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Newsletter giuridica di concorrenza e regolamentazione
Diritto della concorrenza UE / Abuso di posizione dominante e mercato dei chipset LTE – La Commissione europea sanziona Qualcomm per quasi un miliardo di euro per un abuso di posizione dominante
Con un comunicato stampa pubblicato il 24 gennaio scorso, la Commissione europea (la Commissione) ha comunicato di aver sanzionato, per un importo pari a 997 milioni di euro, Qualcomm, uno dei maggiori produttori mondiali di microprocessori. Secondo la Commissione, che aveva avviato il procedimento nel luglio 2015, Qualcomm avrebbe abusato della propria posizione dominante nel mercato dei chipset LTE, ossia i circuiti integrati che permettono a smartphone e tablet di connettersi alle reti mobili con la tecnologia 4G.
Come indicato dalla Commissione, Qualcomm risulterebbe essere il maggiore produttore mondiale di tali chipset con una quota di mercato, nel periodo dell’infrazione (ossia dal 2011 al 2016), superiore al 90%. Tale mercato è altresì caratterizzato da alte barriere all’entrata, dati gli ingenti costi di ricerca e sviluppo necessari per sviluppare un chipset LTE, nonché a causa dei diritti di proprietà intellettuale detenuti dalla stessa Qualcomm in tale settore. La Commissione ha rilevato come altri produttori di chipset, tra cui in particolare Intel, fossero presenti in tale mercato e avessero provato a fare concorrenza a Qualcomm.
È all’interno di tale scenario che si pone la condotta (asseritamente) abusiva di Qualcomm. Quest’ultima, nel 2011, aveva sottoscritto un accordo con Apple in forza del quale si impegnava a concedere ad Apple significativi pagamenti (che la Commissaria Vestager ha quantificato in “…miliardi di dollari…”) a condizione che Apple si rifornisse esclusivamente da Qualcomm per i chipset dei propri iPhone e iPad. Come riportato dalla Commissione, l’accordo indicava chiaramente che Qualcomm avrebbe interrotto tali pagamenti qualora Apple avesse lanciato sul mercato un prodotto contenente un chipset di un concorrente. Inoltre, qualora Apple avesse deciso di cambiare fornitore, l’accordo prevedeva che avrebbe dovuto restituire a Qualcomm gran parte dei pagamenti fino a quel momento ricevuti. In altre parole, come indicato dalla stessa Commissione, i concorrenti di Qualcomm erano di fatto impossibilitati a competere efficacemente, indipendentemente dalla qualità dei propri prodotti, sia per il (significativo) business di Apple, sia per il business degli altri operatori di mercato che – secondo la Commissione – avrebbero potuto decidere di acquistare i propri chipset da un altro produttore qualora quest’ultimo fosse riuscito ad assicurarsi Apple come cliente.
Proprio sul punto, la Commissione avrebbe trovato documenti interni di Apple che dimostrerebbero come quest’ultima avesse seriamente considerato di acquistare i chipset per i propri dispositivi mobili da Intel, ma il vincolo di esclusiva previsto da Qualcomm l’avrebbe poi fatta desistere, dati gli ingenti costi che avrebbe dovuto sopportare. Ed infatti, come riporta la Commissione, a settembre 2016, quando l’accordo con Qualcomm stava per scadere e gli switching cost erano limitati, Apple aveva iniziato ad acquistare chipset anche da Intel. La Commissaria Vestager ha riportato che, dopo la fine dell’accordo con Qualcomm, Apple abbia acquistato circa metà dei suoi chipset da Intel.
Come evidenziato dalla Commissione, la condotta di Qualcomm poneva delle problematiche di natura concorrenziale non in quanto garantiva ad Apple una riduzione del prezzo, ma in quanto l’obbligo di esclusiva di fatto negava ai concorrenti la possibilità di competere sul mercato.
In particolare, la valutazione effettuata sull’abusività della condotta di Qualcomm, secondo quanto riportato dalla Commissione stessa, si è basata su una pluralità di fattori, tra cui: la significativa posizione dominante di Qualcomm; l’ammontare dei pagamenti in cambio dell’esclusiva; numerose prove documentali che dimostrano come i pagamenti di Qualcomm avessero ridotto gli incentivi di Apple a rifornirsi da un altro produttore; l’importanza di Apple come cliente nel mercato dei chipset LTE, in quanto ha rappresentato circa 1/3 della domanda di tale mercato. Infine, la Commissione ha affermato come Qualcomm non avrebbe dimostrato che gli obblighi di esclusiva producessero efficienze tali da giustificare tale condotta.
Qualcomm ha già dichiarato di voler impugnare la decisione. Si ricorda inoltre che la società è nel mirino della Commissione anche per un ulteriore (asserito) abuso di posizione dominante relativo ad un’ipotesi di predatory pricing, in quanto avrebbe venduto dal 2009 al 2011 alcuni chipset UMTS ad un prezzo sotto costo, con l’intenzione di far uscire Icera (uno dei concorrenti maggiormente in crescita in tale periodo) dal mercato.
Jacopo Pelucchi
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Come indicato dalla Commissione, Qualcomm risulterebbe essere il maggiore produttore mondiale di tali chipset con una quota di mercato, nel periodo dell’infrazione (ossia dal 2011 al 2016), superiore al 90%. Tale mercato è altresì caratterizzato da alte barriere all’entrata, dati gli ingenti costi di ricerca e sviluppo necessari per sviluppare un chipset LTE, nonché a causa dei diritti di proprietà intellettuale detenuti dalla stessa Qualcomm in tale settore. La Commissione ha rilevato come altri produttori di chipset, tra cui in particolare Intel, fossero presenti in tale mercato e avessero provato a fare concorrenza a Qualcomm.
È all’interno di tale scenario che si pone la condotta (asseritamente) abusiva di Qualcomm. Quest’ultima, nel 2011, aveva sottoscritto un accordo con Apple in forza del quale si impegnava a concedere ad Apple significativi pagamenti (che la Commissaria Vestager ha quantificato in “…miliardi di dollari…”) a condizione che Apple si rifornisse esclusivamente da Qualcomm per i chipset dei propri iPhone e iPad. Come riportato dalla Commissione, l’accordo indicava chiaramente che Qualcomm avrebbe interrotto tali pagamenti qualora Apple avesse lanciato sul mercato un prodotto contenente un chipset di un concorrente. Inoltre, qualora Apple avesse deciso di cambiare fornitore, l’accordo prevedeva che avrebbe dovuto restituire a Qualcomm gran parte dei pagamenti fino a quel momento ricevuti. In altre parole, come indicato dalla stessa Commissione, i concorrenti di Qualcomm erano di fatto impossibilitati a competere efficacemente, indipendentemente dalla qualità dei propri prodotti, sia per il (significativo) business di Apple, sia per il business degli altri operatori di mercato che – secondo la Commissione – avrebbero potuto decidere di acquistare i propri chipset da un altro produttore qualora quest’ultimo fosse riuscito ad assicurarsi Apple come cliente.
Proprio sul punto, la Commissione avrebbe trovato documenti interni di Apple che dimostrerebbero come quest’ultima avesse seriamente considerato di acquistare i chipset per i propri dispositivi mobili da Intel, ma il vincolo di esclusiva previsto da Qualcomm l’avrebbe poi fatta desistere, dati gli ingenti costi che avrebbe dovuto sopportare. Ed infatti, come riporta la Commissione, a settembre 2016, quando l’accordo con Qualcomm stava per scadere e gli switching cost erano limitati, Apple aveva iniziato ad acquistare chipset anche da Intel. La Commissaria Vestager ha riportato che, dopo la fine dell’accordo con Qualcomm, Apple abbia acquistato circa metà dei suoi chipset da Intel.
Come evidenziato dalla Commissione, la condotta di Qualcomm poneva delle problematiche di natura concorrenziale non in quanto garantiva ad Apple una riduzione del prezzo, ma in quanto l’obbligo di esclusiva di fatto negava ai concorrenti la possibilità di competere sul mercato.
In particolare, la valutazione effettuata sull’abusività della condotta di Qualcomm, secondo quanto riportato dalla Commissione stessa, si è basata su una pluralità di fattori, tra cui: la significativa posizione dominante di Qualcomm; l’ammontare dei pagamenti in cambio dell’esclusiva; numerose prove documentali che dimostrano come i pagamenti di Qualcomm avessero ridotto gli incentivi di Apple a rifornirsi da un altro produttore; l’importanza di Apple come cliente nel mercato dei chipset LTE, in quanto ha rappresentato circa 1/3 della domanda di tale mercato. Infine, la Commissione ha affermato come Qualcomm non avrebbe dimostrato che gli obblighi di esclusiva producessero efficienze tali da giustificare tale condotta.
Qualcomm ha già dichiarato di voler impugnare la decisione. Si ricorda inoltre che la società è nel mirino della Commissione anche per un ulteriore (asserito) abuso di posizione dominante relativo ad un’ipotesi di predatory pricing, in quanto avrebbe venduto dal 2009 al 2011 alcuni chipset UMTS ad un prezzo sotto costo, con l’intenzione di far uscire Icera (uno dei concorrenti maggiormente in crescita in tale periodo) dal mercato.
Jacopo Pelucchi
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Intese e farmaci – La Corte di Giustizia conferma la qualifica di restrizione per oggetto dell’accordo tra Roche e Novartis relativo ai prodotti Aventis e Lucentis e sanzionato dall’AGCM
La Corte di Giustizia (CdG) si è pronunciata nella causa C 179/16 - F. Hoffmann-La Roche Ltd e altri contro AGCM, su rinvio pregiudiziale del Consiglio di Stato. Il giudizio dinanzi alla suprema corte amministrativa italiana ha ad oggetto l’appello contro la sentenza del TAR Lazio che ha rigettato i ricorsi per l’annullamento della decisione dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (Autorità o AGCM) adottata nel febbraio 2014 nel caso I-760 contro i gruppi Roche e Novartis (sanzionati per circa 90 milioni di euro ciascuno).
Ad esito di questo procedimento, l’AGCM aveva accertato che le due imprese, anche attraverso proprie controllate, avevano messo in atto un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza contraria all’art. 101 TFUE, volta ad ottenere una differenziazione artificiosa di due medicinali, ossia (a) l’Avastin (commercializzato da Roche, e destinato in base all’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) a cure oncologiche) e (b) il Lucentis (commercializzato, a prezzi molto più alti, per uso oftalmico da Novartis sulla base di una licenza da Roche), manipolando la percezione dei rischi associati all’uso in ambito oftalmico (invece che in quello oncologico) dell’Avastin. Tale condotta comune aveva – secondo la ricostruzione operata dall’Autorità – lo scopo di ostacolare proprio quest’ultimo uso (c.d. off-label), sviluppatosi nel periodo fra l’AIC di Avastin e quella, successiva, di Lucentis, e che era proseguito rappresentando una minaccia concorrenziale per il secondo (più costoso) prodotto, determinando minori profitti legati sia alla sua vendita (per il licenziatario Novartis) sia alle royalty (per il licenziante Roche).
La CdG ha raggruppato i 5 quesiti pregiudiziali in quattro temi e, in modo sostanzialmente coerente (ma non invero del tutto coincidente) con la posizione espressa dall’Avvocato Generale qualche mese prima nella propria Opinione – già commentata in questa Newsletter – si è pronunciata nel senso che, in sintesi:
(i) si può includere nel mercato rilevante, oltre ai medicinali autorizzati per il trattamento delle patologie di cui trattasi, un altro medicinale la cui AIC non copra detto trattamento, ma che è nella prassi utilizzato a tal fine e presenta quindi un “rapporto concreto di sostituibilità” con i primi. Su questo tema, peraltro, la CdG ha altresì osservato – in modo nient’affatto scontato – come “…il fatto che taluni prodotti farmaceutici siano fabbricati o venduti in modo illecito impedisce, in linea di principio, di considerarli come sostituibili o intercambiabili…”. Tuttavia, nel caso di specie siffatta illiceità non era stata ravvisata, sussistendo al riguardo perlomeno uno stato di incertezza, che non giustificava la condotta delle parti;
(ii) gli accordi tra le parti tesi a limitare le condotte di terzi consistenti nel promuovere l’uso di un altro medicinale per il trattamento delle medesime patologie non possono essere considerati “ancillari” al contratto di licenza (cioè – secondo il test giuridico ricordato dalla CdG – obiettivamente necessarie per l’esistenza dello stesso), come dimostrato fra l’altro dal fatto che l’intesa è intervenuta solo anni dopo la licenza e che essa “…ha inteso limitare non l’autonomia commerciale delle parti dell’accordo di licenza relativo al Lucentis, ma i comportamenti di terzi, in particolare degli operatori sanitari, per far sì che gli usi dell’Avastin per questo tipo di trattamento cessassero di incidere sugli usi del Lucentis ai medesimi fini”;
(iii) l’accordo per la diffusione presso l’Agenzia europea per i medicinali, gli operatori sanitari e il pubblico, di informazioni ingannevoli sugli effetti collaterali negativi dell’uso di uno di tali medicinali per il trattamento di patologie non coperte dall’AIC costituisce una restrizione della concorrenza “per oggetto”, dato che la condotta in questione, spingendo prevedibilmente i giudici a rinunciare a prescrivere l’Aventis per l’impiego oftalmico, presenta “…un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente a rendere superfluo l’esame dei suoi effetti”. Ai fini di codesta qualificazione “per oggetto”, la Corte ha altresì attribuito rilevanza al fatto che gli obblighi normativi di informativa sull’uso di un medicinale incombono sul solo titolare dell’AIC, e non giustificavano quindi, in ogni caso, una collusione fra le parti;
(iv) infine, è da escludersi l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 101, comma 3, in particolare – secondo quanto rilevato in modo assai sintetico (e non del tutto chiaro) dalla CdG – per la carenza del requisito della “indispensabilità” della restrizione rispetto ad un presunto obiettivo di miglioramento della produzione o distribuzione dei prodotti.
Il giudizio riprenderà quindi ora dinanzi al Consiglio di Stato, in una controversia che – alla luce di quanto indicato dalla CdG, e salvo che i giudici riscontrino altri, diversi profili di criticità nella sentenza del TAR – sembra avviarsi nel senso di una conferma dell’accertamento compiuto dall’AGCM.
Alessandro Di Giò
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Ad esito di questo procedimento, l’AGCM aveva accertato che le due imprese, anche attraverso proprie controllate, avevano messo in atto un’intesa orizzontale restrittiva della concorrenza contraria all’art. 101 TFUE, volta ad ottenere una differenziazione artificiosa di due medicinali, ossia (a) l’Avastin (commercializzato da Roche, e destinato in base all’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC) a cure oncologiche) e (b) il Lucentis (commercializzato, a prezzi molto più alti, per uso oftalmico da Novartis sulla base di una licenza da Roche), manipolando la percezione dei rischi associati all’uso in ambito oftalmico (invece che in quello oncologico) dell’Avastin. Tale condotta comune aveva – secondo la ricostruzione operata dall’Autorità – lo scopo di ostacolare proprio quest’ultimo uso (c.d. off-label), sviluppatosi nel periodo fra l’AIC di Avastin e quella, successiva, di Lucentis, e che era proseguito rappresentando una minaccia concorrenziale per il secondo (più costoso) prodotto, determinando minori profitti legati sia alla sua vendita (per il licenziatario Novartis) sia alle royalty (per il licenziante Roche).
La CdG ha raggruppato i 5 quesiti pregiudiziali in quattro temi e, in modo sostanzialmente coerente (ma non invero del tutto coincidente) con la posizione espressa dall’Avvocato Generale qualche mese prima nella propria Opinione – già commentata in questa Newsletter – si è pronunciata nel senso che, in sintesi:
(i) si può includere nel mercato rilevante, oltre ai medicinali autorizzati per il trattamento delle patologie di cui trattasi, un altro medicinale la cui AIC non copra detto trattamento, ma che è nella prassi utilizzato a tal fine e presenta quindi un “rapporto concreto di sostituibilità” con i primi. Su questo tema, peraltro, la CdG ha altresì osservato – in modo nient’affatto scontato – come “…il fatto che taluni prodotti farmaceutici siano fabbricati o venduti in modo illecito impedisce, in linea di principio, di considerarli come sostituibili o intercambiabili…”. Tuttavia, nel caso di specie siffatta illiceità non era stata ravvisata, sussistendo al riguardo perlomeno uno stato di incertezza, che non giustificava la condotta delle parti;
(ii) gli accordi tra le parti tesi a limitare le condotte di terzi consistenti nel promuovere l’uso di un altro medicinale per il trattamento delle medesime patologie non possono essere considerati “ancillari” al contratto di licenza (cioè – secondo il test giuridico ricordato dalla CdG – obiettivamente necessarie per l’esistenza dello stesso), come dimostrato fra l’altro dal fatto che l’intesa è intervenuta solo anni dopo la licenza e che essa “…ha inteso limitare non l’autonomia commerciale delle parti dell’accordo di licenza relativo al Lucentis, ma i comportamenti di terzi, in particolare degli operatori sanitari, per far sì che gli usi dell’Avastin per questo tipo di trattamento cessassero di incidere sugli usi del Lucentis ai medesimi fini”;
(iii) l’accordo per la diffusione presso l’Agenzia europea per i medicinali, gli operatori sanitari e il pubblico, di informazioni ingannevoli sugli effetti collaterali negativi dell’uso di uno di tali medicinali per il trattamento di patologie non coperte dall’AIC costituisce una restrizione della concorrenza “per oggetto”, dato che la condotta in questione, spingendo prevedibilmente i giudici a rinunciare a prescrivere l’Aventis per l’impiego oftalmico, presenta “…un grado di dannosità per la concorrenza sufficiente a rendere superfluo l’esame dei suoi effetti”. Ai fini di codesta qualificazione “per oggetto”, la Corte ha altresì attribuito rilevanza al fatto che gli obblighi normativi di informativa sull’uso di un medicinale incombono sul solo titolare dell’AIC, e non giustificavano quindi, in ogni caso, una collusione fra le parti;
(iv) infine, è da escludersi l’applicabilità dell’esenzione di cui all’art. 101, comma 3, in particolare – secondo quanto rilevato in modo assai sintetico (e non del tutto chiaro) dalla CdG – per la carenza del requisito della “indispensabilità” della restrizione rispetto ad un presunto obiettivo di miglioramento della produzione o distribuzione dei prodotti.
Il giudizio riprenderà quindi ora dinanzi al Consiglio di Stato, in una controversia che – alla luce di quanto indicato dalla CdG, e salvo che i giudici riscontrino altri, diversi profili di criticità nella sentenza del TAR – sembra avviarsi nel senso di una conferma dell’accertamento compiuto dall’AGCM.
Alessandro Di Giò
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Diritto della concorrenza Italia / AGCM e trasporto pubblico locale - L’AGCM avvia un’istruttoria nei confronti di SAD – Trasporto Locale S.p.A. attiva nella Provincia di Bolzano per accertare l’esistenza di un possibile abuso in merito alle future gare TPL
Con il provvedimento deliberato nell’adunanza dello scorso 17 gennaio e pubblicato lo scorso 25 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha deciso di avviare – a seguito di una segnalazione proveniente dalla Provincia Autonoma di Bolzano (PAB) - un procedimento avverso la SAD – Trasporto Locale S.p.A. (SAD), società attiva principalmente nel servizio di trasporto di persone con autobus, per accertare per accertare l’esistenza di possibili violazioni dell’articolo 102 del TFUE e/o dell’articolo 3 della legge n. 287/90. In particolare, in un mercato del TPL su gomma i cui servizi attualmente sono eserciti da 22 diversi concessionari (tra i quali figurano SAD, SASA S.p.A. e il Consorzio LiBus), SAD avrebbe posto in essere una strategia continuata, volta a ritardare e/o impedire – non inviando informazioni indispensabili – il completamento da parte della PAB degli elaborati di gara per l’affidamento dei servizi di TPL extraurbano su gomma.
Al riguardo si consideri che allo stato attuale i servizi vengono svolti ancora mediante le concessioni stipulate nel 1985, rinnovate nel 2009 e che termineranno il 18 novembre 2018, data entro cui la Provincia prevede di implementare nuove modalità di affidamento consistenti (i) nell’indizione di una gara per l’aggiudicazione del servizio relativo alla parte extra-urbana e (ii) nell’affidamento in house, con riferimento al lotto urbano, nei confronti della citata SASA, in conformità alle disposizioni legislative vigenti e a fronte delle modifiche societarie intervenute, dal momento che la SASA risulta sottoposta al controllo congiunto della stessa PAB e dei Comuni di Bolzano, Merano e Laives. Per quanto riguarda la citata gara, la Provincia aveva teoricamente previsto la pubblicazione del bando a partire dal 18 gennaio 2018, per poi procedere all’aggiudicazione dei lotti entro giugno 2018.
In un simile contesto, l’AGCM nel descrivere il comportamento dilatorio della SAD, attuale incumbent, nel fornire le informazioni necessarie alle organizzazioni delle future gare, non ha potuto non evidenziare la difficile interlocuzione tra la PAB e la società, nell’ultimo anno. Infatti sembrerebbe che la PAB avrebbe formulato molteplici richieste di informazioni e solleciti alla SAD, rimaste inevase. In particolare, la Provincia richiedeva la trasmissione di dati relativi alla situazione in essere in merito ai beni strumentali utilizzati (autobus, residenze del personale, depositi e parcheggi) e al personale impiegato, in ottemperanza al quadro regolamentare di riferimento. A tali richieste la SAD dapprima rispondeva chiedendo che venissero specificamente indicati gli obblighi informativi ai quali la PAB riteneva che l’impresa soggiacesse; successivamente alla risposta della PAB che tale richiesta di informazioni era funzionale alla corretta attribuzione dei beni e del personale ai vari lotti di gara e alla conseguente strutturazione e valorizzazione degli stessi, la SAD si limitava a trasmettere l’elenco degli autisti, con relativo costo e inquadramento e quello del parco rotabile, con relative caratteristiche dei mezzi.
La società, invece, si rifiutava di fornire informazioni sui presidi logistici utilizzati ritenendo che tali informazioni attenessero alla loro dislocazione geografica, ovvero all’organizzazione aziendale, e quindi fossero coperte da segreto. A questo punto, tali informazioni venivano nuovamente richieste ma la Provincia in data 8 novembre 2017 si trovava a ricevere come risposta una comunicazione della SAD in cui si precisava che tali dati sarebbero già dovuti essere in possesso della stessa. Ad avviso della SAD una siffatta richiesta si poneva in violazione della disposizione (art. 42 del D.P.R. n. 445/2000) che prevede che una Pubblica amministrazione non può richiedere ai privati atti relativi a stati, qualità personali e fatti attestati in documenti già in possesso della stessa o di altra Amministrazione. In più, la SAD evidenzia come in assenza di tali dati, la stessa Provincia in passato non avrebbe potuto “determinare i costi standard annuali relativi al servizio, né definire il correlato modello gestionale, senza correre il rischio di aver corrisposto sovra-compensazioni per oneri di servizio pubblico”.
Su tali basi, l’AGCM evidenzia come effettivamente le informazioni mancanti siano essenziali all’organizzazione delle gare, come sostenuto dalla Provincia. In particolare viene chiarito che “solo la conoscenza dettagliata dei presidi logistici utilizzati, del personale e dei mezzi attributi agli stessi in ogni porzione del territorio altoatesino consente di strutturare correttamente i lotti e di verificare se il programma di esercizio è effettivamente realizzabile, e soprattutto, di formulare ipotesi accurate sui costi…” ciò in quanto “la conoscenza della dislocazione dei depositi degli autobus consente di definire i turni del servizio, da cui dipende il costo dello stesso che viene preso come riferimento per la determinazione del costo standard, e dunque della base d’asta”. Ad avviso dell’AGCM risulta evidente come la PAB non sia in possesso di tali dati e che al contempo, essa non sia in grado di rimediare a detta carenza tramite l’utilizzo di dati ipotetici e parametrici, in quanto ciò determinerebbe il rischio che il bando di gara preveda un costo standard ed una base d’asta irrealistici. E dal momento che ciò sarebbe solo noto a SAD, tale asimmetria informativa potrebbe determinare un potenziale vantaggio dell’incumbent, in grado di alterare il confronto competitivo, arrecando un danno sia ai potenziali concorrenti sia ai consumatori finali in termini di minore qualità del servizio. A fronte di ciò, l’AGCM ha deciso anche di avviare un procedimento volto all’adozione di misure cautelari considerato che “appare ragionevole presumere che la Provincia non possa procedere all’indizione della gara nei tempi che si era inizialmente prefissata”.
Viene fissato al 31 gennaio 2019 il termine di conclusione del procedimento in commento.
Gloria Panaccione
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Al riguardo si consideri che allo stato attuale i servizi vengono svolti ancora mediante le concessioni stipulate nel 1985, rinnovate nel 2009 e che termineranno il 18 novembre 2018, data entro cui la Provincia prevede di implementare nuove modalità di affidamento consistenti (i) nell’indizione di una gara per l’aggiudicazione del servizio relativo alla parte extra-urbana e (ii) nell’affidamento in house, con riferimento al lotto urbano, nei confronti della citata SASA, in conformità alle disposizioni legislative vigenti e a fronte delle modifiche societarie intervenute, dal momento che la SASA risulta sottoposta al controllo congiunto della stessa PAB e dei Comuni di Bolzano, Merano e Laives. Per quanto riguarda la citata gara, la Provincia aveva teoricamente previsto la pubblicazione del bando a partire dal 18 gennaio 2018, per poi procedere all’aggiudicazione dei lotti entro giugno 2018.
In un simile contesto, l’AGCM nel descrivere il comportamento dilatorio della SAD, attuale incumbent, nel fornire le informazioni necessarie alle organizzazioni delle future gare, non ha potuto non evidenziare la difficile interlocuzione tra la PAB e la società, nell’ultimo anno. Infatti sembrerebbe che la PAB avrebbe formulato molteplici richieste di informazioni e solleciti alla SAD, rimaste inevase. In particolare, la Provincia richiedeva la trasmissione di dati relativi alla situazione in essere in merito ai beni strumentali utilizzati (autobus, residenze del personale, depositi e parcheggi) e al personale impiegato, in ottemperanza al quadro regolamentare di riferimento. A tali richieste la SAD dapprima rispondeva chiedendo che venissero specificamente indicati gli obblighi informativi ai quali la PAB riteneva che l’impresa soggiacesse; successivamente alla risposta della PAB che tale richiesta di informazioni era funzionale alla corretta attribuzione dei beni e del personale ai vari lotti di gara e alla conseguente strutturazione e valorizzazione degli stessi, la SAD si limitava a trasmettere l’elenco degli autisti, con relativo costo e inquadramento e quello del parco rotabile, con relative caratteristiche dei mezzi.
La società, invece, si rifiutava di fornire informazioni sui presidi logistici utilizzati ritenendo che tali informazioni attenessero alla loro dislocazione geografica, ovvero all’organizzazione aziendale, e quindi fossero coperte da segreto. A questo punto, tali informazioni venivano nuovamente richieste ma la Provincia in data 8 novembre 2017 si trovava a ricevere come risposta una comunicazione della SAD in cui si precisava che tali dati sarebbero già dovuti essere in possesso della stessa. Ad avviso della SAD una siffatta richiesta si poneva in violazione della disposizione (art. 42 del D.P.R. n. 445/2000) che prevede che una Pubblica amministrazione non può richiedere ai privati atti relativi a stati, qualità personali e fatti attestati in documenti già in possesso della stessa o di altra Amministrazione. In più, la SAD evidenzia come in assenza di tali dati, la stessa Provincia in passato non avrebbe potuto “determinare i costi standard annuali relativi al servizio, né definire il correlato modello gestionale, senza correre il rischio di aver corrisposto sovra-compensazioni per oneri di servizio pubblico”.
Su tali basi, l’AGCM evidenzia come effettivamente le informazioni mancanti siano essenziali all’organizzazione delle gare, come sostenuto dalla Provincia. In particolare viene chiarito che “solo la conoscenza dettagliata dei presidi logistici utilizzati, del personale e dei mezzi attributi agli stessi in ogni porzione del territorio altoatesino consente di strutturare correttamente i lotti e di verificare se il programma di esercizio è effettivamente realizzabile, e soprattutto, di formulare ipotesi accurate sui costi…” ciò in quanto “la conoscenza della dislocazione dei depositi degli autobus consente di definire i turni del servizio, da cui dipende il costo dello stesso che viene preso come riferimento per la determinazione del costo standard, e dunque della base d’asta”. Ad avviso dell’AGCM risulta evidente come la PAB non sia in possesso di tali dati e che al contempo, essa non sia in grado di rimediare a detta carenza tramite l’utilizzo di dati ipotetici e parametrici, in quanto ciò determinerebbe il rischio che il bando di gara preveda un costo standard ed una base d’asta irrealistici. E dal momento che ciò sarebbe solo noto a SAD, tale asimmetria informativa potrebbe determinare un potenziale vantaggio dell’incumbent, in grado di alterare il confronto competitivo, arrecando un danno sia ai potenziali concorrenti sia ai consumatori finali in termini di minore qualità del servizio. A fronte di ciò, l’AGCM ha deciso anche di avviare un procedimento volto all’adozione di misure cautelari considerato che “appare ragionevole presumere che la Provincia non possa procedere all’indizione della gara nei tempi che si era inizialmente prefissata”.
Viene fissato al 31 gennaio 2019 il termine di conclusione del procedimento in commento.
Gloria Panaccione
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Bid rigging e farmaci plasmaderivati – L’AGCM punta il dito contro Kendrion e Grifols per asserite condotte anticoncorrenziali nell’aggiudicazione della gara per l’approvvigionamento di farmaci plasmaderivati per l’Emilia Romagna
Con provvedimento pubblicato in data 19 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha reso noto di aver aperto un’indagine per un’asserita intesa anticoncorrenziale che sarebbe stata posta in essere dalle società Kendrion S.p.A. (Kendrion) e Grifols Italia S.p.A. (Grifols) in occasione della loro partecipazione in forma associata (mediante raggruppamento temporaneo di imprese, RTI) ad una gara per l’affidamento dei servizi di ritiro del sangue offerto da donatori nazionali, produzione di farmaci plasmaderivati e la loro fornitura al sistema sanitario. Il procedimento è stato aperto sulla base di una segnalazione e della trasmissione alla stessa AGCM di un ricorso presentato dinanzi al TAR Lazio in merito all’aggiudicazione – asseritamente anticoncorrenziale – della medesima gara.
Giova premettere che nel settore dei farmaci plasmaderivati (impiegati per il trattamento di malattie gravi ed interventi di urgenza), il processo produttivo richiede particolari esigenze tecniche ed il modello operativo italiano è incentrato su un’organizzazione a rete in cui cooperano le SSN, le amministrazioni regionali e le associazioni riconosciute per la raccolta del sangue/plasma. La normativa nazionale di riferimento prevede che, affinché un’impresa possa svolgere tali attività, gli impianti di lavorazione siano insediati in Paesi dell’UE in cui il sangue/plasma non viene ceduto con finalità di lucro, nonchè sulla base di apposite procedure di autorizzazione. In Italia solo cinque operatori hanno le autorizzazioni rilevanti per detto servizio, tra cui figurano Kendrion – l’operatore incumbent nazionale storico nel settore dei farmaci emoderivati - e Grifols – parte di uno dei principali operatori a livello mondiale nel settore. L’AGCM ha peraltro sottolineato che Kendrion e Grifols, perlomeno negli USA, hanno una serie di rapporti sia di tipo industriale che commerciale, a valle di una serie di trasferimenti di impianti produttivi e centri di raccolta. Ed inoltre, nel 2015 Kendrion appare aver immotivatamente rinunciato al proprio ricorso amministrativo avverso l’autorizzazione ministeriale concessa a Grifols per le attività di raccolta di sangue/plasma.
La gara in questione era stata bandita da Intercent-ER, centrale di acquisti per la regione Emilia Romagna, e aggiudicata nel settembre 2017 al RTI tra Kedrion-Grifols.
Secondo quanto emerge dal provvedimento di avvio, l’istruttoria è finalizzata a verificare se e in che misura i rapporti tra Kedrion e Grifols, a partire dal RTI costituito per partecipare alla gara (di cui Kendrion è capofila con una ripartizione di tipo orizzontale delle attività in misura 70 – 30%), siano riconducibili a un’intesa contraria ai principi della concorrenza.
In particolare, le disposizioni di gara prevedevano come elemento indispensabile per la partecipazione la produzione di alcuni medicinali plasmaderivati, nonché la disponibilità dei partecipanti a fornire anche una serie di farmaci emoderivati accessori. I cinque soggetti qualificati all’affidamento dei servizi disponevano tutti dei prodotti obbligatori in maniera autonoma, tuttavia, solo Grifols era nella disponibilità di uno dei prodotti accessori, mentre Kendrion ed un terzo operatore era nella disponibilità di un diverso prodotto accessorio. Considerato che tale terzo operatore non aveva presentato nessuna offerta, il RTI disponeva in esclusiva di due dei prodotti accessori richiesti. Di contro, se Kendrion e Grifols non avessero costituito un RTI, avrebbero comunque potuto tecnicamente partecipare in maniera individuale (seppur con vantaggio competitivo più contenuto e con la necessità di migliorare le proprie offerte economiche tramite ribassi dei prezzi offerti, cosa che non sarebbe avvenuta stante la partecipazione tramite RTI).
Nelle parole dell’AGCM, sembra emergere che le condotte di Kendrion e Grifols siano state volte ad impiegare in maniera strumentale lo strumento del RTI per precostituirsi un vantaggio anticoncorrenziale, nella misura in cui il RTI sembra esser stato costituito “per porsi nelle condizioni di evitare un confronto sulla parte economica dell’offerta, che avrebbe indotto entrambe le imprese a formulare offerte di prezzo inferiori rispetto a quella congiunta effettivamente presentata”.
Non resta adesso che vedere quale sarà l’epilogo della vicenda, che appare un percorso in salita per le imprese indagate. Il procedimento dovrà concludersi, salvo proroghe, entro il 31 dicembre 2018.
Cecilia Carli
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Giova premettere che nel settore dei farmaci plasmaderivati (impiegati per il trattamento di malattie gravi ed interventi di urgenza), il processo produttivo richiede particolari esigenze tecniche ed il modello operativo italiano è incentrato su un’organizzazione a rete in cui cooperano le SSN, le amministrazioni regionali e le associazioni riconosciute per la raccolta del sangue/plasma. La normativa nazionale di riferimento prevede che, affinché un’impresa possa svolgere tali attività, gli impianti di lavorazione siano insediati in Paesi dell’UE in cui il sangue/plasma non viene ceduto con finalità di lucro, nonchè sulla base di apposite procedure di autorizzazione. In Italia solo cinque operatori hanno le autorizzazioni rilevanti per detto servizio, tra cui figurano Kendrion – l’operatore incumbent nazionale storico nel settore dei farmaci emoderivati - e Grifols – parte di uno dei principali operatori a livello mondiale nel settore. L’AGCM ha peraltro sottolineato che Kendrion e Grifols, perlomeno negli USA, hanno una serie di rapporti sia di tipo industriale che commerciale, a valle di una serie di trasferimenti di impianti produttivi e centri di raccolta. Ed inoltre, nel 2015 Kendrion appare aver immotivatamente rinunciato al proprio ricorso amministrativo avverso l’autorizzazione ministeriale concessa a Grifols per le attività di raccolta di sangue/plasma.
La gara in questione era stata bandita da Intercent-ER, centrale di acquisti per la regione Emilia Romagna, e aggiudicata nel settembre 2017 al RTI tra Kedrion-Grifols.
Secondo quanto emerge dal provvedimento di avvio, l’istruttoria è finalizzata a verificare se e in che misura i rapporti tra Kedrion e Grifols, a partire dal RTI costituito per partecipare alla gara (di cui Kendrion è capofila con una ripartizione di tipo orizzontale delle attività in misura 70 – 30%), siano riconducibili a un’intesa contraria ai principi della concorrenza.
In particolare, le disposizioni di gara prevedevano come elemento indispensabile per la partecipazione la produzione di alcuni medicinali plasmaderivati, nonché la disponibilità dei partecipanti a fornire anche una serie di farmaci emoderivati accessori. I cinque soggetti qualificati all’affidamento dei servizi disponevano tutti dei prodotti obbligatori in maniera autonoma, tuttavia, solo Grifols era nella disponibilità di uno dei prodotti accessori, mentre Kendrion ed un terzo operatore era nella disponibilità di un diverso prodotto accessorio. Considerato che tale terzo operatore non aveva presentato nessuna offerta, il RTI disponeva in esclusiva di due dei prodotti accessori richiesti. Di contro, se Kendrion e Grifols non avessero costituito un RTI, avrebbero comunque potuto tecnicamente partecipare in maniera individuale (seppur con vantaggio competitivo più contenuto e con la necessità di migliorare le proprie offerte economiche tramite ribassi dei prezzi offerti, cosa che non sarebbe avvenuta stante la partecipazione tramite RTI).
Nelle parole dell’AGCM, sembra emergere che le condotte di Kendrion e Grifols siano state volte ad impiegare in maniera strumentale lo strumento del RTI per precostituirsi un vantaggio anticoncorrenziale, nella misura in cui il RTI sembra esser stato costituito “per porsi nelle condizioni di evitare un confronto sulla parte economica dell’offerta, che avrebbe indotto entrambe le imprese a formulare offerte di prezzo inferiori rispetto a quella congiunta effettivamente presentata”.
Non resta adesso che vedere quale sarà l’epilogo della vicenda, che appare un percorso in salita per le imprese indagate. Il procedimento dovrà concludersi, salvo proroghe, entro il 31 dicembre 2018.
Cecilia Carli
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Antitrust e contributi a carico delle imprese - Ridotti i contributi a carico delle imprese per il funzionamento dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato
Con delibera adottata lo scorso 10 gennaio, l’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM) ha ridotto il contributo a carico delle imprese per il funzionamento dell’AGCM, previsto dal comma 7-ter dell’articolo 10 della legge n. 287/90.
La misura era pari allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall’ultimo bilancio approvato delle società con ricavi totali superiori a 50 milioni di euro. L’AGCM aveva già negli anni dal 2014 al 2016 introdotto annualmente delle decurtazioni. In particolare, il contributo era stato ridotto ogni anno dello 0,02 per mille portandolo allo 0,06 per mille del fatturato.
Con quest’ultima delibera, l’AGCM riduce il contributo ad un importo pari allo 0,055 per mille del fatturato, giustificando quest’ulteriore riduzione alla luce dei risparmi conseguiti dall’AGCM sia in ragione del contenimento della spesa (spending review) sia per merito della concessione permanentemente da parte dello stato a titolo gratuito dell’immobile in cui ha sede l’AGCM.
Mario Cistaro
La misura era pari allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall’ultimo bilancio approvato delle società con ricavi totali superiori a 50 milioni di euro. L’AGCM aveva già negli anni dal 2014 al 2016 introdotto annualmente delle decurtazioni. In particolare, il contributo era stato ridotto ogni anno dello 0,02 per mille portandolo allo 0,06 per mille del fatturato.
Con quest’ultima delibera, l’AGCM riduce il contributo ad un importo pari allo 0,055 per mille del fatturato, giustificando quest’ulteriore riduzione alla luce dei risparmi conseguiti dall’AGCM sia in ragione del contenimento della spesa (spending review) sia per merito della concessione permanentemente da parte dello stato a titolo gratuito dell’immobile in cui ha sede l’AGCM.
Mario Cistaro