inquirenti, e pertanto non potrebbe ravvisarsi la separazione netta tra tali uffici e il Collegio giudicante, attesa, peraltro, l’esistenza di un nesso funzionale tra la figura del Segretario e quella del Presidente, cui il primo risponde anche dell’adamento degli uffici medesimi. Pertanto, non si potrebbe ravvisare l’estraneità alla situazione sostanziale tipica degli organi giurisdizionali, poiché la posizione del “giudice” esclude qualsiasi interesse nella causa, anche indiretto. L’assenza di terzietà emerge, secondo la Corte, anche dai poteri pararegolatori e consultivi attribuiti all’AGCM, specialmente nella possibilità di inviare segnalazioni agli organi legislativi ed esecutivi, nonché dalla natura del contraddittorio che si instaura nel procedimenti antitrust, dove il privato si confronta con un soggetto che, “…nell’irrogazione della sanzione, in quanto titolare di un ben definito interesse pubblico, non è in posizione di parità…”.
Da ultimo, la Corte ha considerato che la necessità di evitare una “zona franca” esclusa dal controllo di costituzionalità non è ravvisabile in questi casi, poiché esiste una sede giurisdizionale (il processo amministrativo) agevolmente accessibile in cui può essere promossa la questione. E’ infatti rispondente alla stessa struttura del giudizio incidentale il fatto che la sottoposizione sia rimessa alla eventuale (e discrezionale) iniziativa del privato segnalante (che potrà impugnare l’archiviazione dell’istruttoria da parte dell’AGCM, come nel caso da cui ha avuto origine la vicenda in oggetto) e del giudice dell’impugnativa, di fronte al quale viene recuperata la “lacuna” che, secondo l’AGCM, si creerebbe se fosse negata a quest’ultima la possibilità di sollevare questione di costituzionalità.
E’ utile sottolineare, in conclusione, che l’analisi della Corte non si è occupata di studiare quale sia il rapporto concreto tra uffici inquirenti e Collegio nelle specifiche fasi e dinamiche di un procedimento antitrust, ponendosi piuttosto su un livello formale riguardante, più in generale, la natura dei poteri attribuiti all’AGCM. La pronuncia, in ogni caso, ha chiarito in modo piuttosto granitico che l’AGCM, così come le altre autorità indipendenti che svolgono simili funzioni, non è legittimata a sollevare questioni di legittimità costituzionale poiché non sarebbe sufficientemente estranea, nei procedimenti di fronte ad essa, agli interessi in gioco.
Leonardo Stiz
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Attività consultiva e regolamentazione nel settore della panificazione – Il Segretario Generale dell’AGCM interviene al Senato per analizzare gli effetti concorrenziali dei disegni di legge in materia di produzione e vendita di pane
Lo scorso 17 gennaio, il Segretario Generale dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM o l’Autorità) è intervenuto in audizione dinnanzi alla Commissione Industria, Commercio e Turismo del Senato della Repubblica (Senato) al fine di esporre alcune considerazioni dell’Autorità in relazione ai disegni di legge A.S. 169 e A.S. 739 “…in materia di produzione e vendita di pane…” (insieme, i Disegni di legge).
L’Autorità è voluta intervenire poiché attivamente interessata al settore della panificazione, in quanto il 27 settembre 2018 ha comunicato l’avvio di ben sei procedimenti istruttori nei confronti delle principali catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) a livello nazionale (Coop Italia, Conad, Esselunga, Eurospin, Auchan e Carrefour). Queste avrebbero asseritamente abusato della propria posizione di potere commerciale nei rapporti con i propri fornitori di pane fresco, traslando esclusivamente a carico di quest’ultimi i costi relativi alla raccolta e allo smaltimento dell’intero quantitativo quotidiano di prodotto invenduto.
Dinnanzi al Senato, l’Autorità ha accolto con grande favore l’emanazione di una normativa ad hoc, in quanto comporterebbe un notevole miglioramento della consapevolezza dei consumatori, grazie al maggior numero di informazioni sulle tipologie di pane in commercio messe a loro disposizione. I Disegni di legge in oggetto, infatti, non solo distinguerebbero chiaramente tra ‘pane fresco’ (prodotto tramite l’utilizzo di conoscenze ancorate nel sapere tradizionale) e ‘pane conservato’ (il quale presenterebbe una ‘vita da scaffale’ superiore alle 24 ore) ma definirebbero anche cosa si debba intendere per ‘lievito’ e per ‘pasta madre’, imponendo – di conseguenza – un’etichettatura del prodotto conforme a tali suddivisioni. Questa segmentazione del mercato risulta rilevante non solo da un punto di vista di tutela del consumatore ma anche sotto un profilo squisitamente concorrenziale, in quanto potrebbe anticipare quello che probabilmente sarà il futuro approccio dell’AGCM nella definizione dei diversi mercati rilevanti durante lo svolgimento di operazioni di acquisizione o di concentrazione interessanti il settore merceologico del pane.
L’Autorità, tuttavia, non è stata parca di richieste di integrazione e di critiche nei confronti dei progetti normativi. In seguito ad un’analisi dei testi in questione, infatti, l’AGCM ha sottolineato come la categoria di ‘pane conservato’ risulti essere definita in modo eccessivamente generico ed impreciso, provocando, così, una diffusa incertezza sulle tipologie di prodotti rientranti in tale insieme. Ciò, ad avviso dell’Autorità, rischierebbe di influenzare negativamente le relazioni commerciali tra produttori e la GDO relative ai rispettivi obblighi di smaltimento a fine giornata.
L’Autorità, infine, ha espresso una forte preoccupazione nei confronti delle previsioni, a suo avviso eccessivamente generiche e probabilmente non strettamente necessarie, concernenti l’obbligo, per i responsabili di attività di produzione, di frequentare un corso di formazione professionale accreditato dalle singole Regioni competenti territorialmente. A tal riguardo, infatti, il Segretario Generale ha precisato che il dettato del progetto normativo esistente – in quanto non specificante se gli attestati in questione debbano essere necessariamente rilasciati dalla Regione sul cui territorio l’attività debba essere svolta o possano anche essere stati previamente rilasciati in altre aree geografiche nazionali o europee – potrebbe comportare la creazione di ingiustificate barriere all’ingresso nel mercato nonché il verificarsi della violazione di una delle quattro libertà fondamentali dell’Unione europea, ossia la libera circolazione dei lavoratori.
Se il Senato si dimostrerà un ascoltatore attento, decidendo di accogliere effettivamente i suggerimenti integrativi proposti e di agire conformemente alle critiche mosse dall’Autorità, lo sapremo solo il giorno in cui i suddetti Disegni di legge cesseranno di essere tali e diverranno legge a tutti gli effetti.
Luca Feltrin
L’Autorità è voluta intervenire poiché attivamente interessata al settore della panificazione, in quanto il 27 settembre 2018 ha comunicato l’avvio di ben sei procedimenti istruttori nei confronti delle principali catene della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) a livello nazionale (Coop Italia, Conad, Esselunga, Eurospin, Auchan e Carrefour). Queste avrebbero asseritamente abusato della propria posizione di potere commerciale nei rapporti con i propri fornitori di pane fresco, traslando esclusivamente a carico di quest’ultimi i costi relativi alla raccolta e allo smaltimento dell’intero quantitativo quotidiano di prodotto invenduto.
Dinnanzi al Senato, l’Autorità ha accolto con grande favore l’emanazione di una normativa ad hoc, in quanto comporterebbe un notevole miglioramento della consapevolezza dei consumatori, grazie al maggior numero di informazioni sulle tipologie di pane in commercio messe a loro disposizione. I Disegni di legge in oggetto, infatti, non solo distinguerebbero chiaramente tra ‘pane fresco’ (prodotto tramite l’utilizzo di conoscenze ancorate nel sapere tradizionale) e ‘pane conservato’ (il quale presenterebbe una ‘vita da scaffale’ superiore alle 24 ore) ma definirebbero anche cosa si debba intendere per ‘lievito’ e per ‘pasta madre’, imponendo – di conseguenza – un’etichettatura del prodotto conforme a tali suddivisioni. Questa segmentazione del mercato risulta rilevante non solo da un punto di vista di tutela del consumatore ma anche sotto un profilo squisitamente concorrenziale, in quanto potrebbe anticipare quello che probabilmente sarà il futuro approccio dell’AGCM nella definizione dei diversi mercati rilevanti durante lo svolgimento di operazioni di acquisizione o di concentrazione interessanti il settore merceologico del pane.
L’Autorità, tuttavia, non è stata parca di richieste di integrazione e di critiche nei confronti dei progetti normativi. In seguito ad un’analisi dei testi in questione, infatti, l’AGCM ha sottolineato come la categoria di ‘pane conservato’ risulti essere definita in modo eccessivamente generico ed impreciso, provocando, così, una diffusa incertezza sulle tipologie di prodotti rientranti in tale insieme. Ciò, ad avviso dell’Autorità, rischierebbe di influenzare negativamente le relazioni commerciali tra produttori e la GDO relative ai rispettivi obblighi di smaltimento a fine giornata.
L’Autorità, infine, ha espresso una forte preoccupazione nei confronti delle previsioni, a suo avviso eccessivamente generiche e probabilmente non strettamente necessarie, concernenti l’obbligo, per i responsabili di attività di produzione, di frequentare un corso di formazione professionale accreditato dalle singole Regioni competenti territorialmente. A tal riguardo, infatti, il Segretario Generale ha precisato che il dettato del progetto normativo esistente – in quanto non specificante se gli attestati in questione debbano essere necessariamente rilasciati dalla Regione sul cui territorio l’attività debba essere svolta o possano anche essere stati previamente rilasciati in altre aree geografiche nazionali o europee – potrebbe comportare la creazione di ingiustificate barriere all’ingresso nel mercato nonché il verificarsi della violazione di una delle quattro libertà fondamentali dell’Unione europea, ossia la libera circolazione dei lavoratori.
Se il Senato si dimostrerà un ascoltatore attento, decidendo di accogliere effettivamente i suggerimenti integrativi proposti e di agire conformemente alle critiche mosse dall’Autorità, lo sapremo solo il giorno in cui i suddetti Disegni di legge cesseranno di essere tali e diverranno legge a tutti gli effetti.
Luca Feltrin