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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Aiuti di Stato e private market investor test - Il “peccato originale” di un aiuto precedente non consente l’applicazione del principio dell’operatore economico privato
Con la sentenza del 6 marzo 2018 (causa C 579/16 P), la Corte di Giustizia dell’Unione europea (la Corte) ha accolto l’appello proposto dalla Commissione europea (la Commissione) contro la sentenza del Tribunale UE favorevole, in primo grado, al gruppo danese FIH, e ha quindi confermato l’originale decisione con cui era stato accertato un aiuto di Stato a favore dello stesso soggetto bancario da parte della Danimarca. La sentenza è importante in quanto fornisce chiarimenti circa l’interpretazione del principio “dell’operatore privato in economia di mercato”, un principio chiave per valutare se una misura pubblica a favore di un’impresa costituisca o meno un aiuto di Stato, in contesti in cui l’impresa destinataria della misura oggetto di esame sia stata in precedenza destinataria di un aiuto.
Per comprendere la portata della sentenza in parola è necessario ripercorrere la vicenda sottesa alla stessa: la banca danese FIH (interessata dalla crisi finanziaria scoppiata nel 2007) aveva beneficiato, nel corso del 2009, di due tipi di misure da parte del governo danese: un apporto di capitale ibrido di circa Euro 255 milioni; ed una garanzia statale, utilizzata da FIH per emettere obbligazioni. Tali misure erano state ritenute aiuti di Stato dalla Commissione, ed al contempo dichiarati compatibili con il mercato interno. Successivamente, anche a causa del declassamento subito dalla FIH, era emerso che questo istituto avrebbe presto avuto problemi di liquidità rischiando di perdere la licenza bancaria. Il governo danese aveva quindi messo in atto una serie di misure, ancora una volta oggetto di notifica alla Commissione: il trasferimento degli attivi più problematici di FIH ad una NewCo appositamente costituita; la vendita di quest’ultima a un ente pubblico danese (FSC) che si sarebbe occupato della sua liquidazione; il rimborso da parte di FIH dell’apporto di capitale statale ricevuto del 2009, per finanziare ora l’acquisto della NewCo da parte di FSC; due prestiti di FIH alla NewCo; una garanzia illimitata su qualsiasi perdita di FIH a favore di FSC. A seguito di varie interazioni con la Commissione, questa aveva infine dichiarato tali misure compatibili con il mercato interno alla luce della normativa specifica in materia di sostegno alle banche in crisi; nondimeno, le stesse misure erano state considerate aiuti di Stato, in quanto non conformi al principio dell’operatore economico privato. In particolare, la Commissione – come ricostruito dalla Corte – aveva “…effettuato la valutazione della razionalità economica delle misure di cui trattasi senza tener conto del costo eventuale che lo Stato danese avrebbe dovuto sostenere, in assenza di queste ultime misure, in ragione dei rischi che gli sarebbero derivati dalle misure del 2009” (par. 22 della sentenza in commento), quali la perdita probabile dell’investimento effettuato nel capitale di FIH.
FIH aveva quindi proposto ricorso contro questa decisione della Commissione, ritenendo in particolare l’impostazione adottata “…estrema laddove implica che l’esposizione economica di uno Stato membro risultante dalla precedente concessione di un aiuto di Stato non potrebbe mai essere tenuta in considerazione nell’ambito dell’esame della questione se lo Stato membro abbia agito come avrebbe fatto un operatore privato” (par. 36, cit.). Il Tribunale aveva accolto il ricorso ritendendo, in estrema sintesi, che la Commissione, al fine di valutare se le misure costituissero un aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, par. 1, TFUE, avrebbe dovuto paragonare il comportamento della Danimarca a quello del creditore privato in economia di mercato tenendo conto dei rischi finanziari ai quali tale Stato membro era esposto a causa delle misure del 2009.
La Corte ha invece ora ribaltato questo esito, accogliendo l’appello della Commissione ed in linea con le critiche già espresse dall’Avvocato generale verso la sentenza di primo grado. In particolare, ricordando come in sede di valutazione della razionalità economica di una misura statale non debbano considerarsi – secondo giurisprudenza consolidata – oneri ed altri aspetti connessi al suo ruolo di autorità e amministrazione pubblica (costi sociali etc.), la Corte, con un’affermazione di principio piuttosto netta, ha sentenziato che “…i rischi ai quali è esposto lo Stato e che derivano da aiuti di Stato che ha precedentemente concesso sono connessi alla sua qualità di potere pubblico e, quindi, non rientrano tra gli elementi che, in condizioni normali di mercato, un operatore privato avrebbe preso in considerazione nei suoi calcoli economici. Una simile considerazione vale in particolare per gli obblighi che derivano per lo Stato da prestiti e garanzie concessi in precedenza a un’impresa e che costituiscono aiuti di Stato…” (par. 58-59) – come nel caso di specie, posto che le precedenti misure sopra richiamate del governo danese erano state dichiarate aiuti di Stato (anche se compatibili).
In altre parole, secondo la Corte la sentenza appellata era viziata poiché il “…Tribunale ha erroneamente imposto alla Commissione di valutare la razionalità economica delle misure di cui trattasi non dal punto di vista di un operatore privato in una situazione comparabile ma di quello dello Stato nella sua qualità di potere pubblico che aveva precedentemente concesso alla FIH, mediante le misure del 2009, gli aiuti di Stato dei quali intendeva limitare le conseguenze finanziarie” (par. 63).
La sentenza, distanziandosi da pronunce precedenti che avevano mostrato importanti aperture in senso opposto (e che la Corte cerca di distinguere dal caso de quo in modo invero non del tutto convincente), appare di centrale importanza rispetto alle situazioni di crisi prolungate di grandi imprese nazionali destinatarie negli anni di molteplici misure statali. Peraltro, nella sua parte finale la stessa sentenza ammette che “…l’esposizione economica di uno Stato membro risultante dalla precedente concessione di un aiuto di Stato e il desiderio di tale Stato membro di proteggere i suoi interessi economici…” possono essere tenuti in considerazione “…in sede di valutazione, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, TFUE, della compatibilità di una misura di aiuto successiva con il mercato interno, e sono quindi idonee a indurre tale istituzione a constatare, come nel caso di specie, la compatibilità della suddetta misura” (par. 74-75). Un’apertura generica ma comunque importante che, può immaginarsi, sarà spesso invocata in futuro in contesti simili.
Alessandro Di Giò
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Per comprendere la portata della sentenza in parola è necessario ripercorrere la vicenda sottesa alla stessa: la banca danese FIH (interessata dalla crisi finanziaria scoppiata nel 2007) aveva beneficiato, nel corso del 2009, di due tipi di misure da parte del governo danese: un apporto di capitale ibrido di circa Euro 255 milioni; ed una garanzia statale, utilizzata da FIH per emettere obbligazioni. Tali misure erano state ritenute aiuti di Stato dalla Commissione, ed al contempo dichiarati compatibili con il mercato interno. Successivamente, anche a causa del declassamento subito dalla FIH, era emerso che questo istituto avrebbe presto avuto problemi di liquidità rischiando di perdere la licenza bancaria. Il governo danese aveva quindi messo in atto una serie di misure, ancora una volta oggetto di notifica alla Commissione: il trasferimento degli attivi più problematici di FIH ad una NewCo appositamente costituita; la vendita di quest’ultima a un ente pubblico danese (FSC) che si sarebbe occupato della sua liquidazione; il rimborso da parte di FIH dell’apporto di capitale statale ricevuto del 2009, per finanziare ora l’acquisto della NewCo da parte di FSC; due prestiti di FIH alla NewCo; una garanzia illimitata su qualsiasi perdita di FIH a favore di FSC. A seguito di varie interazioni con la Commissione, questa aveva infine dichiarato tali misure compatibili con il mercato interno alla luce della normativa specifica in materia di sostegno alle banche in crisi; nondimeno, le stesse misure erano state considerate aiuti di Stato, in quanto non conformi al principio dell’operatore economico privato. In particolare, la Commissione – come ricostruito dalla Corte – aveva “…effettuato la valutazione della razionalità economica delle misure di cui trattasi senza tener conto del costo eventuale che lo Stato danese avrebbe dovuto sostenere, in assenza di queste ultime misure, in ragione dei rischi che gli sarebbero derivati dalle misure del 2009” (par. 22 della sentenza in commento), quali la perdita probabile dell’investimento effettuato nel capitale di FIH.
FIH aveva quindi proposto ricorso contro questa decisione della Commissione, ritenendo in particolare l’impostazione adottata “…estrema laddove implica che l’esposizione economica di uno Stato membro risultante dalla precedente concessione di un aiuto di Stato non potrebbe mai essere tenuta in considerazione nell’ambito dell’esame della questione se lo Stato membro abbia agito come avrebbe fatto un operatore privato” (par. 36, cit.). Il Tribunale aveva accolto il ricorso ritendendo, in estrema sintesi, che la Commissione, al fine di valutare se le misure costituissero un aiuto di Stato, ai sensi dell’articolo 107, par. 1, TFUE, avrebbe dovuto paragonare il comportamento della Danimarca a quello del creditore privato in economia di mercato tenendo conto dei rischi finanziari ai quali tale Stato membro era esposto a causa delle misure del 2009.
La Corte ha invece ora ribaltato questo esito, accogliendo l’appello della Commissione ed in linea con le critiche già espresse dall’Avvocato generale verso la sentenza di primo grado. In particolare, ricordando come in sede di valutazione della razionalità economica di una misura statale non debbano considerarsi – secondo giurisprudenza consolidata – oneri ed altri aspetti connessi al suo ruolo di autorità e amministrazione pubblica (costi sociali etc.), la Corte, con un’affermazione di principio piuttosto netta, ha sentenziato che “…i rischi ai quali è esposto lo Stato e che derivano da aiuti di Stato che ha precedentemente concesso sono connessi alla sua qualità di potere pubblico e, quindi, non rientrano tra gli elementi che, in condizioni normali di mercato, un operatore privato avrebbe preso in considerazione nei suoi calcoli economici. Una simile considerazione vale in particolare per gli obblighi che derivano per lo Stato da prestiti e garanzie concessi in precedenza a un’impresa e che costituiscono aiuti di Stato…” (par. 58-59) – come nel caso di specie, posto che le precedenti misure sopra richiamate del governo danese erano state dichiarate aiuti di Stato (anche se compatibili).
In altre parole, secondo la Corte la sentenza appellata era viziata poiché il “…Tribunale ha erroneamente imposto alla Commissione di valutare la razionalità economica delle misure di cui trattasi non dal punto di vista di un operatore privato in una situazione comparabile ma di quello dello Stato nella sua qualità di potere pubblico che aveva precedentemente concesso alla FIH, mediante le misure del 2009, gli aiuti di Stato dei quali intendeva limitare le conseguenze finanziarie” (par. 63).
La sentenza, distanziandosi da pronunce precedenti che avevano mostrato importanti aperture in senso opposto (e che la Corte cerca di distinguere dal caso de quo in modo invero non del tutto convincente), appare di centrale importanza rispetto alle situazioni di crisi prolungate di grandi imprese nazionali destinatarie negli anni di molteplici misure statali. Peraltro, nella sua parte finale la stessa sentenza ammette che “…l’esposizione economica di uno Stato membro risultante dalla precedente concessione di un aiuto di Stato e il desiderio di tale Stato membro di proteggere i suoi interessi economici…” possono essere tenuti in considerazione “…in sede di valutazione, ai sensi dell’articolo 107, paragrafo 3, TFUE, della compatibilità di una misura di aiuto successiva con il mercato interno, e sono quindi idonee a indurre tale istituzione a constatare, come nel caso di specie, la compatibilità della suddetta misura” (par. 74-75). Un’apertura generica ma comunque importante che, può immaginarsi, sarà spesso invocata in futuro in contesti simili.
Alessandro Di Giò
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Diritto della concorrenza Italia / Bid rigging e servizi di vigilanza privata – L’AGCM avvia un procedimento per un’asserita intesa in sette gare pubbliche relative all’affidamento di servizi di vigilanza privata
Con il provvedimento pubblicato il 6 marzo scorso, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha avviato una istruttoria al fine di verificare la possibile esistenza di una violazione dell’art. 2 della l. 287/1990 e/o 101 TFUE in relazione ad alcune gare per servizi di vigilanza privata nei confronti di Coopservice s.coop.p.a., Allsystem S.p.a., Istituti di Vigilanza Riuniti s.p.a. (e le sue controllanti SKIBS s.r.l. e Biks Group S.p.a.), Italpol Vigilanza s.r.l. (e la controllante MC Holding s.r.l.) e Sicuritalia s.p.a. (e la sua controllante Lomafin SGH S.p.a) (insieme, le Parti). L’istruttoria è stata avviata a seguito di alcune denunce inviate nel febbraio 2018 da due associazioni di categoria del settore (l’ANIVP e l’ASSIV), nonché da alcune segnalazioni inviate da Trenord e da ANAC, con le quali venivano rilevate alcune anomalie in merito allo svolgimento di diverse gare pubbliche relative all’affidamento di servizi di vigilanza.
In particolare, oggetto dell’iniziale segnalazione era una gara bandita nell’ottobre 2016 da Azienda Regionale Centrale Acquisti S.p.A. (valore totale di oltre 47 milioni di euro), aggiudicata quasi totalmente (11 lotti su 12) a un raggruppamento temporaneo d’impresa (RTI) composto dalle principali imprese attive sul mercato. L’anomalia, secondo l’AGCM, riguarderebbe la partecipazione delle Parti in una RTI quando i requisiti di fatturato richiesti dal disciplinare di gara potevano essere soddisfatti singolarmente dalle singole imprese.
Una simile situazione ha caratterizzato altresì una gara indetta da Trenord nel giugno 2014 (valore di circa 10 milioni di euro) nonché le gare aventi ad oggetto l’affidamento di servizi di vigilanza e di supporto alla gestione dell’Expo Milano 2015 (valori di circa 23 milioni).
Oltre a queste gare, dal provvedimento di avvio risulta che l’AGCM ha condotto ulteriori approfondimenti pre-istruttori sulle condotte delle Parti nell’ambito di gare pubbliche nel periodo 2013-2017, rilevando le medesime anomalie e criticità in altre tre gare: le gare bandite da Intercent-ER nel giugno 2013 (valore di 30 milioni) e nel novembre 2015 (importo complessivo di 35 milioni di euro) ed, infine, la procedura indetta nell’agosto 2013 da Infrastrutture Lombarde S.p.A. (valore di 31 milioni).
Secondo l’AGCM, le modalità di partecipazione alle gare sopra evidenziate farebbero parte di un più ampio disegno spartitorio posto in essere dalle Parti nel settore dei servizi di vigilanza offerti alla pubblica amministrazione. Secondo l’AGCM emergerebbero “…condotte volte ad impiegare in maniera strumentale e anticoncorrenziale l’istituto del Raggruppamento Temporaneo di Impese, al fine di evitare la concorrenza tra i principali operatori del settore e precostituirsi un vantaggio incompatibile con la finalità pro-competitiva del predetto istituto…”. In particolare, l’AGCM evidenzia che la partecipazione alle gare sembrerebbe essere basata su una “…serie di strategie coordinate volte ad evitare il confronto competitivo in gara tra i maggiori operatori del mercato e quindi alla ripartizione delle gare aggiudicate…”, rilevando come la partecipazione ricorrente delle Parti in RTI, nonché la mancata presentazione di offerte da parte di alcune di esse in occasione delle gare vinte dalle altre società, apparirebbe funzionale alla spartizione del mercato.
Seppur l’AGCM non escluda che l’ambito economico interessato dalle condotte delle Parti possa estendersi anche ad altre procedure di affidamento aventi ad oggetto gli stessi servizi (eventualmente anche da parte di committenza privata), nel provvedimento il mercato rilevante, del prodotto e geografico, è stato individuato in quello per l’affidamento del servizio di vigilanza nelle sette gare sopra indicate.
Il procedimento, salvo proroghe, si concluderà entro il 31 maggio 2019.
Jacopo Pelucchi
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In particolare, oggetto dell’iniziale segnalazione era una gara bandita nell’ottobre 2016 da Azienda Regionale Centrale Acquisti S.p.A. (valore totale di oltre 47 milioni di euro), aggiudicata quasi totalmente (11 lotti su 12) a un raggruppamento temporaneo d’impresa (RTI) composto dalle principali imprese attive sul mercato. L’anomalia, secondo l’AGCM, riguarderebbe la partecipazione delle Parti in una RTI quando i requisiti di fatturato richiesti dal disciplinare di gara potevano essere soddisfatti singolarmente dalle singole imprese.
Una simile situazione ha caratterizzato altresì una gara indetta da Trenord nel giugno 2014 (valore di circa 10 milioni di euro) nonché le gare aventi ad oggetto l’affidamento di servizi di vigilanza e di supporto alla gestione dell’Expo Milano 2015 (valori di circa 23 milioni).
Oltre a queste gare, dal provvedimento di avvio risulta che l’AGCM ha condotto ulteriori approfondimenti pre-istruttori sulle condotte delle Parti nell’ambito di gare pubbliche nel periodo 2013-2017, rilevando le medesime anomalie e criticità in altre tre gare: le gare bandite da Intercent-ER nel giugno 2013 (valore di 30 milioni) e nel novembre 2015 (importo complessivo di 35 milioni di euro) ed, infine, la procedura indetta nell’agosto 2013 da Infrastrutture Lombarde S.p.A. (valore di 31 milioni).
Secondo l’AGCM, le modalità di partecipazione alle gare sopra evidenziate farebbero parte di un più ampio disegno spartitorio posto in essere dalle Parti nel settore dei servizi di vigilanza offerti alla pubblica amministrazione. Secondo l’AGCM emergerebbero “…condotte volte ad impiegare in maniera strumentale e anticoncorrenziale l’istituto del Raggruppamento Temporaneo di Impese, al fine di evitare la concorrenza tra i principali operatori del settore e precostituirsi un vantaggio incompatibile con la finalità pro-competitiva del predetto istituto…”. In particolare, l’AGCM evidenzia che la partecipazione alle gare sembrerebbe essere basata su una “…serie di strategie coordinate volte ad evitare il confronto competitivo in gara tra i maggiori operatori del mercato e quindi alla ripartizione delle gare aggiudicate…”, rilevando come la partecipazione ricorrente delle Parti in RTI, nonché la mancata presentazione di offerte da parte di alcune di esse in occasione delle gare vinte dalle altre società, apparirebbe funzionale alla spartizione del mercato.
Seppur l’AGCM non escluda che l’ambito economico interessato dalle condotte delle Parti possa estendersi anche ad altre procedure di affidamento aventi ad oggetto gli stessi servizi (eventualmente anche da parte di committenza privata), nel provvedimento il mercato rilevante, del prodotto e geografico, è stato individuato in quello per l’affidamento del servizio di vigilanza nelle sette gare sopra indicate.
Il procedimento, salvo proroghe, si concluderà entro il 31 maggio 2019.
Jacopo Pelucchi
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Tutela del consumatore / PCS e settore della bigliettazione di concerti on-line - Il TAR Lazio annulla la sanzione irrogata dall’AGCM nei confronti di TicketOne a seguito dell’istruttoria sul bagarinaggio on-line
Con la sentenza n. 2330 pubblicata lo scorso 2 marzo, il TAR Lazio ha accolto il ricorso presentato da Ticketone S.p.A. (Ticketone) annullando il provvedimento con cui l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) aveva sanzionato la società per un milione di euro. L’AGCM aveva avviato il procedimento in questione al fine di accertare se il professionista avesse posto in essere le adeguate misure informatiche, contrattuali e di vendita nonché avesse esercitato un adeguato controllo al fine di evitare che terzi soggetti, mediante specifici software, procedessero all’acquisto massivo e quasi istantaneo di tutti i biglietti sul canale online (per un maggiore approfondimento si rimanda alla newsletter del 24 ottobre 2016).
Ticketone aveva quindi proposto (i) un ricorso introduttivo già nei confronti del provvedimento di avvio dell’AGCM e delle comunicazioni delle risultanze istruttorie, per poi (ii) impugnare con motivi aggiunti il provvedimento finale. Ticketone riteneva che l’AGCM non avesse competenza specifica sulla fattispecie in questione, dal momento che non si riscontravano i requisiti minimi per la configurabilità di una pratica commerciale, non risultando alcun contatto con il consumatore che comportava un pregiudizio diretto, derivante a detta della ricorrente unicamente dall’acquisto sul mercato secondario, non riconducibile alla ricorrente.
Processualmente, il TAR Lazio ha dichiarato in primo luogo l’inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento di avvio e della comunicazione degli addebiti in quanto avversa atti non immediatamente lesivi in quanto atti endoprocedimentali.
Diversamente sono state ritenute condivisibili le tesi proposte da Ticketone avverso il provvedimento finale. Il TAR ha rigettato solamente la prima censura in cui la ricorrente riproponeva la tesi della carenza di potere dell’AGCM, sostenendo che l’art. 20 del Codice del Consumo che l’AGCM asseriva essere stato violato, avrebbe la consistenza di una mera “clausola generale” e non sarebbe “norma di fattispecie” quale ipotesi residuale di illecito.
Al contrario sono stati accolti i successivi motivi con cui Ticketone sostanzialmente sosteneva l’assenza dei presupposti fondanti la configurazione delle pratiche contestate in relazione alla propria condotta, tra cui l’esistenza di un vantaggio economico in capo al professionista nel falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore-utente. Il TAR ha al riguardo ritenuto che tale presupposto non fosse rinvenibile nel caso di specie. A detta del giudice infatti, con un ragionamento non proprio convincente, nel provvedimento finale l’AGCM ha chiarito che il procedimento avviato era diretto non ad individuare e prescrivere specifiche misure atte a fronteggiare il problema ma solo a verificare se il professionista avesse agito con la diligenza che il suo ruolo di esclusivista per le vendita online, e gli specifici obblighi contrattuali collegati, avrebbe richiesto. In tal modo, secondo il TAR, l’AGCM aveva individuato un problema consistente nelle forme speculative di acquisti multipli, che non ritiene di affrontare nello specifico, limitandosi a ritenere oggetto della sua indagine solo la diligenza assunta da Ticketone nel fronteggiare tale problema. In sostanza ad avviso del TAR Lazio “…che vi sia un mercato secondario e speculativo è circostanza nota anche dall’AGCM ma non esaminata nelle sue varie conformazioni, così come non approfondito – ma neanche accennato – è il profilo che riguarda la correlazione causale tra acquisti multipli e comportamento del consumatore utente, soprattutto riguardo la scelta di quest’ultimo di procedere comunque all’acquisto nonostante siano presenti sul mercato secondario biglietti a prezzi di molto superiore a quelli originali”.
Nell’evidenziare questo difetto di istruttoria, il TAR ritiene che l’AGCM non abbia assolutamente chiarito quale fosse il vantaggio economico del professionista, in quanto emerge come nel caso di specie la distorsione del mercato è data dalle vendite speculative e il pregiudizio pare piuttosto ricondursi alla scelta – sicuramente consapevole sia pure sostenuta da aspetti emotivi – del consumatore finale che, pur di recarsi ad assistere all’evento, preferisce acquistare il relativo biglietto comunque a prezzo maggiorato sul mercato secondario/speculativo piuttosto che rinunciarvi. Con un ragionamento a dir poco sorprendente e che sarà inevitabilmente oggetto di attenzione da parte dei più attenti commentatori, a giudizio del TAR sarebbe sufficiente che il consumatore si rifiutasse di acquistare biglietti a prezzo maggiorato, così da farli restare invenduti, per ridimensionare di molto il problema individuato dall’AGCM! Curiosamente, il fatto che i consumatori si erano in massa lamentati dell’impossibilità di acquistare i biglietti direttamente da Ticket One, come da quest’ultimo pubblicizzato, anche grazie ad un atteggiamento apparentemente “poco attento” di quest’ultimo è sostanzialmente irrilevante.
In tal modo viene avallata la tesi della ricorrente secondo cui l’effettiva attività che danneggia i consumatori non si riscontrerebbe nel rapporto diretto tra TicketOne e l’acquirente multiplo (a prezzo non maggiorato) ma nel rapporto tra quest’ultimo e il consumatore, che consapevolmente si rivolge al mercato (che a quel punto) diventa secondario, accettando di pagare un prezzo maggiore pur di non perdere l’evento, con un evidente plusvalore non a beneficio di Ticket ma del venditore “secondario”. Dimenticandosi che l’oggetto della contestazione è stata proprio l’impossibilità per il consumatore di avere un rapporto contrattuale diretto con TicketOne, ossia comprare “l’agognato” biglietto.
In sostanza, l’AGCM avrebbe dovuto approfondire le caratteristiche del mercato secondario rispetto al comportamento dei consumatori e di TicketOne. Infine il TAR evidenzia come nel provvedimento sanzionatorio veniva fatto un mero accenno all’interesse che la ricorrente potrebbe vantare nella vendita del maggior numero di biglietti nel minor tempo, ritenendo tuttavia tale prospettazione poco convincente in quanto per gli eventi in cui la domanda di biglietti è ben superiore all’offerta – come quelli presi in considerazione nel procedimento – in ogni caso gli acquisti si concluderebbero generalmente nel margine di poche ore, anche qualora i titoli fossero venduti con modalità “one to one”. Il TAR utilizza questa argomentazione per sostenere il difetto del provvedimento nella parte in cui non chiarisce quale vantaggio economico conseguirebbe Ticketone dalla conclusione delle operazioni in un tempo “brevissimo” e non “breve”.
Non resta che attendere l’inevitabile appello al Consiglio di Stato da parte dell’AGCM.
Gloria Panaccione
Ticketone aveva quindi proposto (i) un ricorso introduttivo già nei confronti del provvedimento di avvio dell’AGCM e delle comunicazioni delle risultanze istruttorie, per poi (ii) impugnare con motivi aggiunti il provvedimento finale. Ticketone riteneva che l’AGCM non avesse competenza specifica sulla fattispecie in questione, dal momento che non si riscontravano i requisiti minimi per la configurabilità di una pratica commerciale, non risultando alcun contatto con il consumatore che comportava un pregiudizio diretto, derivante a detta della ricorrente unicamente dall’acquisto sul mercato secondario, non riconducibile alla ricorrente.
Processualmente, il TAR Lazio ha dichiarato in primo luogo l’inammissibilità dell’impugnazione del provvedimento di avvio e della comunicazione degli addebiti in quanto avversa atti non immediatamente lesivi in quanto atti endoprocedimentali.
Diversamente sono state ritenute condivisibili le tesi proposte da Ticketone avverso il provvedimento finale. Il TAR ha rigettato solamente la prima censura in cui la ricorrente riproponeva la tesi della carenza di potere dell’AGCM, sostenendo che l’art. 20 del Codice del Consumo che l’AGCM asseriva essere stato violato, avrebbe la consistenza di una mera “clausola generale” e non sarebbe “norma di fattispecie” quale ipotesi residuale di illecito.
Al contrario sono stati accolti i successivi motivi con cui Ticketone sostanzialmente sosteneva l’assenza dei presupposti fondanti la configurazione delle pratiche contestate in relazione alla propria condotta, tra cui l’esistenza di un vantaggio economico in capo al professionista nel falsare in misura rilevante il comportamento economico del consumatore-utente. Il TAR ha al riguardo ritenuto che tale presupposto non fosse rinvenibile nel caso di specie. A detta del giudice infatti, con un ragionamento non proprio convincente, nel provvedimento finale l’AGCM ha chiarito che il procedimento avviato era diretto non ad individuare e prescrivere specifiche misure atte a fronteggiare il problema ma solo a verificare se il professionista avesse agito con la diligenza che il suo ruolo di esclusivista per le vendita online, e gli specifici obblighi contrattuali collegati, avrebbe richiesto. In tal modo, secondo il TAR, l’AGCM aveva individuato un problema consistente nelle forme speculative di acquisti multipli, che non ritiene di affrontare nello specifico, limitandosi a ritenere oggetto della sua indagine solo la diligenza assunta da Ticketone nel fronteggiare tale problema. In sostanza ad avviso del TAR Lazio “…che vi sia un mercato secondario e speculativo è circostanza nota anche dall’AGCM ma non esaminata nelle sue varie conformazioni, così come non approfondito – ma neanche accennato – è il profilo che riguarda la correlazione causale tra acquisti multipli e comportamento del consumatore utente, soprattutto riguardo la scelta di quest’ultimo di procedere comunque all’acquisto nonostante siano presenti sul mercato secondario biglietti a prezzi di molto superiore a quelli originali”.
Nell’evidenziare questo difetto di istruttoria, il TAR ritiene che l’AGCM non abbia assolutamente chiarito quale fosse il vantaggio economico del professionista, in quanto emerge come nel caso di specie la distorsione del mercato è data dalle vendite speculative e il pregiudizio pare piuttosto ricondursi alla scelta – sicuramente consapevole sia pure sostenuta da aspetti emotivi – del consumatore finale che, pur di recarsi ad assistere all’evento, preferisce acquistare il relativo biglietto comunque a prezzo maggiorato sul mercato secondario/speculativo piuttosto che rinunciarvi. Con un ragionamento a dir poco sorprendente e che sarà inevitabilmente oggetto di attenzione da parte dei più attenti commentatori, a giudizio del TAR sarebbe sufficiente che il consumatore si rifiutasse di acquistare biglietti a prezzo maggiorato, così da farli restare invenduti, per ridimensionare di molto il problema individuato dall’AGCM! Curiosamente, il fatto che i consumatori si erano in massa lamentati dell’impossibilità di acquistare i biglietti direttamente da Ticket One, come da quest’ultimo pubblicizzato, anche grazie ad un atteggiamento apparentemente “poco attento” di quest’ultimo è sostanzialmente irrilevante.
In tal modo viene avallata la tesi della ricorrente secondo cui l’effettiva attività che danneggia i consumatori non si riscontrerebbe nel rapporto diretto tra TicketOne e l’acquirente multiplo (a prezzo non maggiorato) ma nel rapporto tra quest’ultimo e il consumatore, che consapevolmente si rivolge al mercato (che a quel punto) diventa secondario, accettando di pagare un prezzo maggiore pur di non perdere l’evento, con un evidente plusvalore non a beneficio di Ticket ma del venditore “secondario”. Dimenticandosi che l’oggetto della contestazione è stata proprio l’impossibilità per il consumatore di avere un rapporto contrattuale diretto con TicketOne, ossia comprare “l’agognato” biglietto.
In sostanza, l’AGCM avrebbe dovuto approfondire le caratteristiche del mercato secondario rispetto al comportamento dei consumatori e di TicketOne. Infine il TAR evidenzia come nel provvedimento sanzionatorio veniva fatto un mero accenno all’interesse che la ricorrente potrebbe vantare nella vendita del maggior numero di biglietti nel minor tempo, ritenendo tuttavia tale prospettazione poco convincente in quanto per gli eventi in cui la domanda di biglietti è ben superiore all’offerta – come quelli presi in considerazione nel procedimento – in ogni caso gli acquisti si concluderebbero generalmente nel margine di poche ore, anche qualora i titoli fossero venduti con modalità “one to one”. Il TAR utilizza questa argomentazione per sostenere il difetto del provvedimento nella parte in cui non chiarisce quale vantaggio economico conseguirebbe Ticketone dalla conclusione delle operazioni in un tempo “brevissimo” e non “breve”.
Non resta che attendere l’inevitabile appello al Consiglio di Stato da parte dell’AGCM.
Gloria Panaccione